l’atto pratico dello sbattezzo, tra avvistamenti e raccomandate

Dopo aver scritto questa pagina lunedì scorso, ho iniziato le pratiche tecniche per invitare finalmente il parroco di Gussago a rimuovere il mio nome dal suo registro dei battezzati.

Ho scaricato per l’ennesima volta da qui il documento dello sbattezzo. Grazie UAAR per renderci facili e comprensibili le sottili questioni stato/chiesa in cui noi comuni sprofonderemmo miseramente. Grazie decreto legislativo 196 del 2003: con te i nostri diritti di confessione religiosa si camuffano da diritti alla privacy.

Il documento dello sbattezzo non è proprio bellissimo, anche se bellissimo è il compito che gli viene assegnato. Sembra un modulo per la disdetta di un qualsiasi servizio a pagamento. Ecco, è così, nella sua burocratica sterilità:

sbattezzo modulo per parroco


Leggendolo, uno può aspettarsi di trovarlo pieno di acide considerazioni contro la chiesa cattolica, come scritte dalle stesse mani che scrivono decine di articoli al giorno al gusto fiele e veleno su uaar.it . Non è così: non ci troverete una sola malignità. Pura formalità burocratica, con ripetizione alla nausea della codice segreto 196/2003, la chiave che apre la via all’apostasia. A furia di cercare però forse c’è una piccola parte di involontario umorismo: quando si chiede al povero parroco che il mittente rinuncia “fin da subito a qualsivoglia pausa di riflessione o di ripensamento in ordine alla soprascritta istanza”. Mi evoca l’immagine di migliaia di vecchi parroci di campagna, sparsi in tutta Italia, terrorizzati dal dover riportare al proprio superiore l’orrore burocratico della lettera che tengono in mano, al punto di appellarsi alla disperazione con una “pausa di riflessione o di ripensamento”. Le estreme armi del clero contro chi non teme scomuniche ed anatemi.

Letto e riletto, ci ho pensato un po’ su, e alla fine ho deciso di scrivermi a mano tutto quanto, come a voler dire al parroco che noi empi senzadio siamo comunque abbastanza alfabetizzati da poter buttar giù una lettera dattiloscritta senza troppi errori, e senza andare troppo storti con le righe. E nel contempo anche di offrire un po’ di conforto umano al prete che la riceve, come a dire che non sono una macchina, ma che ho dedicato un po’ del mio tempo per rispetto al tempo che lui nella sua sofferenza dedicherà a me. Poi magari manderà anche la lettera al grafologo pontificio a Roma, per capire che orribile personalità malvagia e contorta sta dietro ad una richiesta tanto disumana. Se lo fanno, magari scopriranno anche che sono un ragazzo normale con irriverenti aspirazioni piratesche, un ottimo rapporto con un Dio Invisibile e Spaghettoso e dotato di un gran senso dell’umorismo, e che semplicemente non ne può veramente più una lunga serie di comportamenti disgustosi della chiesa cattolica apostolica romana.

Ecco qua il risultato, così come è stato fotografato dal potente satellite del Vaticano:

sbattezzo autografo

Ci ho messo un po’ a scrivere tutto, e due fogli invece di quello solitario della versione digitale. Probabilmente è anche un po’ meno comprensibile, per quanto mi sia sforzato di dominare l’estro della mia mano mancina. Non ho fatto nessuno scarabocchio, ma non ho rispettato molto il mio secondo proposito, ovvero quello di fare le righe dritte. Pazienza, chissà che idea si farà il grafologo del papa. Sono però molto contento di come il secondo foglio sia pieno per tre quarti, che reputo un’ottima percentuale conclusiva, e mi riempie di orgoglio la mia firma finale, che ultimamente trovato molto travagliata ed impoverita di personalità a causa di una serie di aride ripetizioni burocratiche.

I due fogli sono finiti piegati in tre parti a fisarmonica e imbustati con la fotocopia della carta di identità. Quindi orgogliosamente portati in pausa pranzo all’ufficio delle poste.

E qui potrebbe essere già il primo capitolo della saga di Ulisse. Questo articolo non vuole parlare dei disservizi di uno stato vittima di se stesso, ma quando vado alle poste so già che può capitare che tutto vada per il meglio, ovvero che banalmente non succeda niente di strano, o che invece qualcosa vada storto, anche senza che si arrivi ala rapina. Nel mio caso ho beccato il solito raduno di anziani che hanno deciso di festeggiare con orgoglio una qualche loro misteriosa ricorrenza andando a richiedere servizi all’ufficio postale proprio quando il non-pensionato come me esce dal lavoro. Il numero che mi ritrovo in mano dista di diverse decine da quello sul tabellone, e gli sguardi desolati della gente in coda mi evocano immagini di film sull’immigrazione dei nostri compatrioti ad Ellis Island. Bene, grazie, forse è meglio tornare un’altra volta.

Controllo gli orari di chiusura, aspettandomi il peggio. Ma no! Piacevolissima sorpresa: le poste chiudono alle 19:15. Insperato davvero: posso tranquillamente tornare all’uscita dal lavoro.

Così accade. Sorpresa! Poste chiuse. Ma come!? Una gentile signora, pure lei impegnata come me a citare tra i denti il nome di dio invano, mi fa notare un secondo cartello, meno evidente del primo e posto ad altezza cane, che recita qualcosa come “orario estivo: dalle 8:15 alle 13:15”. O qualcosa del genere. Bravi, grazie. Ritiro quanto detto prima. E mi chiedo da cosa possa nascere il rancore che si nutre verso i dipendenti statali. Boh, chissà.

Che poi le mie non sono altro che malignità dettate dall’ignoranza: se d’estate i dipendenti delle poste lavorano meno ore al giorno, sono più che sicuro che a ciò corrisponde una detrazione proporzionale dello stipendio. Per forza. Quindi non stiamo lì a perderci del tempo: si torna di sabato mattina. Prima però controlliamo bene gli orari del sabato, che non si sa mai. E facciamo anche un paio di giri dell’edificio, alla ricerca di altri eventuali fogli informativi su orari e modalità.

Il sabato decido di partire preparato. Mi porto da leggere e da bere. Infatti tempo tre minuti e vengo servito. Quando poi chiedi di fare una raccomandata compreso nel prezzo c’è lo sguardo miserevole e accondiscendente della impiegata che ti dice “guarda che per la raccomandata devi prima compilare questo!” E tira fuori un foglio da sotto la sua scrivania. Non ho ben capito se si aspetta che io prima ancora di essere servito scavalchi la loro porta da saloon, giri dietro alla loro scrivania e mi prenda un foglio da solo e mi metta a compilarlo, di modo da arrivare perfettamente preparato quando mi trovo di fronte a lei. Dio degli Spaghetti, aiutami Tu.

Compilato tutti i fogliettini, controllato, consegnato e pagato. No grazie, signora, niente posta celere. Sì: da Gussago a Gussago. (Cambia qualcosa se è da Gussago a Rodengo?) Mi viene da chiedermi cosa accadrebbe se dovessi chiedere la posta celere o aerea per spedire una raccomandata al parroco che di fatto abita giusto a centocinquanta metri da casa mia. E che anche oggi ho incontrato che mi passava davanti mentre uscivo di casa per mandargli una lettera. Tengo questi misteri per me: già tre euro e novanta mi sembra un prezzo più che sufficiente per il servizio richiesto.

Un paio di pagnocchine dal fornaio e torno a casa. E incontro ancora il parroco. Gran Dio della Pasta, ma mi segue? O mi precede? E come fa poi, che lo becco sempre in senso contrario al mio, roba che se io vado lui torna, e se io torna lui va? E poi come fa ad essere così veloce, con quella sottanona bianca… Questi misteri un po’ mi lasciano perplesso, ma me li scrollo di dosso pensando che la ricerca del divino nell’inspiegabile è un tipico vizio delle religioni arcaiche come quella per cui giusto oggi ho richiesto di non farne più parte. Basta, questa pecorella smarrita non vuole più essere salvata, e avete tempo quindici giorni per dimostrare di averlo capito. Beee beeee beeee.

Grazie, buonanotte.

pecora e pecorino