Cosa si può fare quando non si può fare niente

Sono ormai tre settimane (quattro, due? vai a ricordare) che non si può fare niente. Si esce di casa solo per procucarsi il cibo, vestiti come il protagonista dell’Eternauta, di cui guarda caso faranno una serie tra poco, approfittando del fatto che l’unico personaggio presente indossa costantemente la tuta anticontagio. A furia di stare in famiglia e a cercare di comportarsi in modo normale ci stiamo quasi abituando: si lavora da casa, non si va da nessuna parte, niente parchi, amici, nonni e cugini. Niente gelaterie anche se c’è bel tempo. Niente cinema, niente shopping, niente di niente. Si sta a casa e basta.

La mattina mi ascolto un po’ di RadioBrescia7, con Ettore Ravelli che passa tutto il tempo a dire

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La religione ai tempi del virus

Questa bella foto non l’ho fatta io: l’ho presa qui

Quello che mi sconcerta di più di tutta questa cosa del virus è che i preti e tutta quella gente lì non sa bene cosa dire e cosa fare. E’ una cosa veramente strana perché di solito hanno una ricetta per tutto: crisi economica, immigrazione, come, perché e soprattutto con chi fare l’amore, ce ne è per tutti. Come se il loro ossequioso gregge di pecorelle non fosse in grado di avere un’opinione o di prendere una sola decisione autonoma e avesse sempre bisogno di qualcuno che lo faccia al posto loro. Adesso però che c’è un problema oggettivo che sembra fregarsene altamente dell’autorità religiosa, ecco che le cose cambiano un po’. Per la prima volta da che so io il fedele è invitato ufficialmente a non andare a messa, in spregio al terzo comandamento:

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