La tradizionale giornata dell’amicizia tra i pastafariani gussaghesi e Karibu Afrika

L’arrivo dell’autunno, con il suo alternarsi di spaghettosi raggi solari e di piogge amide, mi fa correre il pensiero ai trascorsi ultimi giorni d’estate, ed in particolare alla domenica di settembre che ogni anno conferma il forte gemellaggio tra i pastafariani gussaghesi e la Onlus di Karibu Afrika. L’occasione di tale ricorrenza è sempre una nota fiera di paese. Di quelle fiere importanti che richiamano gente del settore un po’ da tutte le parti, e che procurano agli abitanti del paese un tacito orgoglio. Insieme al fastidio di una gran confusione di traffico di macchine e gente per tutte le strade, per una fiera di cui a loro del paese non gliene può fregare di meno.


Detto questo, può sembrare strano che nel corso di tutti questi anni nessuno tra pastafariani e volontari di Karibu accorsi sia mai entrato una volta in questa fiera. E questo non tanto per l’argomento venatorio proposto, non proprio apprezzatissimo né da noi pacifici pirati pastafariani né tantomeno dai volontari di Karibu, le cui ricorrenti visite al continente africano non sono certo per collaudare delle modernissime armi addosso agli animali della savana. Il motivo è anche semplice: la propizia occasione di incontro è quella per la gestione dei vari parcheggi della fiera. Quindi non tanto visitare la fiera per comprare un gilet milletasche mimetico o una trombetta che fa il verso dell’anatra, quanto aiutare gruppi di maschietti con una strampalata passione fallica per i fucili a posteggiare i loro mezzi nei nostri parcheggi, dietro l’ovvia richiesta di una quanto più generosa offerta.

 Il parcheggio dell’amicizia karibupastafariana. Sulla sinistra mezzo pirata parcheggiatore, sullo sfondo un vulcano di birra (inattivo da sempre: è di birra riserva)

 

Per antica tradizione la fiera viene svolta di domenica. Questo per conciliarsi meglio con gli umori mattutini di Sua Divina Sugosità: sovente di sabato dopo le serate alcoliche della sera precedente il Signore della Pasta tende a dimenticarsi di benedire le feste pastafariane con un clima propizio. Lavorando noi di domenica, abbiamo la garanzia di una giornata scaldata fin dalle prime ore del mattino da un sole vigoroso, ma pure accarezzati dalla piacevole aria generata dal movimento amorevole delle Sue Spaghettose Appendici. A conseguenza di ciò, la FIA si è accorta di questa sistematica domenica settembrina particolarmente calda e propizia, e ha deciso di organizzare il gran premio di Monza in perfetta concomitanza con la nostra fiera.

Quelle però che i signori a Monza non possono assolutamente avere sono le vampate alcoliche della vicina distilleria, in piena produzione di una delle più celebri grappe bianche italiane. Anche qui, per Suo Mirabile Disegno, la fiera viene a coincidere con la vendemmia anticipata delle uve per il Franciacorta, che porta enormi quantità di ottimi raspi a regalare la loro ultima anima alcolica nei pressi del nostro parcheggio, deliziando parcheggiatori e parcheggianti con un vento inebriante nel corso di tutta la giornata.

Il parcheggiamento prosegue impavido per tutta la giornata. Una pausa viene fatta all’ora di pranzo, quando i pastafariani e i volontari di Karibu Afrika si incontrano per celebrare il Rito della Pasta presso una casa amica. Qui vengono servite dalle pulzelle del luogo ingenti quantità di vettovaglie ad alto contenuto di carboidrati, accompagnate da una adeguata dose di bevande alcoliche. Volontari e pirati danno dimostrazione di grande apprezzamento anche senza parlare.

Tornati quindi al proprio posto, si riprende ad accompagnare gli amici cacciatori nelle loro elaborate manovre di parcheggio, con la complicazione dell’ebbrezza di entrambi. I più arriveranno solo più tardi, dopo aver compiuto la rituale pennichella sul divano col televisore sul Gran Premio di Monza.

 Due parcheggiatori a riposo, orgogliosi di aver fatto sistemato in un posto privilegiato una Vespa pastafariana

 

Dopo anni ad aiutare tali personaggi a parcheggiare il loro veicolo, si possono iniziare ad azzardare dati statistici estemporanei. Il più evidente è quello che differenzia il cacciatore con moglie, di cattivo umore e quindi pronto alla contestazione dell’offerta, rispetto alla generosità del gruppo ridanciano e goliardico di amici cacciatori, che all’atto della questua fanno a gara ad estrarre dal portafoglio quante più monete possibile da porgere alle nostre pulzelle addette alla cassa, in una gara di generosità che non può fare che bene ai nostri fratelli keniani.

Il parco macchine pure è abbastanza particolare. Dai cacciatori ci si aspettano mezzi rustici e provati dagli aspri sentieri di montagna. Ma per quello che si vede, anche loro non sono immuni al fascino salottiero del SUV, che infestano abbondantemente il nostro parcheggio come qualsiasi altro parcheggio di supermercato. Cambiano solo le modalità: al supermercato o la bionda guidatrice cerca parcheggio fino a riuscire a trovarne due o tre liberi vicini, parcheggiandoci di traverso, oppure, più previdente, si porta il marito, lasciandolo con l’aria condizionata e il motore acceso sotto allo scivolo dei disabili. Qui invece sono i mariti a guidare le loro potenti autovetture dai finestrini anneriti, ed il nostro compito è quello di impedire loro di correggere la geometria delle altre vetture con i loro paraurti antibufalo.

Non riesco a capire quale sia l’utilità di un’automobile grossa come un pulmino della SIA in un sentiero di montagna. Mi verrebbe da chiederlo a qualcuno di loro, ma non vorrei mai urtare la sensibilità di un uomo abituato ad usare un fucile, facendogli una domanda che potrebbe giudicare come indiscreta.

Due dei nostri più valenti pirati del parcheggio, fieri di aver ricevuto una generosa offerta dal guidatore del SUV grigio sulla destra

 

Al parcheggio però non girano tutti con dei monolocali su ruote. Molta gente ha automobili normali, di quelle che si vedono normalmente sulle normali strade italiane. Da queste automobili scendono insospettabili gruppi di giovani, anche con morosa al seguito o addirittura padri di famiglia con mogli e passeggini pieni di adorabili bambini, felici come una pasqua perché già il loro pensiero va  all’imminente palloncino del cartone animato di turno. tutti questi campioni di normalità non hanno l’aria di cacciatori, ma non si può mai sapere che segreti nasconda una persona.

I veri cacciatori si muovono in branchi, come se andare alla loro fiera non è altro che il preambolo di una serie di fortunate battute di caccia grossa. Quelli che non hanno il SUV sono i più seri, perché li vedi scendere in quattro o cinque da delle Panda 4×4 verde palude, appena impacciati dagli ingombranti girovita coltivati negli anni. La prova costume è d’obbligo, forse per distinguersi dai profani che frequentano la fiera solo per rimpiazzare il criceto preso l’anno prima. La stagione 2012/2013 predilige capi dai toni kaki o verde militare, meglio se maculati. Su tutti spiccano i pantaloni con le tascone sulle cosce, il gilet e il bettettino. Quest’ultimo particolarmente importante: anche se contrariamente ai primi due non è fornito di tasche, la sua presenza impedisce il riverbero del sole sulla calvizie a cui pennuti e selvaggina si sono da tempo abituati a prestare molta attenzione.

Quello che mi stupisce sempre è come questo popolo dei boschi, temperato da anni di dure escursioni appesantite da armi, munizioni e prede mastodontiche, quando si ritrova alla fiera debba chiedere ogni volta se non c’è un posto più vicino di quello distante almeno trenta metri dall’uscita del parcheggio. E che poi debba sempre seguire l’interrogatorio su quale sia delle due la strada più breve per entrare alla fiera. Tipo che una dista centoventi metri e l’altra centoquaranta, e per di più con una lieve salita. Dopo aver dubitato più volte delle risposte divertite del parcheggiatore, finalmente si decide a prendere una delle due strade. Covando però ancora il germe del dubbio: mai fidarsi di uno senza cartucciera a tracolla: potrebbe essere una spia di Licia Colò, o addirittura un verde!

Intorno alle sei di sera i veri cacciatori se ne sono andati da un pezzo. Rimane il popolo dei curiosiche vogliono entrare gratis, o magari di quelli che vogliono prendersi un qualche animale da compagnia, destinandolo ad un futuro più monotono e adiposo rispetto ai loro fratelli comprati la mattina. Quando ormai passano cinque minuti tra una macchina e l’altra anche noi decidiamo di levare le tende. Con quel po’ di tristezza che rimane al pensiero che questo spazio comunale è già da tempo stato venduto al solito edile di turno, che non vede l’ora che siano pronte le carte per poterci costruire l’ennesimo abuso edilizio legalizzato. Ogni volta che ce ne andiamo pensiamo che potrebbe essere l’ultima volta che possiamo aiutare i nostri amici dell’Africa con questa bella giornata di festa.

Hasta la pasta dal devoto Alberto.

Sui rischi di bivi evolutivi dal genere umano a causa della religione

Una sera io e la mia amata cercavamo di trovare le forze e la voglia di cucinare qualcosa, alzando ancora di più la già alta temperatura di un agosto agguerrito. Oltre all’apatia del momento, il mio pensiero correva preoccupato al grafico della drammatica relazione inversa tra numero di pirati e surriscaldamento globale.

(la fonte? Ma che domande! Questa)

Il grafico parla chiaro: la diminuzione dei pirati porta ad un aumento della temperatura. Ma lì per lì credo di aver pensato che la relazione potesse funzionare anche all’inverso: ancora un po’ più caldo, e il sottoscritto pirata ci avrebbe lasciato le penne.

All’improvviso lei, Mia Musa, mi ha sorpreso con una acutissima osservazione, facendomi capire che potremmo essere di fronte ad un bivio evolutivo nel genere umano. Mi ha detto che capita sempre più spesso che alcuni membri di alcune associazioni religiose della concorrenza si uniscano in un rapporto di coppia stabile e teoricamente definitivo con un membro della stessa associazione, anche se tassativamente di sesso diverso. Quest’ultima condizione per via di una precisa disposizione della loro stessa religione.

Addirittura pare che alcuni aderenti a queste società discendano già da una relazione di questo tipo, ovvero in cui entrambi i genitori appartenevano alla stessa associazione religiosa prima ancora di associarsi in un vincolo affettivo esplicito, e quindi di procreare. Non posso però essere più preciso: non frequentando tali ambienti i dati di cui dispongo non sono di prima mano, e la religione pastafariana italiana non dispone ancora di una rete di informazione efficiente come quella della concorrenza.

Mi è però venuto in mente il primo capitolo del libro la Scimmia Nuda di Desmond Morris, quello in cui si parla dello scoiattolo con le zampe nere. Lo zoologo parte dalla considerazione che tale animale non possa appartenere a nessuna delle specie di scoiattolo conosciute: nessuno ha queste zampe nere! Per questo prontamente gli dà un nome identificativo: scoiattolo con le zampe nere. Giusto per distinguerlo dagli scoiattoli con le zampe di altri colori. Poi inizia a ragionare come un etologo, e quindi ci spiega che se un gruppo di una popolazione di scoiattoli inizia a distinguersi da un altro è sicuramente in seguito a qualche circostanza ambientale che ha reso alcuni scoiattoli leggermente differenti. Tali scoiattoli avranno iniziato ad accopparsi tendenzialmente tra loro, per via di abitudini leggermente differenti, e ad evolvere via via usanze sempre più lontane da quelle degli altri scoiattoli per scoraggiare unioni con questi.

(una rara immagine di un momento romantico tra due scoiattoli con le zampe color topo, presa qui)

Alla fine i due gruppi di scoiattoli saranno ancora sessualmente compatibili, ma anche solo una preferenza sessuale o dei rituali di accoppiamento diverso farà sì che le unioni tra i due gruppi siano praticamente assenti, e che quindi le zampe nere diventino sempre più nere, e le zampe non nere rimangano tali.

Perché perdermi tra scoiattoli e zampe nere, quando stavo parlando di associazioni religiose? Ma perché quello che è successo ai nostri amici scoiattoli sta accadendo anche a questi gruppi: le loro usanze arcaiche ed i loro rituali arcaici si stanno sempre più differenziando da quelli della società moderna, e sono già tali da scoraggiare le unioni di elementi di questi gruppi con elementi esterni. Di conseguenza, se l’unione e la procreazione avviene sempre più spesso tra elementi interni, i discendenti erediteranno un corredo genetico predisposto ad un’ulteriore aderenza alla stessa associazione. Rafforzata anche da una educazione da parte dei genitori che li spingerà ancora di più in quella direzione.

Non credo che i tempi lenti della biologia possano portare a breve a visibili differenze genetiche. Che so, cose come una voce particolarmente adatta al canto corale, un sovradattamento delle rotule alla genuflessione, o lo sviluppo di un apparato sensoriale e cognitivo ancora più predisposto all’esclusione di evidenze in disaccordo con la propria fede. Ma nessuno può negare come siano già ben visibili diverse caratterizzazioni nel vestiario, come la gonna alla caviglia per lei e il maglione a collo alto per lui, o nelle acconciature. Grazie a questi segni visivi è possibile identificare con chiarezza anche a distanza membri di altre associazioni religiose equivalenti. E se le evidenze sono spesso chiare anche per chi non appartiene a questi gruppi, sicuramente lo sono ancora di più per chi invece ne fa parte.

Dopo tutti questi ragionamenti sui fatti degli altri, viene naturale preoccuparsi anche del popolo pirata. Anche noi corriamo lo stesso rischio? Arriveremo ad un punto in cui la volontà di amoreggiare porterà sistematicamente ad una ricerca di bende sull’occhio e arti mozzati?

un immagine di un amore e consensuale tra un pirata e una pulzella. Un timido tentativo di selezionare la specie?

La cosa mi ha un po’ preoccupato, ma credo che in realtà sia un timore infondato. Questo perché tra le abitudini piratesche più popolari e apprezzate c’è quella dell’accoppiamento non consensuale con esponenti di bell’aspetto selezionati nelle navi arrembate. Abitudine sicuramente ispirata dalla Sua Spaghettosa Lungimiranza. Grazie a questo espediente, il rischio di deviazioni dal genere umano è assente.

(alcuni amici pirati somali in tenuta da corteggiamento si preparano a piacevoli incontri amorosi sulla nave da arrembare. Foto presa qui)

Quando poi non siamo in mare noi pirati siamo pure portati alla sana abitudine di preferire i rapporti con le vigorose pulzelle reperibili con abbondanza in tutte le peggiori osterie dei nostri porti preferiti.

pirata in abito classico nell’atto di ammaliare con sguardo magnetico una impotente pulzella

Anche qui, vedo chiaramente le impronte di sugo di un Disegno Superiore: la ferma volontà di non rinchiuderci in noi stessi o sulle nostre navi, ma di diffondere costantemente il Sacro Verbo in ambienti pubblici quali locande, pub, postriboli e locali di strip tease. Ovvero: abbasso le cerimonie private, viva le osterie aperte fino a tarda notte!

RAmen, il devoto Alberto.

Noè, Cam, Napoleone e il Rwanda

Argggg amici pirati,

Eccomi di nuovo qui a parlare di Rwanda.

Oggi la storia partirà da lontano, molto lontano. Partiamo dall’antico testamento… dopo essere stato sul suo vascello durante il diluvio universale il giovine pirata Noè, ormai a 600 anni, scenderà a terra dove vivrà ancora 350 anni…sembra una minchiata ma cosi dice il testo.

“Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all’interno della sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide il padre scoperto e raccontò della cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e , camminando a ritroso, coprirono il padre scoperto; avendo rivolto la faccia indietro, non videro il padre scoperto. Quando Noè si fu risvegliato dall’ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse: «Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!». E aggiunse: «Benedetto il Signore, Dio di Sem, Canaan sia tuo schiavo! Dio dilati Iafet e questi dimori nelle terre di Sem, Canaan sia suo schiavo!»” (Genesi 9, 20-27)

 

 

Canaan era il quarto figlio, il più piccolo di Cam. Secondo le tradizioni orali ebraiche del VI sec. d.C. Cam è indicato come un peccaminoso. Gli africani subiscono la maledizione del “loro” antenato Cam, figlio indegno di Noè: di conseguenza sono neri e degenerati. Da queste tradizioni si diffonde l’idea che tutti gli uomini dalla pelle scura siano dei Camiti. Questa immagine che identifica l’uomo che abita l’Africa persiste per tutto il Medioevo e la nozione di “Negro-camita” fu generalmente accettata fino al 1600 contribuendo, piccolo particolare, a giustificare la tratta degli schiavi.

il missionario fumante


A seguito della spedizione in Egitto di Napoleone Bonaparte (1798) si compie una completa riconversione del mito di Cam. Gli scienziati di Napoleone erano concordi nel ritenere che, prima della civilizzazione romana e greca, l’inizio della civiltà occidentale si potesse collocare in Egitto. La conclusione fu che “gli egiziani erano negroidi non neri”. Solo l’ultimo figlio di Cam (Canaan) era stato maledetto, gli altri tre figli (Kush, Mizraym e Put) erano dei fighi, non maledetti e quindi capaci di civilizzazione. Gli egiziani quindi si ritrovavano imparentati con i bianchi europei. Col termine “Camita” da questo momento in poi gli studiosi cercheranno di rappresentare la grande diversità delle popolazioni africane in base a una gerarchia fondata sulla loro prossimità al ceppo europeo. Se essi non sono completamente neri significa che sono entrati in contatto con civiltà straniere. Ribaltando il pensiero precedente, a metà del 1800 il conte Gobineau considera i Camiti come discendenti di tale primo movimento migratorio europeo-caucasico. Le famiglie regali tutsi dei differenti Stati vennero riconosciute come camitiche secondo questa nuova teoria, insomma bianchi a tutti gli effetti. L’aristocrazia tutsi comandata dal Belgio «guidava uno stato talmente sofisticato che essa non poteva che essere originaria di una regione geograficamente, culturalmente, e soprattutto razzialmente, “vicina” all’Europa, come ad esempio l’Etiopia, un paese che, non è inutile ricordarlo, era stato “cristianizzato” da molti secoli». A partire dal 1870 si diffonde tra gli studiosi l’idea di una «razza camitica» nella quale vengono raggruppati i Berberi, gli Egiziani, gli Abissini, alcuni gruppi dell’Africa Centrale, fra cui i Tutsi-Hima. I missionari riuscirono a mantenere tutte queste teorie a loro favore per “costruire” l’etnia in Rwanda. I missionari consideravano gli hutu come i neri degenerati, figli maledetti di Cam, cioè i camiti della versione antica della teoria, mentre i tutsi venivano considerati i “bianchi” camiti della versione moderna della teoria.

Buana Tutsi

Piedone l’africano

Si inizia dal Rwanda (una volta tanto)

Cari amici pastafariani,

essendo io un pirata della chiesa pastafariana in trasferta in Africa vorrei dedicare qualche articolo sul ruolo della chiesa cattolica nel continente nero. Un giorno un certo Jomo Kenyatta, primo presidente del Kenya, disse: “Quando arrivarono i missionari, gli africani avevano la terra e i missionari avevano la Bibbia. Ci insegnarono a pregare a occhi chiusi. Quando li aprimmo, loro avevano la terra e noi la Bibbia”.

L’argomento è così grande che mi dovrò limitare ad un solo paese per ora, ossia il Rwanda. Lo stile sarà sarcasticamente piratesco e provocatoriamente legato a fatti storici assolutamente reali. Se qualcuno si sente in ogni modo negativamente colpito sappia che questo è il mio obiettivo e ne sarò compiaciuto.

 la bandiera del Rwanda

Il Rwanda. O perlomeno la sua bandiera


Il Rwanda è un piccolo Paese dell’Africa centro-orientale, è grande circa come la Sicilia. Il Rwanda confina con il Burundi, l’Uganda, la Tanzania e la Repubblica Democratica del Congo (grande 89 volte il Rwanda).

 la mappa del Rwanda

La mappa del Rwanda, gentilmente donata (come pure la sua bandiera) da Wikipedia. Un grazie è dovuto.

Il Rwanda ha una densità di popolazione di 328 abitanti per Kmq, 10 volte maggiore rispetto al Congo, e per ironia della sorte praticamente uguale a quella a quella del Belgio che ha governato come potenza coloniale sul Rwanda per moltissimi anni. Si sta strettini in Rwanda e il 90% della popolazione si dedica all’agricoltura. Certo niente a che vedere col Vaticano dove gli abitanti, probabilmente per dare il buon esempio ai loro fedeli, stanno veramente strettissimi (2.118 abitanti per Kmq) e dove il 100% della popolazione si dedica alla professione della fede cattolica.

Il Rwanda ha una gran fortuna rispetto a tanti altri Paesi africani: in RD Congo ci sono oltre 200 etnie, in Tanzania 200, in Kenya 42…difficile mettere tutti d’accordo, difficile anche solo riuscire a far comunicare tutte queste persone tra loro. In Rwanda invece son proprio fortunati perché ci sono tre componenti sociali che non possiamo definire nemmeno etnie. Dal vocabolario della lingua italiana: etnia è un raggruppamento umano basato su comuni caratteri fisici, storico–demografici, linguistici e culturali. Ora in Rwanda si parla solo una lingua, il kinyarwanda, si mangiano gli stessi spiedini con le banane cotte, si prega lo stesso dio, ci son gli stessi usi e costumi e fisicamente è oggi difficile distinguere un hutu da un tutsi.

La divisione etnica era una realtà centinaia di anni fa in Rwanda. Negli anni ha poi perso valore grazie alla storia piuttosto atipica del Rwanda, per essere poi rispolverata ed utilizzata dal clero cattolico per governare al meglio il paese e convertire centinaia di migliaia di pecorelle (nere) smarrite, e per essere infine utilizzata come strumento di sterminio durante i genocidi rwandesi.    

Ad ogni modo ecco invece la versione dell’etnia più cara ai missionari cattolici: i pigmei twa sono l’1% della popolazione rwandese, gli abitanti originari del Rwanda; sono cacciatori – raccoglitori seminomadi, tracagnotti (diciamo cicciottelli con baricentro basso) e molto scuri di carnagione. Gli hutu sono invece l’89% della popolazione rwandese, sono bantu e sono i secondi ad arrivare in Rwanda provenienti dall’Africa occidentale. Tutti agricoltori, di media altezza e di media carnagione, con l’inconfondibile naso “a patata” africano. I tutsi sono i famosi Watussi,  quelli che ogni tre passi fanno sei metri e che vedon per primi la luce del sole, sono il 10 % della popolazione rwandese, ultimi ad arrivare in Rwanda dagli altopiani etiopi. Sono pastori, alti oltre 180 cm d’altezza, chiari di carnagione e con un naso all’europea ossia pronunciato e fine. Per aiutarvi vi consiglio di guardare la vignetta che segue..da sinistra: tutsi, hutu e twa.

 tre nei teneri

un tutsi, un hutu ed un twa in posa per una fotografia (il missionario cattolico non si vede: è dietro il mirino l’obiettivo)

Come introduzione mi sembra più che sufficiente. Nel prossimo post parlerò invece della sacra genesi e dell’utilizzo delle scritture da parte dei missionari per manipolare il concetto di etnia a loro uso e consumo.

RAmen,

Piedone l’africano

Che peccato (originale)! Storia della rimozione di un sacramento indesiderato

Habemus apostasiam! Gaudium magnum!

Due fogli: uno per me ed uno per il parroco

Un po’ di latinorum è d’obbligo, quando si riceve una lettera dalla curia diocesana di Brescia. Se poi tale lettera è l’attesissima segnalazione che la mia richiesta di sbattezzo “è stata regolarmente perfezionata presso la cancelleria vescovile di questa Curia”, allora è proprio una festa. Cosa posso volere di più che non uscire dal gregge delle pecorelle della Chiesa cattolica apostolica romana per entrare a pieno titolo nella ciurma di pirati della Filibusta pastafariana italiana?


Tecnicamente credo che il peccato originale di Adamo ed Eva torni a gravare su di me, e con lui tutte le colpe dell’umanità. Stranamente, mi sento alleggerito invece che appesantito. Saranno le Sue Spaghettose Appendici a sostenermi con più vigore, ora che sono pastafariano al 100%? La colpa che mi sono ripreso è quella di aver voluto accedere all’albero della Conoscenza. Un peccato che comunque sento mio. Un peccato che rende orgogliosi. Roba da Dante Alighieri:

fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”

Prima di me, altri pirati illustri sono gloriosamente morti per mare in una bramosa ricerca di conoscenza: l’astuto guerriero Ulisse, che disse la frase giusto qui sopra, l’audace capitano Shackleton, il vitaminico esploratore Cook. Mi viene voglia di festeggiare, magari con del sidro di mele, per rimanere in tema adamitico.

Anche se, devo dire, queste cose giungono tutte ad un certo prezzo. E come nel conto di un ristorante, anche qui compare l’elenco delle consumazioni da pagare. Sono tutte annotate in fondo al secondo foglio, quello indirizzato al parroco del mio paese e che io ricevo in copia. Le elenco qui di seguito, come è giusto che sia, qualora anche chi legge queste pagine voglia rendersi conto delle conseguenze a cui va incontro.

 

Conseguenze di ordine giuridico:

  • scomunica latae sententiae (can. 1364 §1);
  • esclusione dall’incarico di padrino per battesimo e confermazione (cann.874 §1; 983 §1)
  • licenza dell’Ordinario del luogo per l’ammissione al matrimonio (cann. 1071 §1 n.5; 1124);
  • privazione delle esequie ecclesiastiche in mancanza di segni di pentimento (can. 1184 §1,1º);
  • esclusione dai sacramenti e dai sacramentali (cann. 1331 §1, 2º; 915).

Effettivamente avrei dovuto immaginare che dopo questa decisione mi sarebbero stati interdetti la carriera ecclesiastica o il matrimonio cattolico (punti terzo e quinto). Rimango però contrariato quando scopro (quarto punto) che si dà per scontato che sul mio letto di morte, qualora questa non avvenga in circostanze improvvise o violente, verrà convocato un prete cattolico per darmi la possibilità di pentimento. Credo che la cosa mi rovinerebbe il gusto del trapasso, soprattutto se per l’emotività del momento non riuscirò ad apostrofare adeguatamente l’intruso e chi l’ha fatto entrare. Auguro quindi a me stesso di trovare morte in un rutilante arrembaggio od in una procellosa tormenta.

Trovo però elettrizzante il privilegio di potermi dichiarare “scomunicato” (primo punto), per diversi motivi. Il primo, più immediato, è che mi pone su di un livello più alto rispetto alla stragrande maggioranza di persone che non hanno proprio in simpatia la chiesa cattolica. Molti si lamentano delle gesta pubbliche dei suoi alti ministri o private di quelli bassi, ma un gesto pratico come uno sbattezzo mi dà una certa ufficialità, come se tra tanti generici brontoloni io possa essere qualificato come “brontolone qualificato”. Sono fresco di apostasia, e non ho ancora potuto testare questo potere, ma in passato già il nominare la volontà di farsi sbattezzare mi ha fatto riscuotere una certa ammirazione.

Il secondo motivo, più intimo, è che mi pone in una elite storica non da poco. Gente che in periodi in cui la chiesa cattolica godeva di un prestigio ha dovuto fare cose un po’ pazze per rimediare ad una scomunica, spesso senza nemmeno riuscirci.

l’umiliazione di Canossa

Correva l’anno 1076, quando papa Gregorio VII si offese per essere stato dichiarato deposto dall’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV presso il sinodo di Worms. Come conseguenza, il permaloso papa attuò la sua ripicca: scomunicò l’imperatore. La classica situazione in cui due maschietti fanno a gara a chi ha più pelo sullo stomaco. A quanto quello con la pelliccia più folta, e di puro ermellino, era il papa. Enrico fu costretto a stare per tre giorni in ginocchio in una bufera di neve fuori del castello di Matilda di Canossa prima di vedere le proprie scuse accettate dall’inconsolabile pontefice.

Filippo il Bello (per l’epoca)

Il re di Francia Filippo il Bello probabilmente non intendeva subire lo stesso trattamento. Quindi, nel 1303, per rimediare lui stesso ad una fastidiosa scomunica, optò per sistemi più sbrigativi. Mandò due delle sue educande più smaliziate, tali Guglielmo di Nogaret e Giacomo colonna detto Sciarra, ad imprigionare il papa presso Anagni e convincerlo a rivedere la sua bolla di scomunica. Qui i due furfanti si fecero prendere un po’ la mano, e decisero anche di convincere il papa ad abdicare. Il papa contestò questo metodo come non istituzionale, e decise di non assecondarlo. Nemmeno il tempo di un paio di giorni e i cittadini di Anagni pensarono che va bene che questo papa non è proprio simpaticissimo, ma che gli altri non lo fossero di più. E in fondo è pur sempre un papa, ovvero il vicario di dio in terra. E se il papa è permaloso, il loro dio lo era ancora di più. In conclusione pensarono che fosse cosa buona e giusta di liberarlo, e così fecero.

Nel 1309 vennero scomunicati tutti i veneziani: il papa Clemente V non gradì l’invasione di Ferrara, sebbene a scopo di picnic di pasquetta. Non so se la bolla è stata revocata. Se io fossi un pio veneziano, farei bene ad informarmi.

Martin Lutero senza cappello

Nel 1521 papa Leone X scomunicò Martin Lutero. Ma questi non diede molto peso alla cosa. Aveva già in passato dato fuoco in pubblico ad una bolla papale in cui veniva minacciata la sua scomunica. Forse sentendo puzza di bruciato, evitò sempre di recarsi a Roma per discutere le sue posizioni. Alcuni secoli prima Arnaldo da Brescia non fu altrettanto scaltro, e la sua predicazione presso Roma non fu accolta come si sarebbe aspettato: fu scomunicato, impiccato, arso al rogo, sparso nel Tevere, ed infine gli dedicarono un busto sul Pincio.

Nel 1821 tutti gli aderenti alla carboneria sono stati scomunicati da Pio VII. Il papa successivo, Leone XII, o non lesse le bolle del suo predecessore, o non giudicò sufficiente la scomunica dei carbonari. Non potendo scomunicarli di nuovo, decise di condannarli. Un po’ come adesso il papa condanna qua e là quelli che non si comportano secondo suo gusto.

Nel secolo scorso per una serie di distrazioni la chiesa cattolica non ha scomunicato un discutibile politico romagnolo che nel primo dopoguerra inneggiava alle masse valori di scarsa etica cristiana ed intraprendeva azioni che i più definirebbero opposte alla volontà della chiesa, come autoproclamarsi dittatore, esercitare violenza sommaria di strada, invadere stati, deportare popolazioni, bonificare paludi, far arrivare treni in orario, costringere il fiero popolo italico a fare ginnastica. Per farsi perdonare per la mancata scomunica per quest’uomo, la chiesa ha cercato di stare un po’ più attenta sui regimi emergenti. Occasione che si è presentata nel secondo dopoguerra. Per stroncare sul nascere l’aderenza al partito comunista, la chiesa cattolica ha preso una iniziativa forte: impedire l’accesso ai suoi sacramenti a quelle persone che dei suoi sacramenti non volevano saperne più niente.

Ormai la chiesa cattolica ha perso questo gusto ruspante per bolle e scomuniche. Purtroppo è conseguenza del fatto che l’esercito del papa è fatto da elementi presi da un popolo di neutrali storici, per di più vestiti da pagliacci e armati di alabarde. Ogni dichiarazione del pontefice perde quindi un po’ della sua antica forza alle orecchie degli infedeli.

La mia storia di cattolico è finita. Inizia ufficialmente la mia vita da pirata pastafariano. La prossima santa celebrazione è già in programma per il giorno di festa di venerdì, nella nostra taverna preferita. Solito posto, orario più a caso.

Hasta la pasta, Alb

Delegazione pastafariana partecipa in incognito a cerimonia valdese

Ultimamente in casa si respira un certo trambusto religioso. Non da parte mia, sia chiaro. Ma la mia amatissima, come già detto qui, è ancora in cerca di una sua propria espressione religiosa.

Tempo fa avevamo passato una notte nella foresteria valdese di Torre Pellice, in provincia di Torino. Ci eravamo stati perché i nostri amici e compagni di vacanza amano profondamente le foresterie valdesi: sono economiche, dignitose, un po’ rustiche ma accoglienti. A conferma dell’amore dei nostri amici per le foresterie valdesi, devolvono interamente ala loro religione il loro otto per mille, pur di non darlo alla chiesa cattolica. Si sa, tra atei si fa così, almeno finché non si potrà darlo ai Pastafariani.

Mi ricordo poi che i valdesi di recente hanno fatto un’altra cosa decisamente originale: hanno sposato una coppia omosessuale. Rimango ancora stupito di come una chiesa possa dimostrarsi più laica e razionale di uno stato.

Partendo quindi dal nostro piacevole soggiorno e da queste considerazioni, la mia dolce metà ha pensato di iniziare a documentarsi su cosa ci sia dietro a questa foresteria. Insomma, vediamo un po’ come è il loro rapporto con il loro dio. All’inizio dell’indagine sospettavamo fortemente che fosse lo stesso dio dei cattolici, ma solo adorato in un modo un po’ diverso. Subito parte la ricerca informatica.

Ebbene sì: il dio è lo stesso. Cambiano un po’ di cose sulla fede, tipo niente madonna, pochi sacramenti, cose così. Cambiano molte cose sull’amministrazione della chiesa. Qui davvero notevoli. Già sapevo che i valdesi, che non credo navighino nell’oro, danno in beneficenza tutto quello che raccolgono con l’otto per mille, generosamente donato da tutti gli atei italiani di buon senso. Questo a differenza dei loro ricchi cugini cristiani, che preferiscono farci un po’ di tutto, in maniera piuttosto vaga. D’altronde, certe cose vanno accettate proprio per fede.

Scopriamo anche che i valdesi hanno i pastori al posto dei preti. E basta. Niente monsignori, diaconi, frati, suore, monache, prevosti, arcipreti, vescovi, arcivescovi, cardinali, papi. Solo pastori, che si limitano a condurre i loro riti e a dire i sermoni. Anche se chiunque, previo accordo col pastore, può dire il suo sermone. Giusto no? Una cosa un po’ più orizzontale. Credo che anche il loro dio, che non dispone di appendici spaghettose, possa apprezzare di poter stare un poco più vicino ai suoi fedeli, senza dover passare ogni volta dai signori di cui sopra.

Tutte le gerarchie ecclesiastiche poi sono scelte per via elettiva da valdesi di qualunque estrazione sociale. Credo ogni anno, i valdesi si riuniscono e votano i rappresentanti della loro chiesa. A loro volta votano questi rappresentanti votano per altri rappresentanti più importanti che decidono per un territorio più ampio e così via, fino ai rappresentanti importantissimi, che si ritrovano a Torre Pellice per decidere di tutto e tutti. Rispondendo però delle loro decisioni a chi li ha votati, un po’ come in teoria dovrebbe succedere con la politica. Una piccola annotazione: ad un certo livello il numero dei laici eletti deve essere maggiore o uguale a quello dei religiosi. Mica male come regola. Tutto ciò è un po’ diverso da quell’altra religione, come si chiama…. ah sì: il cattolicesimo, dove il voto non si sa nemmeno cosa sia, e se sei laico puoi solo pregare e ascoltare le opinioni del giorni della CEI al telegiornale della sera. Se la chiesa valdese è una democrazia, la chiesa cattolica è una monarchia assoluta. E la chiesa pastafariana è un’anarchia, beninteso.

Quanto letto di questa chiesa ci ha affascinato. Subito lei va a vedere gli orari delle loro cerimonie alla chiesa di Brescia. Ottimo orario: domenica mattina, alle dieci e mezza. Non troppo presto, e coordinato con l’aperitivo alla fine. Almeno, considerando una durata standard del rito, al momento ignota.

Io sono curioso, e mi offro volentieri di accompagnarla. Già mi vedo a proporre una alleanza pastafarian-valdese al loro capo. Mi riprometto anche di non portare abiti pirateschi, di stare attento e di comportarmi come un buon valdese. Non faccio altro che seguire i dettami della chiesa pastafariana: rispetta gli altri e bevi la tua birra in santa pace.

La chiesa valdese di Brescia rimane vicino alla statua del Garibaldi a cavallo, in fondo all’omonimo corso, giusto di fronte alle fermate delle corriere. Come da foto sotto.

C’è qualcuno: all’interno stanno cantando. Ci intrufoliamo velocemente. Nessuno ci guarda, ma la sensazione è che l’occhio vigile del loro dio ci abbia già scoperto. Se ciò è vero, si manifesta nello sguardo severo dell’unica persona rivolta verso di noi: l’austera pastora. Non guarda nessuno in particolare, come se il suo sguardo vagante le permette di ascoltare meglio il coro alla sua sinistra, ma è come se guardasse tutti. La sua somiglianza sia nell’aspetto che nel tailleur con la Gabanelli, giornalista conduttrice di Report, è affascinante ed inquietante allo stesso tempo.

Per cercare di non farmi scoprire, mi guardo in giro. Subito vedo l’oggetto più misterioso di tutta la chiesa, che senza tale strumento potrebbe addirittura passare per una normale chiesa cattolica (a parte la donna in tailleur sull’altare): un tabellone alla destra della pastora mostra numerologie cabalistiche, e solo dopo diversi minuti riesco a decifrarne il significato recondito.

Riporto di seguito l’enigma:

  89123

169123

14212

2131234

  54

113123

Effettivamente non ci era stata fornita una chiave essenziale per la soluzione. Questa arriva prontamente alla prima canzone corale. Alcuni fedeli valdesi si accorgono che non abbiamo il canzoniere. Ce ne forniscono prontamente circa sette o otto. Non vogliamo sembrare ingordi: ringraziamo e ci accontentiamo di uno a testa. Nel momento in cui la severa pastora indica il numero del canto, inizio a comprendere il sistema di decifrazione dell’arcano. Le parti sinistre dei numeri vanno ad indicare il canto da cantare. Le parti destre, in cui è visibile abbastanza facilmente un progressivo intero, indicano quali strofe vanno cantate, e quando dobbiamo fermarci. Meno male: almeno a cantare credo di riuscirci.

Ho trovato un oggetto uguale qui con tanto di inquietante manichino, ma dalla foto seguente la comprensione è molto più facile, a patto di saper leggere. Lo sguardo di Barbie Pastora Valdese poi nemmeno lontanamente mi ricorda quello dell’attenta pastora della mia funzione.

La pastora in ogni caso parla italiano da italiana. Le premesse sia per quanto letto in rete che per i presenti nella chiesa facevano pensare a tutt’altro. Ci sbagliavamo. Il coro canta ogni tanto qualche canzone in un una lingua angloafricana, accompagnata da incalzanti ritmi tribali. La pastora si diverte e invita tutti ad battere le mani con un tempo appena appena difficile, che già metterebbe in difficoltà gran parte dei cattolici oratoriali. La pastora invita alla versione più semplice, limitandosi a battere tre colpi e a saltare il quarto. Qualche africano più esperto si cimenta nella stessa struttura, ma con un paio di colpi in levare non da poco. Io seguo la proposta della pastora. Pecco miseramente sul finale, dando due colpi di troppo, appena camuffati dal finale a cappella del coro.

La celebrazione alterna un paio di chiacchierate della pastora ad alcune letture bibliche. Niente di nuovo, in base ai miei trascorsi da giovane cattolico. Ad un certo punto vengono fatti gli annunci degli eventi presenti e futuri della comunità. Pare che sia in corso proprio in questi giorni un megaincontro degli alti vertici a Torre Pellice. Quindi quella che vediamo non è la vera pastora, ma una sua sostituta, ospite della chiesa. Quella vera è al megaraduno. Poi ci dicono che un signore importante della chiesa valdese ha la moglie che è in ospedale per una operazione, e tutti i fedeli vengono invitati a mandare email, sms o a telefonare per augurare pronta guarigione. Che cosa strana. Carina però, credo. Non ho chiesto il numero della signora: non avrei saputo esattamente cosa dire, anche se forse avrebbero apprezzato.

Quando si invitano i fedeli a lasciare una offerta, parte una musica che concilia la generosità. La ragazza che gira col cesto si dirige subito con sicurezza verso la pastora: è dato per scontato che anche lei contribuisca. A quanto pare ho trovato un’altra differenza: l’elemosina non serve a pagare il suo stipendio, altrimenti il suo gesto perderebbe un poco di significato.

All’improvviso, dopo altre canzoni e discorsi, la celebrazione finisce. Niente comunione e rivisitazioni di miracoli vari secondo le antiche tradizioni cristiane. Niente segni della croce o crocettine tracciate col pollice sulle parti del corpo giudicate più degne dell’ascolto del vangelo. Semplicemente qualcosa come un gioioso arrivederci. E la reazione dell’assemblea non è il classico stampede di bestiame a cui ero abituato con le messe cattoliche, roba da furiose sgomitate verso la porta, condite da frasi tipo “Eh che predica lunga! Non lo sa il prete che la domenica abbiamo su polenta!?” Qui anzi sembra che i fedeli non vedessero l’ora di iniziare a fare un po’ di rumore e confusione, attraverso una serie di abbracci, baci e chiacchiere nel centro della chiesa. Non ero abituato al concetto di comunità con la chiesa cattolica. Per come vedevo io i partecipanti alle funzioni, era più l’aria di una visita dal medico per la supposta domenicale.

Non so se devo iniziare anch’io ad abbracciare qualcuno o a presentarmi. Mi sveglia dall’imbarazzo la mia amata, che mi guarda divertita e mi suggerisce “andiamo?” Rispondo di sì. Sono solo due metri dall’ingresso, completamente libero dai fedeli che sono accalcati in mezzo all’edificio. ce la possiamo fare.

In realtà no: non ce la facciamo. Anche se sono solo due metri ci bracca subito la solerte Augustina, ovvero la responsabile della chiesa. Una donna di colore il cui classico ineffabile sorriso ci cattura senza pietà. Avrei voluto mascherarmi da turista lontano dalla mia chiesa valdese, ma non so se avrei retto alla distanza. Sicuramente Augustina mi avrebbe chiesto di quale chiesa, e se anche azzeccavo una chiesa esistente, avrei dovuto rassicurarla sullo stato di salute di un qualche anziano pastore. La mia donna previene questo mio rischio di sbandamento confessando il suo reale stato di apolide religiosa, sorvolando però sulla mia felice appartenenza al credo pastafariano. Dichiariamo come la cerimonia ci sia piaciuta, e sempre con il più sereno dei sorrisi Augustina ci concede un’uscita dignitosa dal tempio, concordando di rivederci la domenica dopo.

Conclusioni. Sì, un po’ mi sono divertito. No, non credo che abbandonerò la Chiesa Pastafariana. Boh, magari un altro salto lo faccio ancora. Si sa mai che ne nasca davvero un gemellaggio. O che riesco a capire come si può fare per ottenere il riconoscimento all’otto per mille.

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Grazie al sito free-stainedglasspatterns.com per il bellissimo Flying Spaghetti Monster che ho usato in testata. Se avete bisogno di un disegno gratuito per una vetrata in casa vostra da cui Sua Altissima Casoncellosità possa sbirciarvi con particolare amore, avete trovato il sito giusto.

Sulle lunghe attese tra una religione ed un’altra

Ormai otto giorni scrivevo questo articolo, dopo essere stato in coda all’ufficio postale per consegnare la mia lettera per il parroco alle Poste Italiane, che mi raccomandavano che gliela avrebbero consegnata a nome mio e che subito dopo mi avrebbero comunicato l’avvenuta consegna. Il tutto per la modica cifra di tre euro e novanta, postino compreso.

Viaggio non difficile: casa mia dista 450 metri dall’ufficio postale e 77 metri dalla casa del parroco. Tra i due però i sensi unici complicano un po’ le cose, e si arriva alla ragguardevole distanza di 700 metri. Diciamo che Euclide avrebbe qualcosa da dire riguardo alla geometria delle nostre strade.

A suo tempo mi avevano lasciato questo:

Interessante, anche se ancora non ha niente del sapore dello sbattezzo religioso. Non a caso è avvenuta una mini apparizione del mio Flying Spaghetti Monster domestico, giusto per dare un po’ di sapore.


Sono passati otto giorni, ma ancora il postino non mi ha comunicato l’avvenuta consegna della mia lettera per il parroco.

Accidenti.

Non credo voglia dire che si stia vendicando del fatto che non ho  preso il supplemento consegna veloce a mezzo aereo. Anzi: dovrebbe ringraziarmi che non lo costringo a fare i famosi 700 metri usando questa antica e divina uniforme greca

Può anche essere che non mi ha trovato in casa, e che vuole consegnarmi di persona la sua conferma di recapito. Giusto.

Ho deciso di controllare però sul sito delle poste lo stato della consegna, perché mi ricordavo di un servizio di tracciabilità, o qualcosa del genere. Mi lancio entusiasta su poste.it, ma subito mi areno in una pagina che, complice che siamo in agosto, sembra più il sito di un bagno della riviera romagnola. Date queste premesse, anche solo al pensiero di trovare il servizio che cerco all’interno di questo caos mi viene male. Ricorro quindi all’oracolo, che velocissimo mi mostra la soluzione del labirinto.

Ottimo. Vado subito qui e chiedo dove sia la mia raccomandata. Ci metto i numerini che vedo sul foglio, e quello che ottengo mostra diversi lati curiosi.

Capisco perché ancora non ho ricevuto la notifica di consegna: perché ancora non è stata consegnata! Sembra che la mia lettera ci abbia messo dal 28 luglio al 2 agosto per andare dal centro postale di Gussago allo sportello del centro postale di Gussago, dove tutt’ora staziona. Fatto questo, il bradipo che si è occupato di questa perigliosa consegna è sicuramente svenuto esausto, e starà ancora cercando di recuperare le forze per la fase successiva.

Speravo di trovare qualche cospirazione della sacra inquisizione cattolica dietro questi clamorosi ritardi. Sono invece di fronte alla normale amministrazione di un ufficio pubblico italiano. Di questo passo credo che anche questo prete ha tutto il tempo di lasciarci per lidi migliori. No: non è una cattiveria gratuita. Quello prima mi è morto davvero in fase di quasi-invio di un’altra raccomandata. Non l’avete letto? L’ho scritto qui. E poi continua qui.

In conclusione, credo che quello che avete letto è l’articolo più inutile non solo di questo sito, ma forse dell’intero mondo Internet: tempo buttato mio a scriverlo e vostro a leggerlo, solo per dirvi che un postino in Italia impiega più di una settimana a percorrere settecento metri. C’era bisogno di scriverlo? E poi: questo sito non è un sito religioso che vuole spiegare la bellezza e la profondità del verbo pastafariano rispetto a tutte le altre false religioni? O si vuole fare concorrenza ai mille siti di denuncia sui malcostumi italiani?

Quindi scusatemi: salvo serie novità, non scrivo più niente sulle mie lunghe attese da cambio di religione. Avete anche voi i numeri per vedere quando mi consegnano la ricevuta di ritorno. Dateci un occhio, che quando arriva poi due righe magari le scrivo ancora.

Per adesso basta: mi autopunisco andandomene a dormire. Che Sua Altissima Sugosità vegli sui nostri sonni pirateschi accarezzandoci con le Sue Spaghettose Estremità!

Hasta la Richiesta, Alb

L’8 per mille alla chiesa Pastafariana?

tanti papi

Probabilmente non tutti sanno ma l’8 per 1000 è un grandissimo inganno. Fino a due decenni fa lo Stato italiano pagava direttamente lo stipendio al clero cattolico, con il meccanismo della congrua poi arrivò l’08 per mille. Ogni anno con la dichiarazione dei redditi tu puoi decidere a chi destinare l’8 per 1000. Puoi scegliere tra: Stato, Chiesa cattolica, Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Evangelica Luterana in Italia, Unione Comunità Ebraiche Italiane. Circa il 40% dei dichiaranti scelgono a chi destinare l’8 per 1000 mentre circa il 60 % non fa alcuna scelta. Ora pero’ mentre in Germania e Spagna si agisce secondo il principio dell’assoluta volontarietà ciò non accade in Italia dove, come spesso accade, c’è un sotterfugio, un tranello, un cavolo di barbatrucco che fa si che la vostra sia una scelta solo parziale.


I soldi di coloro che scelgono a chi dare l’8 per 1000 sono distribuiti secondo le preferenze.  Ma che fine fanno i soldi di chi non sceglie / firma per nessuno? Vanno allo stato? Macché anche quelli vengono ripartiti a seconda dei voti di chi ha espresso la scelta. Essendo che tra chi esprime una scelta circa l’87 % sceglie la chiesa cattolica significa che la maggior parte dei soldi vanno alla chiesa cattolica. Ma vi sembra giusto che io che sono pastafariano e non voglio dare il mio 8 per 1000 a nessuno in realtà lo sto dando a Papa Ratzinger? No e infatti dobbiamo attivarci perché anche la religione Pastafariana possa ricevere finanziamenti cosi potremo fare cose grandiose.

Ora 8 per 1000 sembra un numero piccolo e insignificante ma sapete da quanto è l’assegno che riceve la chiesa cattolica? Nel 2011 e’ stato di 1 miliardo, 118 milioni, 677 mila, 543 euro e 49 centesimi… migliaia di navi pirata piene di rhum e spaghetti! Ora dove vanno a finire tutti soldi? Penserete che vanno principalmente in favore di opere caritatevoli. Ma si certo quelle belle pubblicità col missionario di turno che barba incolta e mani sporche è circondato da bambini africani. Niente di tutto questo. La pubblicità dell’8 per 1000 è pubblicità ingannevole… peraltro pagata non poco essendo che nel 2008 la Chiesa Cattolica ha speso 22 milioni di euro in pubblicità (ma se lo possono permettere essendo solo il 2,33% dei fondi ricevuti). Nel 2011 gli interventi caritativi nel Terzo mondo hanno totalizzato 85 milioni, pari al 7,59% dei soldi pubblici incassati dalla Cei…beh comunque 3 volte tanto quanto speso per la pubblicità! Non mi dilungo con altro e vi rimando a questo link http://espresso.repubblica.it/dettaglio/lotto-per-mille-e-la-santa-cresta/2166754//0 dove potrete continuare ad arrabbiarvi!

Vi lascio con un ultimo quesito: perché vengono finanziate a fondo perduto e senza nessun tipo di controllo confessioni religiose che si dovrebbero autofinanziare?

Quando noi Pastafariani celebriamo il nostro giorno sacro, di venerdì, ci dividiamo le spese relative al nostro culto: gli ingredienti per la carbonara, la benzina per raggiungere il luogo di culto, i soldi per l’acquisto della nostra bevanda sacra, l’entrata nei locali di striptease (siam unica religione che ha un paradiso terreno!). Propongo quindi di iniziare a pensare che anche i Pastafariani possano avere il loro 8 per 1000!

pirate ship

l’atto pratico dello sbattezzo, tra avvistamenti e raccomandate

Dopo aver scritto questa pagina lunedì scorso, ho iniziato le pratiche tecniche per invitare finalmente il parroco di Gussago a rimuovere il mio nome dal suo registro dei battezzati.

Ho scaricato per l’ennesima volta da qui il documento dello sbattezzo. Grazie UAAR per renderci facili e comprensibili le sottili questioni stato/chiesa in cui noi comuni sprofonderemmo miseramente. Grazie decreto legislativo 196 del 2003: con te i nostri diritti di confessione religiosa si camuffano da diritti alla privacy.

Il documento dello sbattezzo non è proprio bellissimo, anche se bellissimo è il compito che gli viene assegnato. Sembra un modulo per la disdetta di un qualsiasi servizio a pagamento. Ecco, è così, nella sua burocratica sterilità:

sbattezzo modulo per parroco


Leggendolo, uno può aspettarsi di trovarlo pieno di acide considerazioni contro la chiesa cattolica, come scritte dalle stesse mani che scrivono decine di articoli al giorno al gusto fiele e veleno su uaar.it . Non è così: non ci troverete una sola malignità. Pura formalità burocratica, con ripetizione alla nausea della codice segreto 196/2003, la chiave che apre la via all’apostasia. A furia di cercare però forse c’è una piccola parte di involontario umorismo: quando si chiede al povero parroco che il mittente rinuncia “fin da subito a qualsivoglia pausa di riflessione o di ripensamento in ordine alla soprascritta istanza”. Mi evoca l’immagine di migliaia di vecchi parroci di campagna, sparsi in tutta Italia, terrorizzati dal dover riportare al proprio superiore l’orrore burocratico della lettera che tengono in mano, al punto di appellarsi alla disperazione con una “pausa di riflessione o di ripensamento”. Le estreme armi del clero contro chi non teme scomuniche ed anatemi.

Letto e riletto, ci ho pensato un po’ su, e alla fine ho deciso di scrivermi a mano tutto quanto, come a voler dire al parroco che noi empi senzadio siamo comunque abbastanza alfabetizzati da poter buttar giù una lettera dattiloscritta senza troppi errori, e senza andare troppo storti con le righe. E nel contempo anche di offrire un po’ di conforto umano al prete che la riceve, come a dire che non sono una macchina, ma che ho dedicato un po’ del mio tempo per rispetto al tempo che lui nella sua sofferenza dedicherà a me. Poi magari manderà anche la lettera al grafologo pontificio a Roma, per capire che orribile personalità malvagia e contorta sta dietro ad una richiesta tanto disumana. Se lo fanno, magari scopriranno anche che sono un ragazzo normale con irriverenti aspirazioni piratesche, un ottimo rapporto con un Dio Invisibile e Spaghettoso e dotato di un gran senso dell’umorismo, e che semplicemente non ne può veramente più una lunga serie di comportamenti disgustosi della chiesa cattolica apostolica romana.

Ecco qua il risultato, così come è stato fotografato dal potente satellite del Vaticano:

sbattezzo autografo

Ci ho messo un po’ a scrivere tutto, e due fogli invece di quello solitario della versione digitale. Probabilmente è anche un po’ meno comprensibile, per quanto mi sia sforzato di dominare l’estro della mia mano mancina. Non ho fatto nessuno scarabocchio, ma non ho rispettato molto il mio secondo proposito, ovvero quello di fare le righe dritte. Pazienza, chissà che idea si farà il grafologo del papa. Sono però molto contento di come il secondo foglio sia pieno per tre quarti, che reputo un’ottima percentuale conclusiva, e mi riempie di orgoglio la mia firma finale, che ultimamente trovato molto travagliata ed impoverita di personalità a causa di una serie di aride ripetizioni burocratiche.

I due fogli sono finiti piegati in tre parti a fisarmonica e imbustati con la fotocopia della carta di identità. Quindi orgogliosamente portati in pausa pranzo all’ufficio delle poste.

E qui potrebbe essere già il primo capitolo della saga di Ulisse. Questo articolo non vuole parlare dei disservizi di uno stato vittima di se stesso, ma quando vado alle poste so già che può capitare che tutto vada per il meglio, ovvero che banalmente non succeda niente di strano, o che invece qualcosa vada storto, anche senza che si arrivi ala rapina. Nel mio caso ho beccato il solito raduno di anziani che hanno deciso di festeggiare con orgoglio una qualche loro misteriosa ricorrenza andando a richiedere servizi all’ufficio postale proprio quando il non-pensionato come me esce dal lavoro. Il numero che mi ritrovo in mano dista di diverse decine da quello sul tabellone, e gli sguardi desolati della gente in coda mi evocano immagini di film sull’immigrazione dei nostri compatrioti ad Ellis Island. Bene, grazie, forse è meglio tornare un’altra volta.

Controllo gli orari di chiusura, aspettandomi il peggio. Ma no! Piacevolissima sorpresa: le poste chiudono alle 19:15. Insperato davvero: posso tranquillamente tornare all’uscita dal lavoro.

Così accade. Sorpresa! Poste chiuse. Ma come!? Una gentile signora, pure lei impegnata come me a citare tra i denti il nome di dio invano, mi fa notare un secondo cartello, meno evidente del primo e posto ad altezza cane, che recita qualcosa come “orario estivo: dalle 8:15 alle 13:15”. O qualcosa del genere. Bravi, grazie. Ritiro quanto detto prima. E mi chiedo da cosa possa nascere il rancore che si nutre verso i dipendenti statali. Boh, chissà.

Che poi le mie non sono altro che malignità dettate dall’ignoranza: se d’estate i dipendenti delle poste lavorano meno ore al giorno, sono più che sicuro che a ciò corrisponde una detrazione proporzionale dello stipendio. Per forza. Quindi non stiamo lì a perderci del tempo: si torna di sabato mattina. Prima però controlliamo bene gli orari del sabato, che non si sa mai. E facciamo anche un paio di giri dell’edificio, alla ricerca di altri eventuali fogli informativi su orari e modalità.

Il sabato decido di partire preparato. Mi porto da leggere e da bere. Infatti tempo tre minuti e vengo servito. Quando poi chiedi di fare una raccomandata compreso nel prezzo c’è lo sguardo miserevole e accondiscendente della impiegata che ti dice “guarda che per la raccomandata devi prima compilare questo!” E tira fuori un foglio da sotto la sua scrivania. Non ho ben capito se si aspetta che io prima ancora di essere servito scavalchi la loro porta da saloon, giri dietro alla loro scrivania e mi prenda un foglio da solo e mi metta a compilarlo, di modo da arrivare perfettamente preparato quando mi trovo di fronte a lei. Dio degli Spaghetti, aiutami Tu.

Compilato tutti i fogliettini, controllato, consegnato e pagato. No grazie, signora, niente posta celere. Sì: da Gussago a Gussago. (Cambia qualcosa se è da Gussago a Rodengo?) Mi viene da chiedermi cosa accadrebbe se dovessi chiedere la posta celere o aerea per spedire una raccomandata al parroco che di fatto abita giusto a centocinquanta metri da casa mia. E che anche oggi ho incontrato che mi passava davanti mentre uscivo di casa per mandargli una lettera. Tengo questi misteri per me: già tre euro e novanta mi sembra un prezzo più che sufficiente per il servizio richiesto.

Un paio di pagnocchine dal fornaio e torno a casa. E incontro ancora il parroco. Gran Dio della Pasta, ma mi segue? O mi precede? E come fa poi, che lo becco sempre in senso contrario al mio, roba che se io vado lui torna, e se io torna lui va? E poi come fa ad essere così veloce, con quella sottanona bianca… Questi misteri un po’ mi lasciano perplesso, ma me li scrollo di dosso pensando che la ricerca del divino nell’inspiegabile è un tipico vizio delle religioni arcaiche come quella per cui giusto oggi ho richiesto di non farne più parte. Basta, questa pecorella smarrita non vuole più essere salvata, e avete tempo quindici giorni per dimostrare di averlo capito. Beee beeee beeee.

Grazie, buonanotte.

pecora e pecorino

come particolari pratiche di religioni alternative alla nostra possano indurci all’apostasia

Questa mattina ho avuto un segno, da Lui, ovviamente. Uno di quei segni che arrivano quando effettivamente ce n’è bisogno. Chi se non Lei manda questi inequivocabili segnali, La cui Spaghettosa Amorevolezza supera i confini dell’umana comprensione, lasciando però delle vistose chiazze di sugo?

Andiamo però con ordine: ieri sera la radio annuncia il caso di un rappresentante di una religione alternativa alla nostra, sorpreso ad officiare i suoi riti con un chierichetto. Il problema denunciato nella notizia era che tali riti non venivano celebrati nell’edificio preposto, ma in una doccia da campo di Rovereto sulla Secchia, nel modenese, uno dei paesi colpiti dal recente terremoto. La cosa sorprendente era che i due celebranti non indossavano gli abiti religiosi previsti per la cerimonia. Anzi, non indossavano nessun tipo di abito. Un solo fedele ha assistito alla liturgia. Forse per sbaglio: orari e luogo non erano stati resi pubblici nel bollettino parrocchiale. Il fedele ha quindi deciso di rendere subito noto a tutti l’evento eucaristico, sottolineando però ad altre persone la mancanza di rigore nell’officio liturgico. Un celere intervento delle forze dell’ordine ha evitato che venisse ripetuto l’antico rito cristiano del sacrificio del corpo a salvezza dell’umanità.

il prete nudo

Niente di strano. Credo che siamo abituati ad episodi simili. Il fatto ha però scatenato un acceso dibattito tra me e la mia amatissima. Dibattito un po’ particolare, visto che eravamo entrambi d’accordo nel definire l’episodio particolarmente infelice. Io stesso non credo che vedremo il volto di questo sacerdote nella prossima campagna dell’otto per mille della chiesa cattolica.

Se devo dire la mia, non posso giudicare in maniera positiva il fatto che molti esponenti del clero cattolico di tutto il mondo siano usi a rapporti intimi con i più giovani elementi delle gerarchie religiose. E sono certo che la mia opinione è conforme a quella della pubblica morale, oltre che dello stato italiano.

La mia amatissima era ancora più turbata, facilmente per via del suo stesso lavoro di educatrice, che le pone davanti agli occhi una serie di problematiche sconosciute ai profani. Ha trovato poi particolarmente oltraggioso che la politica della stessa chiesa cattolica sia quella di nascondere tali problemi invece che cercare di risolverli con l’aiuto di professionisti di settore, o con il laser.

Insomma, dopo tante parole, quasi per forza siamo arrivati ad una questione da tempo lasciata in sospeso, ovvero quella di esprimere il nostro dissenso dalla politica della chiesa cattolica attraverso l’atto dell’apostasia e del conseguente sbattezzo. Io da tempo mi considero un apostata, dichiarandomi fieramente pastafariano. Lei invece solo ieri ha iniziato il trasloco religioso, dopo un lungo periodo di tacita inosservanza. Si trova però in una situazione areligiosa di passaggio, e la cosa la turba un po’; il credo pastafariano la convince solo fino ad un certo punto, ma sono convinto che risolveremo tutto nel modo migliore, trovando per lei la religione più adatta.

vacca sacra

Ammetto di non essermi mai sbattezzato: la cosa mi ha sempre elettrizzato, ed avevo già compilato la lettera un paio di anni fa. Ma disgraziatamente il prevosto del mio paese una domenica sera ha pensato bene di morire, proprio mentre io ero intento nella compilazione del modulo prestampato scaricato dal sito dell’UAAR. I miei amici maliziosi dicono che la perpetua ne ha rinvenuto il corpo stecchito nel suo ufficio ancora con il braccio destro alzato e contratto intorno alla mia raccomandata. Non è vero: non ho ancora inviato niente.

Si parla quindi di sbattezzo urbi et orbi in casa mia nostra. Due su due. Se poi è vero che a Gussago fino ad ora c’è stato un solo sbattezzato, la cosa prende un certo gusto: improvviso aumento del 200% dei senzadio in paese! Roba da far impazzire le statistiche. Roba da articolo di cronaca di paese sul Giornale di Brescia, e da convocazione presso il vescovo del nuovo prevosto di Gussago. Sempre che non muoia di nuovo, beninteso.

Se dapprima lo sbattezzo personale mi eccitava, parlare di sbattezzo collettivo un po’ mi spaventa. La sensazione è quella di partecipare a quei riti collettivi religiosi in cui diecimila fedeli si buttano di testa in un burrone. Il fatto poi che l’idea non fosse mia, ma della mia amatissima, ovvero colei che spesso e volentieri mi parlava di matrimonio in chiesa, mi turbava ancora di più. Dio delle lasagne!

La notte non porta consiglio. Solo la mattina mi accorgo che avevo dimenticato di compiere un rito domestico fondamentale: innaffiare il basilico, recentemente mutilato in Sacrificio per l’ennesima gloriosa spaghettata al Pesto Pirata. Per tradizione pastafariana le piante del loggiato vengono innaffiate quando possibile con i resti dei Sacri Pasti, ovvero l’acqua di cottura degli Spaghetti. Con l’attenzione del caso inizio ad officiare il rito sul martoriato basilico. Uso poi l’acqua rimanente per il prezzemolo, per l’erba casoncella, per il timo ed infine per le varie piante ornamentali. Terminata l’opera chiudo casa ed esco in strada.

E, finalmente, ecco il Segno tanto atteso: chi vedo passare frettoloso davanti ai miei occhi assonnati? Il prevosto del paese, colui che riceverà le due raccomandate dello sbattezzo, e che avrà tempo quindici giorni per adempiere al suo dovere. Questo per via delle leggi dello stato italiano a cui controvoglia deve sottostare, e per cui deve procedere ufficialmente con la rimozione dei nostri due nomi con l’apposizione dell’ambita scritta ACTUS FORMALIS DEFECTIONIS AB ECCLESIA CATHOLICA.

Chiudo il portone, ed il religioso è già avanti di circa cinque metri: si infila dalla piazza nella via del centro che anch’io sto per imboccare. Indossa abiti bianchi: strano, credo che siano quelli di rito, e non quelli da passeggio, neri. Starà andando a celebrare da qualche parte. Ci vuole poco a sorpassare a piedi un anziano signore in sottanone, e così penso di fare. Ovviamente a sentire il mio passo lui si gira a vedere chi arriva. E’ ovvio: il prete è sempre una autorità, e come tale si aspetta saluto e controsaluto. Mi dispiace, ma mi sono limitato a sorpassarlo. Avrà seguito per un po’ con gli occhi il passo di un giovane maleducato, prima che si perdesse nelle tortuosità dell’antica strada.

Magari non è il più elegante dei miei sorpassi. Forse peggio anche di quello, sanzionato, di Vettel accaduto ieri pomeriggio. Ma a me è piaciuto. E ci leggo anche qualcosa di metaforico.

Accidenti quanto ho scritto! Basta così, alla prossima. Vi farò sapere come è andata a finire.

Hasta l’apostasia! Il vostro infedele Alberto.