Il dramma della visibilità per vescovi e ciarlatani vari ai tempi del virus

Questa storia del virus ha fatto emergere tante cose impreviste. Molte che sono delle gran scocciature, tipo che ci sono un bel po’ di umani che non possono lavorare, con quello che ne consegue. Mischiate a queste persone che traggono beneficio svogendo un lavoro utile all’umanità come può essere guidare un treno o spillare birra in un locale, ci sono però un bel po’ di parassiti sociali il cui scopo principale è quello di mantenere la propria credibilità ed i benefici che da questa conseguono. Per semplicità potremmo definire queste persone “ciarlatani”.

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Il partito laico

Laika, la famosa cagnetta russa che per ironia della sorte è morta nell’alto dei cieli

Una cosa che mi renderebbe estremamente felice è di poter votare un partito con un unico obiettivo: la laicità. Voglio che sia un partito, sia chiaro fin da subito: non un movimento, un sentimento popolare o quelle cose lì non ben definite che vanno di moda adesso ma che alla fine ci si chiede a cosa servono e che intenzioni hanno. In più non voglio che sia un partito ateo o pastafariano, altrimenti siamo al punto di prima, perché non voglio che si arrivi ad uno stato ateo e nemmeno che promuova la mia religione come religione di stato, anche se è considerata di gran lunga la migliore da tutti i suoi appartenenti. Magari sarebbe divertente all’inizio essere governati da una ciurma di pirati scanzonati, ma credo che nel giro di qualche generazione si arriverebbe a compiere gli stessi errori in cui immancabilmente cadono le religioni di ogni tempo e luogo quando passano dalla condizione di martirio a quella di potere. Come pure gli stati in cui l’ateismo è stato considerato come una specie di religione obbligatoria sono tutti posti in cui non andrei volentieri a vivere, che hanno in più lo svantaggio di generare nuove ondate di màrtiri religiosi. Meglio parlare di laicità.

Magari non a tutti è chiaro cosa sia la laicità, e perché vada difesa e promossa. E chi poteva trovare migliore definizione del concetto di laicità se non dio stesso? Ecco quindi la sintetica ma incontestabile parola di Gesù Cristo, leader indiscusso di tutte le religioni cristiane nonché unico punto in comune tra loro. Come il suo evangelista riporta (Mt 22-21) Gesù, stuzzicato da alcuni signori che non sapevano di finire registrati nel vangelo, un giorno disse:

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Due parole sui Valdesi, per chi volesse tenere lo stesso dio ma cercare di adorarlo con un po’ di stile

Due capi religiosi si incontrano. Il capo dei valdesi è quello vestito normalmente.
Due capi religiosi si incontrano. Il capo dei valdesi è quello vestito normalmente.

La settimana scorsa, mentre un milione di persone si sono ritrovate a Roma a manifestare affinché i loro diritti non venissero estesi ad altre persone, quello che potrebbe essere giudicato come il padrone di casa ha deciso di cambiare aria, e ha colto l’occasione per andare a prendere il fresco sulle Alpi dei valdesi. Ne ha approfittato per chiedere scusa al loro capo per i piccoli screzi e le incomprensioni del passato, ovvero le persecuzioni sistematiche e le stragi di intere comunità operate contro la loro chiesa a partire dal 1184, quando il papato romano disponeva ancora di un esercito operativo. Tutti ad applaudire l’umiltà di questo papa. D’altra parte, si fa sempre bella figura a chiedere scusa per colpe di cui non si è responsabile, commesse fisicamente da altri in periodi storici remoti. Anch’io devo ricordarmi di chiedere scusa agli elefanti perché i miei antenati hanno sterminato i loro cugini mammut sul finire dell’ultima glaciazione. Si potrebbe intendere il gesto del papa come un brillante modo di distrarre l’attenzione dalle proprie magagne. Considerando che sono passati 831 anni dal 1184, significa che di questo passo nel 2846 d.C. ci sarà un papa particolarmente umile e comunicatore che chiederà scusa del trattamento che la chiesa ha riservato negli anni bui del ventunesimo secolo agli omosessuali ed alle vittime della pedofilia; magari farà questa pubblica ammenda per coprire qualche imbarazzante scandalo galattico o qualche discriminazione nei confronti di una razza aliena con un numero di genitali poco consono ai valori evangelici.

Ma alla fine ai valdesi importa poco di essere usati per distrarre l’attenzione da altro, o come strumento per far vedere a tutti quando è generoso e umile questo papa. I valdesi sono una comunità molto tranquilla e rispettosa, poco propensa a far sapere ogni volta al mondo intero di quello che pensano di questioni non di loro competenza. Se i valdesi balzano alle cronache è per quello che fanno silenziosamente, mai per quello che dicono di fare o che faranno urlandolo con ogni possibile mezzo stampa, o per quello che pretendono che gli altri facciano.

E quello che fanno i valdesi non è che sia poi così incredibile, ma diventa straordinario se paragonato a quello che fanno o non fanno i cattolici. Per esempio i valdesi non fanno tutte queste storie quando si tratta di riconoscere agli omosessuali il diritto di sposarsi, e questo già molto tempo prima di gran parte degli stati cosiddetti laici. Non hanno nemmeno tribunali speciali per giudicare i più orrendi reati del propri dipendenti col tacito benestare della giustizia italiana, per dirne un’altra. Un’altra cosa che fanno i valdesi è che danno l’8 per mille in beneficenza, tutto quanto. Non solo: hanno anche delle soglie, molto basse, per impedire che ne vada troppo ad associazioni di volontariato o beneficenza legate direttamente a loro. Non fanno come la chiesa cattolica, che lo fa solo a parole nei suoi bellissimi ed ingannevoli annunci pubblicitari, e che poi del miliardo di euro che riceve ogni anno più dell’ottanta per cento serve a coprire i costi e l’inefficienza mai documentati di una chiesa che non sa stare in piedi da sola e che richiede l’aiuto ingente di uno stato servile.

Un po’ di tempo fa stavo bevendo qualche birra al solito posto con una persona, che oltre che essere una carissima amica è anche una fedelissima della chiesa cattolica. Direi pure la loro cliente ideale. Cerco sempre di non finire sugli argomenti religiosi, perché so che non se ne esce mai. O meglio: io oppongo le mie inoppugnabili argomentazioni razionaliste volte a dimostrare che il loro dio non esiste, ma lei si difende con pazienza dicendo che dio va preso per fede, che a lei le parla e la aiuta e via dicendo. Il fatto poi che entrambi abbiamo delle pinte di birra in mano non aiuta certo chi ci vede a scambiarci per due intellettuali in dibattito, quanto piuttosto in due ubriachi sordi.

Non è un grande scenario, e non credo sia diverso da quello che accade in ogni bar d’Italia il venerdì sera. L’ultima volta però ho avuto un’idea: quella di proporle una visita ad un rito valdese, così, per provare un’alternativa. Mi sono offerto di accompagnarla io stesso. Già c’ero stato un po’ di volte un paio di anni fa, e mi ero trovato benissimo, sebbene fossi già un non credente senza speranze. L’idea della visita ai valdesi non era malvagia: sono cristiani come i cattolici, quindi non sto proponendo un’alternativa al suo dio permaloso nella forma di un vitello d’oro o di un serpente piumato, quanto un modo alternativo di adorarlo.

In più le elenco i motivi, tralasciando quelli citati qui sopra, che alla mia amica possono interessare di meno:

  1. Hanno una bella comunità, molto partecipe. Probabilmente è proprio l’effetto di far parte di una chiesa di minoranza rispetto allo strapotere cattolico che aiuta a sentirsi un elemento attivo ed importante di una comunità e non una pecora impotente nelle mani di un vescovo distante ed intoccabile.
  2. I lori riti sono divertenti ed interattivi, ma non solo per l’iniziativa di un parroco un po’ anarchico o anticonformista: sono proprio così. Se il cattolicesimo assomiglia al web 1.0, ovvero quello in cui c’erano dei siti Internet statici da cui si poteva al massimo recuperare il numero di telefono di un negozio e non c’era uno straccio di blog o social network, la chiesa valdese è il web 2.0, dove chiunque può dire la sua durante il rito, anzi è invitato a farlo. Non c’è un prete supponente a vomitarti addosso tutto quello in cui devi credere, senza possibilità di intervento o dibattito, ma una buona occasione per scambiare idee o discutere su una pagina del vangelo. Io ho partecipato a quattro o cinque funzioni, e non mi ricordo di che ce ne fossero state due uguali. La mia preferita rimane quella per cui si era stati invitati la volta prima a portare qualcosa da mangiare, e finito il rito ci si è spostati nel refettorio a pranzare e a divertirsi insieme.
  3. Si vota per essere rappresentati nella gerarchia ecclesiastica. E se si è valdesi da abbastanza tempo, si può chiaramente anche essere votati. Senza per forza essere pastori. Con la chiesa cattolica è un po’ diverso: c’è un papa che nomina i cardinali ed i vescovi, e questi si preoccupano di votare per un nuovo papa quando questo incontra la morte o, caso più unico che raro, decide di dimettersi un po’ prima. Poi a cascata i vescovi nominano tutto il resto a scendere, fino ai preti, ai diaconi, alle catechiste e agli insegnanti di religione. Questi ultimi poi devono anche comportarsi in modo conforme, altrimenti possono essere licenziati senza giusta causa, e si ritrovano quindi a dover rispondere anche della propria vita privata solo per mantenere il posto di lavoro. Che però, incredibile a dirsi, non viene pagato dalla chiesa ma dallo stato. Siamo nel medioevo. Il fatto poi che i valdesi votino per i loro rappresentanti aiuta molto a tenere la chiesa vicina al senso della realtà: sono i fedeli a decidere la direzione della loro chiesa attraverso delle elezioni regolari, e non la chiesa a cercare di forzare la mano per imporre ai suoi fedeli il modo di pensare di un gruppo chiuso di vecchi dinosauri.
  4. Le gerarchie sono laiche, ovvero una cosa è essere pastore, una cosa è rappresentare e decidere per la chiesa. Ovviamente un pastore può anche essere eletto ed è facile che sia portato a farlo, ma ad un certo livello della gerarchia i laici non possono scendere sotto una certa percentuale dell’assemblea.
  5. I pastori hanno anche un altro lavoro. Già, non ci sono preti di professione. E fare il pastore quindi non è un lavoro, come non comporta carriere religiose.
  6. Le donne possono fare il pastore (pastoressa? pastora?) al pari degli uomini, senza limitazioni. I maschietti del cattolicesimo hanno paura di non so cosa, e negano ogni forma di carriera ecclesiastica alle donne, che al massimo possono diventare badesse di un convento o caposala in un ospedale, sempre però indossando abiti talebaneschi.
  7. Si impara l’inglese, perché gran parte dell’assemblea è formato da stranieri. Quindi da un lato gli stranieri imparano l’italiano, ma dall’altro gli italiani si beccano un po’ di parti del rito ripetute in inglese, ed un altro po’ solo in inglese. Male non fa di sicuro. Per i cattolici la lingua ufficiale è ancora il latino, figurati se sono pronti a far recitare la messa in inglese.
  8. C’è chi ti tiene i bambini mentre vai al rito. Pensa un po’, una specie di nido aziendale o di Småland dell’Ikea, ma in chiesa. I valdesi sono più avanti pure delle aziende italiane o dello stato stesso, che se sei stato così arrogante da decidere di riprodurti e poi non hai né i genitori a portata di mano né i soldi per mettere il bambino in un nido, sono solo cavoli tuoi. Lasciando il bambino in una sala giochi, seguito ovviamente da una persona qualificata della comunità e non da un prete cattolico, non si costringe un bambino a fare cose che odia e non è in grado di capire, come stare seduto per un’ora su una panca scomoda ad ascoltare un sacerdote che sproloquia di cose un po’ distanti dalla realtà.
  9. Se vuoi, puoi chiedere di tenere un sermone, anche se non sei un pastore. Questa poi è davvero sensazionale.
  10. Non stanno ad incasinarsi troppo sui dogmi, come se avere una madonna vergine fa poi tanto la differenza. Quella dei dogmi l’ho sempre vista come una grossa tara per qualsiasi religione. Neanche a dirlo, l’unico dogma della religione pastafariana è il rifiuto di qualsiasi dogma, come sta scritto qui nella sezione Further. Un conto è che mi si dica di fare qualcosa di poco chiaro sulla fiducia, e se non è proprio una scemata o una terrificante violazione dei diritti degli altri, allora posso anche fare uno sforzo. Ma che mi si venga a dire che se non credo a delle assurdità totali va a finire che non sono un fedele esemplare e che magari verrò anche punito in un secondo momento, allora direi che è meglio lasciar stare. Anche perché voglio ricordare che i fedeli di una religione non sono tutti laureati in teologia, e che ogni dibattito con un qualsiasi ubriacone da bar sul fatto che la madre del loro dio abbia concepito e partorito da vergine, va sempre a cadere nell’ilarità generale del pubblico. Se poi il tipo religioso è permaloso ed è in grado di procurarsi delle armi, succedono anche dei bei casini, e la colpa è sempre tutta di questi dogmi strampalati.

 

Ci sono tanti motivi per cui per un cattolico di nascita può essere affascinante affacciarsi ad una cerimonia valdese. Poi, lo ripeto, il dio è lo stesso. Solo una versione aggiornata e corretta di quello che già adora. Per dirla in un altro modo: non gli ho chiesto di passare a Linux: è più un aggiornamento gratuito da Windows Millennium a Windows 7.

Ho ottenuto successo? No. Col senno di poi mi viene anche da dire ovviamente. Perché? Perché la mia amica, a cui voglio un mare di bene, vive in una religione che ha costruito tutta la sua fortuna sulla paura, o timore, come lo chiamano loro. Ad iniziare dalla mela di Adamo ed Eva, tutto quello che ne viene è sempre la paura a porsi delle domande, a provare a cambiare qualcosa. Per come la vedo io, sarei contento di avere un dio che mi porge tutto il sapere proibito concentrato in un unico frutto, e ne mangerei ogni giorno, seguendo la regola d’oro dell’ateo umanista:

una mela proibita al giorno toglie il dio molesto di torno

Ogni giorno mi sveglio e decido se voglio affrontare la mia giornata da ateo, da Pastafariano o da seguace di un qualche dio che non ho ancora avuto il tempo di inventare. Ma questo sono io, e così credo siano la gran parte degli atei, degli agnostici e dei liberi pensatori vari che abitano il mio pianeta. Ma questo modo di pensare che per me è tanto naturale, ricco e stimolante, tale non è per la mia amica. Lei, ogni volta che ha un dubbio, invece di sguinzagliare il suo pensiero ha imparato a rinchiuderlo dentro di sé, a cercare la risposta in una qualche frase sentita mille volte da un prete o da un’autorità riconosciuta. In questo contesto, anche solo il proporgli di andare ad assistere al rito di una chiesa protestante diventa un bestialità, qualcosa di assolutamente inconcepibile. Ma perché? Non me lo ha saputo nemmeno dire. Probabilmente non se ne rende conto nemmeno lei, ma per me è ancora la paura. Paura di una punizione divina o di doversi di colpo ricostruire da capo una nuova identità, come se non stiamo mettendo in dubbio il prete, ma dio stesso e tutto quello che siamo.

E che se pure dovessimo provare e poi non ci piace, il gesto sconsiderato vada comunque confessato al proprio prete, con chissà quale imbarazzo: “sono andato a messa dai valdesi, così, per provare a vedere se è bello come dicono…” ma stiamo scherzando? Guai! E se poi ci piace? A questo punto credo che abbiamo talmente paura di cambiare e di quello che potremmo diventare, cioè diversi da quello che siamo, da non ammettere che se cambiamo rimaniamo comunque noi stessi, solo con indosso un abito migliore che ci fa stare più comodi. Siamo pronti a rinunciare a noi stessi, a metterci in gioco? Evidentemente no. Come se dovessi morire per far rinascere un’altra persona nel mio corpo. Una persona valdese, probabilmente più felice e realizzata, ma pure sempre al posto di un me stesso, cattolico mortificato. Detto così sembra una bestialità, ma credo che sia proprio questo, la paura di cambiare, di ammettere di essersi sbagliati, di sbarazzarsi di quel cadavere imbarazzante che siamo diventati per evolverci in qualcosa di migliore.

Mi dispiace, ma non ne vedo altra spiegazione. A parte forse una, ben più pratica: la mia amica di lavoro fa l’insegnante di religione. Probabilmente se avesse deciso di seguire il mio consiglio e avesse poi pure deciso di cambiare parrocchia, avrebbe certamente perso il lavoro. E’ una cosa che capita abbastanza spesso in tutta Italia, da Palermo a Trento, da Fano a Firenze, ma fa parte dei rischi del mestiere quando si sceglie un lavoro come quello, con un datore di lavoro che predica la tolleranza ma che si comporta come un feudatario medievale.

pirate ship

Delegazione pastafariana partecipa in incognito a cerimonia valdese

Ultimamente in casa si respira un certo trambusto religioso. Non da parte mia, sia chiaro. Ma la mia amatissima, come già detto qui, è ancora in cerca di una sua propria espressione religiosa.

Tempo fa avevamo passato una notte nella foresteria valdese di Torre Pellice, in provincia di Torino. Ci eravamo stati perché i nostri amici e compagni di vacanza amano profondamente le foresterie valdesi: sono economiche, dignitose, un po’ rustiche ma accoglienti. A conferma dell’amore dei nostri amici per le foresterie valdesi, devolvono interamente ala loro religione il loro otto per mille, pur di non darlo alla chiesa cattolica. Si sa, tra atei si fa così, almeno finché non si potrà darlo ai Pastafariani.

Mi ricordo poi che i valdesi di recente hanno fatto un’altra cosa decisamente originale: hanno sposato una coppia omosessuale. Rimango ancora stupito di come una chiesa possa dimostrarsi più laica e razionale di uno stato.

Partendo quindi dal nostro piacevole soggiorno e da queste considerazioni, la mia dolce metà ha pensato di iniziare a documentarsi su cosa ci sia dietro a questa foresteria. Insomma, vediamo un po’ come è il loro rapporto con il loro dio. All’inizio dell’indagine sospettavamo fortemente che fosse lo stesso dio dei cattolici, ma solo adorato in un modo un po’ diverso. Subito parte la ricerca informatica.

Ebbene sì: il dio è lo stesso. Cambiano un po’ di cose sulla fede, tipo niente madonna, pochi sacramenti, cose così. Cambiano molte cose sull’amministrazione della chiesa. Qui davvero notevoli. Già sapevo che i valdesi, che non credo navighino nell’oro, danno in beneficenza tutto quello che raccolgono con l’otto per mille, generosamente donato da tutti gli atei italiani di buon senso. Questo a differenza dei loro ricchi cugini cristiani, che preferiscono farci un po’ di tutto, in maniera piuttosto vaga. D’altronde, certe cose vanno accettate proprio per fede.

Scopriamo anche che i valdesi hanno i pastori al posto dei preti. E basta. Niente monsignori, diaconi, frati, suore, monache, prevosti, arcipreti, vescovi, arcivescovi, cardinali, papi. Solo pastori, che si limitano a condurre i loro riti e a dire i sermoni. Anche se chiunque, previo accordo col pastore, può dire il suo sermone. Giusto no? Una cosa un po’ più orizzontale. Credo che anche il loro dio, che non dispone di appendici spaghettose, possa apprezzare di poter stare un poco più vicino ai suoi fedeli, senza dover passare ogni volta dai signori di cui sopra.

Tutte le gerarchie ecclesiastiche poi sono scelte per via elettiva da valdesi di qualunque estrazione sociale. Credo ogni anno, i valdesi si riuniscono e votano i rappresentanti della loro chiesa. A loro volta votano questi rappresentanti votano per altri rappresentanti più importanti che decidono per un territorio più ampio e così via, fino ai rappresentanti importantissimi, che si ritrovano a Torre Pellice per decidere di tutto e tutti. Rispondendo però delle loro decisioni a chi li ha votati, un po’ come in teoria dovrebbe succedere con la politica. Una piccola annotazione: ad un certo livello il numero dei laici eletti deve essere maggiore o uguale a quello dei religiosi. Mica male come regola. Tutto ciò è un po’ diverso da quell’altra religione, come si chiama…. ah sì: il cattolicesimo, dove il voto non si sa nemmeno cosa sia, e se sei laico puoi solo pregare e ascoltare le opinioni del giorni della CEI al telegiornale della sera. Se la chiesa valdese è una democrazia, la chiesa cattolica è una monarchia assoluta. E la chiesa pastafariana è un’anarchia, beninteso.

Quanto letto di questa chiesa ci ha affascinato. Subito lei va a vedere gli orari delle loro cerimonie alla chiesa di Brescia. Ottimo orario: domenica mattina, alle dieci e mezza. Non troppo presto, e coordinato con l’aperitivo alla fine. Almeno, considerando una durata standard del rito, al momento ignota.

Io sono curioso, e mi offro volentieri di accompagnarla. Già mi vedo a proporre una alleanza pastafarian-valdese al loro capo. Mi riprometto anche di non portare abiti pirateschi, di stare attento e di comportarmi come un buon valdese. Non faccio altro che seguire i dettami della chiesa pastafariana: rispetta gli altri e bevi la tua birra in santa pace.

La chiesa valdese di Brescia rimane vicino alla statua del Garibaldi a cavallo, in fondo all’omonimo corso, giusto di fronte alle fermate delle corriere. Come da foto sotto.

C’è qualcuno: all’interno stanno cantando. Ci intrufoliamo velocemente. Nessuno ci guarda, ma la sensazione è che l’occhio vigile del loro dio ci abbia già scoperto. Se ciò è vero, si manifesta nello sguardo severo dell’unica persona rivolta verso di noi: l’austera pastora. Non guarda nessuno in particolare, come se il suo sguardo vagante le permette di ascoltare meglio il coro alla sua sinistra, ma è come se guardasse tutti. La sua somiglianza sia nell’aspetto che nel tailleur con la Gabanelli, giornalista conduttrice di Report, è affascinante ed inquietante allo stesso tempo.

Per cercare di non farmi scoprire, mi guardo in giro. Subito vedo l’oggetto più misterioso di tutta la chiesa, che senza tale strumento potrebbe addirittura passare per una normale chiesa cattolica (a parte la donna in tailleur sull’altare): un tabellone alla destra della pastora mostra numerologie cabalistiche, e solo dopo diversi minuti riesco a decifrarne il significato recondito.

Riporto di seguito l’enigma:

  89123

169123

14212

2131234

  54

113123

Effettivamente non ci era stata fornita una chiave essenziale per la soluzione. Questa arriva prontamente alla prima canzone corale. Alcuni fedeli valdesi si accorgono che non abbiamo il canzoniere. Ce ne forniscono prontamente circa sette o otto. Non vogliamo sembrare ingordi: ringraziamo e ci accontentiamo di uno a testa. Nel momento in cui la severa pastora indica il numero del canto, inizio a comprendere il sistema di decifrazione dell’arcano. Le parti sinistre dei numeri vanno ad indicare il canto da cantare. Le parti destre, in cui è visibile abbastanza facilmente un progressivo intero, indicano quali strofe vanno cantate, e quando dobbiamo fermarci. Meno male: almeno a cantare credo di riuscirci.

Ho trovato un oggetto uguale qui con tanto di inquietante manichino, ma dalla foto seguente la comprensione è molto più facile, a patto di saper leggere. Lo sguardo di Barbie Pastora Valdese poi nemmeno lontanamente mi ricorda quello dell’attenta pastora della mia funzione.

La pastora in ogni caso parla italiano da italiana. Le premesse sia per quanto letto in rete che per i presenti nella chiesa facevano pensare a tutt’altro. Ci sbagliavamo. Il coro canta ogni tanto qualche canzone in un una lingua angloafricana, accompagnata da incalzanti ritmi tribali. La pastora si diverte e invita tutti ad battere le mani con un tempo appena appena difficile, che già metterebbe in difficoltà gran parte dei cattolici oratoriali. La pastora invita alla versione più semplice, limitandosi a battere tre colpi e a saltare il quarto. Qualche africano più esperto si cimenta nella stessa struttura, ma con un paio di colpi in levare non da poco. Io seguo la proposta della pastora. Pecco miseramente sul finale, dando due colpi di troppo, appena camuffati dal finale a cappella del coro.

La celebrazione alterna un paio di chiacchierate della pastora ad alcune letture bibliche. Niente di nuovo, in base ai miei trascorsi da giovane cattolico. Ad un certo punto vengono fatti gli annunci degli eventi presenti e futuri della comunità. Pare che sia in corso proprio in questi giorni un megaincontro degli alti vertici a Torre Pellice. Quindi quella che vediamo non è la vera pastora, ma una sua sostituta, ospite della chiesa. Quella vera è al megaraduno. Poi ci dicono che un signore importante della chiesa valdese ha la moglie che è in ospedale per una operazione, e tutti i fedeli vengono invitati a mandare email, sms o a telefonare per augurare pronta guarigione. Che cosa strana. Carina però, credo. Non ho chiesto il numero della signora: non avrei saputo esattamente cosa dire, anche se forse avrebbero apprezzato.

Quando si invitano i fedeli a lasciare una offerta, parte una musica che concilia la generosità. La ragazza che gira col cesto si dirige subito con sicurezza verso la pastora: è dato per scontato che anche lei contribuisca. A quanto pare ho trovato un’altra differenza: l’elemosina non serve a pagare il suo stipendio, altrimenti il suo gesto perderebbe un poco di significato.

All’improvviso, dopo altre canzoni e discorsi, la celebrazione finisce. Niente comunione e rivisitazioni di miracoli vari secondo le antiche tradizioni cristiane. Niente segni della croce o crocettine tracciate col pollice sulle parti del corpo giudicate più degne dell’ascolto del vangelo. Semplicemente qualcosa come un gioioso arrivederci. E la reazione dell’assemblea non è il classico stampede di bestiame a cui ero abituato con le messe cattoliche, roba da furiose sgomitate verso la porta, condite da frasi tipo “Eh che predica lunga! Non lo sa il prete che la domenica abbiamo su polenta!?” Qui anzi sembra che i fedeli non vedessero l’ora di iniziare a fare un po’ di rumore e confusione, attraverso una serie di abbracci, baci e chiacchiere nel centro della chiesa. Non ero abituato al concetto di comunità con la chiesa cattolica. Per come vedevo io i partecipanti alle funzioni, era più l’aria di una visita dal medico per la supposta domenicale.

Non so se devo iniziare anch’io ad abbracciare qualcuno o a presentarmi. Mi sveglia dall’imbarazzo la mia amata, che mi guarda divertita e mi suggerisce “andiamo?” Rispondo di sì. Sono solo due metri dall’ingresso, completamente libero dai fedeli che sono accalcati in mezzo all’edificio. ce la possiamo fare.

In realtà no: non ce la facciamo. Anche se sono solo due metri ci bracca subito la solerte Augustina, ovvero la responsabile della chiesa. Una donna di colore il cui classico ineffabile sorriso ci cattura senza pietà. Avrei voluto mascherarmi da turista lontano dalla mia chiesa valdese, ma non so se avrei retto alla distanza. Sicuramente Augustina mi avrebbe chiesto di quale chiesa, e se anche azzeccavo una chiesa esistente, avrei dovuto rassicurarla sullo stato di salute di un qualche anziano pastore. La mia donna previene questo mio rischio di sbandamento confessando il suo reale stato di apolide religiosa, sorvolando però sulla mia felice appartenenza al credo pastafariano. Dichiariamo come la cerimonia ci sia piaciuta, e sempre con il più sereno dei sorrisi Augustina ci concede un’uscita dignitosa dal tempio, concordando di rivederci la domenica dopo.

Conclusioni. Sì, un po’ mi sono divertito. No, non credo che abbandonerò la Chiesa Pastafariana. Boh, magari un altro salto lo faccio ancora. Si sa mai che ne nasca davvero un gemellaggio. O che riesco a capire come si può fare per ottenere il riconoscimento all’otto per mille.

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