Il misterioso mondo del non-vitello non-tonnato e dei suoi piccoli amici

Un paio di anni fa, alla stessa festa, ho mangiato nel giro di due sere una delle pietanze più sorprendenti, ed uno dei panini più terrificanti. La cosa pazzesca è che provenivano dalla stessa cucina, per mano probabilmente dello stesso cuoco. Un cuoco vegano.

Cosa c’era di diverso tra il primo piatto ed il secondo? Erano due categorie completamente differenti. Il piatto buono era sostanzialmente un’insalata. Il piatto cattivo era un panino alla plastica.

L’insalata era ricca e fantasiosa, piena di ingredienti affascinanti alla vista e gustosi al palato. Ogni boccone mi faceva sentire un povero ignorante che ha sempre considerato la caprese col tonno come l’insalata più buona che si potesse mai fare.

Il panino invece era qualcosa di imbarazzante e senza senso, a partire dal nome stesso. In realtà tutti i panini avevano dei nomi senza senso. Se la regola per le insalate nel menù era di elencarne gli ingredienti, per i panini doveva essere sufficiente un aggettivo: panino gustoso, panino ricco, panino creativo. Non mi ricordo bene che panino ho scelto, ma sono sicuro che io ed il mio compare abbiamo preso due tipi di panino diversi per trovarci poi nel piatto lo stesso panino, di un terzo tipo. Perché gli altri erano finiti. Già che ci sono, specifico che se abbiamo optato per dei panini accompagnati da aggettivi sospetti, era perché anche tutti gli altri piatti erano finiti. Questi panini non erano la versione fast food dell’insalata del giorno prima, ma già dall’aspetto facevano capire di voler essere un’imitazione povera ma pretenziosa di un hamburger in chiave vegana. Quello che penso ancora prima di infilarlo in bocca per iniziare a morderlo, è che la dieta vegana vuole battere quella carnivora dove la seconda è più forte. Quando lo mordo inizio a credere che questo tentativo sia un suicidio.

Già: non sono più sicuro che questo non-panino dall’aggettivo simpatico sia commestibile. Mentre mi sforzo di triturarne il contenuto con i miei allenati denti da carnivoro, ho il tempo di farmi una domanda:

perché gli hamburger classici sono così buoni?

Perché siano essi presi in una nota catena americana, che in un piccolo bar di paese, in autostrada o dal doner kebab in stazione, seguono tutti le regole sacre del panino, descritte magistralmente nel quinto libro della trilogia più spaziale di tutti i tempi. I panini fatti come si deve contengono, in ordine di importanza:

  1. uno strato di animale morto più o meno trattato
  2. una salsa ricavata in genere dai fluidi di un animale vivo o da un embrione
  3. delle verdure

 

Cosa accade se al posto del primo ingrediente ci metto, ad esempio, uno strato di cartone compresso, e al posto della salsa una sua versione a base di acqua e soia? Ricavo un oggetto che si fa fatica a chiamare cibo, e di cui il cliente vegano è il primo a starci alla larga.

E allora, mentre mi sforzavo di ingoiare questo delirio a strati, il mio pensiero andava nostalgico alla insalata del giorno prima, bella d’aspetto e deliziosa in bocca, tra il dolce della salsa, l’amaro dei semini di sesamo, e la trasgressione untuosa della fetta di torta di ceci come companatico. Perché un cuoco che è in grado di prepararmi un piatto così buono, deve tentare di uccidermi il giorno dopo? E’ la vendetta del vegano nei confronti di noi consumatori di risorse e generatori di crudeltà?

Ho dormito per alcuni mesi con questo mistero. Poi la mia amata si è iscritta ad un breve corso di cucina vegana organizzato nel circolo di alcune mie amiche. Ogni sera che tornava estasiata i suoi racconti erano per me un’esperienza unica. Apprendevo dell’esistenza di pietanze ricavate da non-animali affascinanti e misteriosi come ad esempio il non-vitello non-tonnato. Per prepararlo è necessario prima impararela ricetta della non-maionese. Attenzione che il non-uovo non impazzisca, mi viene subito da dire. Sembra che gran parte delle pietanze della cucina vegana siano delle imitazioni di qualcosa che in natura c’è già, ma con il difetto di avere almeno un ingrediente di origine animale. Come a dire che basta impegnarsi un po’, e noi vegani vi facciamo tutto quanto uguale, dalla non-carbonara al non-ragù alla bolognese, dal non-coniglio alla non-cacciatora al non-spiedo con i non-uccellini alla non-bresciana. Un tripudio di negazioni per la più nobile delle cause della cucina moderna.

Ai corsi segue una cena vegana, stesso posto, stessi cuochi. La mia metà partecipa con alcune amiche curiose. Io non posso partecipare, perché con le amiche si fanno discorsi da donne. Colgo l’occasione per bermi qualche birra (vegana, chiaramente) con un amico nel bar del circolo. Quando ormai hanno servito la torta ed in cucina stanno rassettando, colgo l’occasione per intrufolarmi a salutare le mie amiche, ma soprattutto per una chiacchierata con uno dei cuochi vegani. Neanche a dirlo, era uno di quelli della festa con l’insalata divina e il panino della morte.

Questo cuoco non è un omone grosso e pericoloso alla Long John Silver, ma un ragazzo normale che fa catering vegani con la sua ragazza. Non è nemmeno anemico, magrolino o verdastro come in genere vengono dipinti i vegani da quei carnivori che li disprezzano dall’alto della loro più suberba ignoranza. Mi è sembrato subito una persona ben disposta e ragionevole, e questo ha reso ben disposto e ragionevole anche me.

Mentre mangiavo a sbafo una buona fetta di veg-torta al veg-cioccolato, scoprendo che al posto delle uova spesso si usano le banane come ingrediente incollante, ho occasione di fargli i complimenti per le insalate vegane. Ne avevo mangiata una sola cucinata da un vegano in vita mia, ma questo non vuol dire che non mi sentivo abbastanza esperto rispetto al resto dell’umanità, al punto di potergli dire che era buonissima! Quindi, una volta che ho fatto capire che sono sì un carnivoro, ma curioso e ben disposto, posso dirgli cosa mi affligge nella vita:

“ma i vostri panini al copertone, perché?”

Credo di averlo punto nel vivo. E’ chiaro che quella sera, una volta a casa, lui stesso non avrebbe aperto il frigorifero alla ricerca di una fetta di suola di Converse affumicata con cui imbottirsi un sandwich veloce. E lo ammette: quegli strati misteriosi e resistenti alla masticazione che occupano lo strato centrale dei loro panini altro non sono che un’imitazione ricavata dagli amidi (mi sembra di ricordare) per invogliare i non-vegani a provare la cucina vegana. Quindi, come fino ad allora mi rifiutavo di pensare, sono proprio degli strati di qualcosa di derivazione industriale che si preoccupa di imitare l’aspetto, la consistenza ed il sapore del prosciutto e degli affettati in genere. Fallendo su tutti i fronti nel più miserevole dei modi. Forse è un po’ che i vegani non mangiano un panino con la bresaola e non conservano un ricordo valido, ma quella cosa che c’era nel mio panino era veramente preoccupante. Dall’aspetto ho pensato volesse imitare la bresaola, se non altro per via del colore rosso violaceo uniforme, ma una volta in bocca il pensiero è andato più ad una grossa fetta di pongo e vinavil cotta al sole.

Faccio notare al cuoco quello quello che per me che lui sa già: “pensate che ad un carnivoro possa piacere una così misera imitazione di una delle cose che gli piacciono di più in assoluto come i panini con gli affettati?” ma non serve la risposta, che in ogni caso non arriva: le rispettive donne ci riportano ai nostri doveri, ed ognuno torna a casa sua.

L’estate seguente la festa vegana si sposta dal mio paesotto alla città: il posto è meno suggestivo ma ci si sta meglio, e ci sta una cambusa più ampia: il rischio che ti portino il panino sbagliato è minore. Ci vado con lo stesso amico dell’anno prima e con il mio primogenito, nato nel frattempo. Dal menù saltiamo a piè pari la sezione dei panini, per scegliere due gustose insalate vegane condite accompagnate da due altrettanto gustose birre artigianali. Dal momento che gli alcolici di regola sono vegani, sarò sempre ben disposto verso queste feste del cibo bestia-free. E anche qui ne usciamo più che contenti. Lo stesso pirata da passeggino apprezza le pietanze a tutto tondo, al punto che alla fine lascia pure indietro lo yogurt, e tocca finirlo a me. E per la prima volta in vita mia faccio la figura del vegetariano, ma nessuno ci dà peso.

Passano i mesi, e in un centro commerciale della città apre nientemeno che un fast food vegano. E’ di un franchising che risponde al nome di Universo Vegano. Dobbiamo mangiare prima del cinema, e passiamo a vedere cosa propone. E, accidenti a loro, mi ritrovo a precipitare di nuovo nei miei incubi a base di veg-imitazioni di carne e affini. Il menù l’ho preso, ma poi mi dava fastidio e l’ho buttato via. Fortunatamente qualcuno più bravo di me ne ha fatto alcune scansioni qui, che riporto.

 

Le veg-pizze e i veghiotti, tutti conditi col misterioso formaggio vegetale
Le veg-pizze e i veghiotti, tutti conditi col misterioso formaggio vegetale

 

I veg-panini e le veg-focacce, a base di veg-formaggio e di gustosa maionese vegetale
I veg-panini e le veg-focacce, a base di veg-formaggio e di gustosa maionese vegetale
I veg-contorni ed i veg-dolci, finalmente qualcosa di normale
I veg-contorni ed i veg-dolci, finalmente qualcosa di normale

E mi chiedo, ma funziona davvero allora questa roba? C’è davvero qualche carnivoro che si converte al veganesimo a colpi di veg-formaggio e prosciutto artificiale? Possibile che sia così difficile fare un menù in cui non ci sia almeno una pagina priva di qualche ingrediente simil-carnivoro per cercare invece di esplorare le meravigliose possibilità di una ricca dieta a base di vegetali?

A quanto pare sì, è molto difficile. Meglio proporre autentiche veg-prelibatezze a base di non-ingredienti quali:

  • il tonno vegetale (dove vive? Viene pescato negli orti più incontaminati usando dei veg-grissini come arpione?)
  • il salame vegetale bio
  • il würstel vegetale, probabilmente chiamato così perché ottenuto tritando molto finemente gli scarti di altre lavorazioni vegetali
  • il kebab vegetale, o vebab: immagino si tratti di una torre rotante di verdure miste progressivamente arrostite e tagliate. Questo, lo ammetto, sembra interessante.
  • il prosciutto veg, con tutta probabilità il copertone violaceo che mi sono ritrovato nel piatto un paio di anni fa. L’unico prosciutto che non va a male se lo si lascia fuori dal frigo per dei mesi.
  • la frittata vegetale, ovvero la frittata senza uova. non si faceva prima a dire che è una torta fatta con gli ingredienti che contiene? (es: torta di ceci, torta di soia…)
  • il filetto di lupino, che anche se la parola filetto fa pensare che sia ricavato da piccoli lupi, con ogni probabilità è fatto in realtà con i famigerati legumi dei Malavoglia.

Tutto quanto con la chiara intenzione di battere i carnivori proprio là dove sono imbattibili.

Quante sono le insalate proposte in questo ricco veg-menu? Una, un unico degno elemento di una categoria fatta apposta, che riposta quindi  il nome al singolare: INSALATA. Come si chiama quest’insalata solitaria? Ma ovviamente Vegan Salad. Cosa c’è dentro? Il meglio che si può offrire ad un carnivoro in disintossicazione; tra le varie cose, tonno veg, formaggio veg e, ovviamente, l’immancabile soia.

Quella sera un’insalata me la sarei mangiata volentieri. Forse ho sbagliato, ma alla fine mi sono ritrovato a mangiare un non-veg-hamburger da un’altra parte, fatto di autentico animale morto. Con i fast food vegani se ne riparlerà quando avranno capito un po’ di cose.

Perché gli atei sono più antipatici dei testimoni di Geova

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Già, perché? Perché questo gruppo di persone che si riconoscono nei più fini valori umanistici, che danno tutta questa importanza ad un etica libera dalle religioni, al progresso della scienza e tutto il resto, perché sono così antipatici?

Probabilmente perché alcuni di loro trovano piacere a sbatterti tutto questo in faccia non appena ti azzardi a dire che tra le priorità della tua vita c’è quella di soddisfare i desideri di un essere pandimensionale particolarmente schivo, al fine di scansarne le punizioni e, magari, di ottenere qualche ricompensa già adesso o da morto. Questa arroganza nei confronti dei credenti non va bene, perché è un atteggiamento poco conforme con lo spirito da illuminati che questi atei dovrebbero avere.

Non fanno tutti così. Il titolo magari è un po’ esagerato, ma se scrivevo:

Perché alcuni atei riescono ad essere antipatici quasi come il tipico testimone di Geova che ti suona il campanello di sabato mattina

Probabilmente l’articolo veniva letto da ancora meno gente del solito. ateo-al-campanelloCerto, se anche gli atei prendessero il brutto vizio di suonare i campanelli dei credenti di sabato mattina, sicuramente diventerebbero ancora più antipatici dei testimoni di Geova. E non credo che questo aiuterebbe molto nella loro causa. Se poi finissero a suonare ai testimoni di Geova sarebbe pure tempo sprecato, perché non ci troverebbero nessuno ad aprirgli.

E poi: se un ateo dice di sentirsi discriminato, direi che c’è chi sta molto peggio. Tipo le donne, che non possono andare in giro la notte o meno vestite di una suora di clausura senza che qualcuno possa sentirsi in diritto di avere rapporti sessuali con loro. O gli omosessuali, che c’è chi si ostina a volerli curare come se fossero dei malati, o a pensare che siccome sono differenti dai non-omosessuali, allora questa diversità deve essere pagata in termini di riconoscimento dei diritti fondamentali. Ma anche chi ha un colore della pelle diverso spesso viene mal giudicato per questo, come se essere di un certo colore altro non è che una indicazione per gli altri che in certe condizioni non mancherai di comportarti in certi modi poco graditi, e che se gli altri si comportano di conseguenza non è per razzismo, ma solo per prevenzione.

Insomma, ci sono tanti modi per essere discriminati, ma tra questi essere ateo è quello che fa più ridere. Faccio un elenco delle cose per cui vengono discriminati gli atei in Italia.

  1. Non possono dare l’8 per mille alla loro non-religione. Al massimo possono dare il 5 per mille alla loro associazione non religiosa. L’8 per mille è fatto per le religioni, e quindi se non credi in una religione sono fatti tuoi, e puoi solo scegliere la religione più simpatica, o la meno antipatica. Se consideri che lo stato in un modo o nell’altro poi dà comunque tutto alla chiesa cattolica, finisce che si sceglie la chiesa valdese, che se non altro usa l’otto per mille non per restaurare la casa in centro dei suoi cardinali, ma esclusivamente per fare beneficenza.
  2. Non possono ascoltare alla radio nazionale le prediche del loro non-papa o dei loro non-preti riguardo ai precetti morali consoni alla loro situazione di senza-dio.
  3. Non possono bestemmiare come si deve. Non credendo in dio, il nominarlo in modo ingiurioso perde tutto il gusto ed il significato. Tanto vale prendersela con il caso, la sfortuna o con la propria incapacità di prevedere gli eventi. Se lo si fa solamente per dar fastidio a chi in dio ci crede, allora si è solo dei cretini e maleducati, vedasi il titolo di questo articolo.
  4. Se sono minorenni non possono ricevere i regali che i parenti credenti forniscono generosamente in occasione dei vari riti religiosi di consacrazione: niente bicicletta, smartphone e oggetti costosi vari. La cosa ti fa rabbia, caro figlio di premurosi genitori miscredenti? E’ un problema tuo. E non puoi nemmeno bestemmiare.
  5. Se sono maggiorenni, devono comunque fare un regalo ai figli minorenni di amici e parenti che incorrono nel sacramento di turno, con in più la fregatura di doverlo fare controvoglia e col rischio che qualcuno te lo rinfacci. Se non altro se si è anche sbattezzati si evita l’onere di essere padrino/madrina e di dover quindi fare il regalo più grosso e costoso. Sembra poco, ma ci sono sacramenti cattolici per tutte le età, letteralmente da quando si nasce a quando si muore, e molti di questi sacramenti pretendono il regalo. Lo sbattezzo può salvarti in una buona percentuale di queste occasioni.
  6. Quando si sposa un amico metà delle volte questo avviene ancora in chiesa, e l’ateo o entra a disagio in questi luoghi lugubri e misteriosi, o aspetta al bar più vicino portandosi leggermente avanti con gli aperitivi. Ho messo questo punto tra gli svantaggi, ma credo che allo stato attuale delle cose in realtà molti credenti invidiano la possibilità di starsene fuori dalla messa come un privilegio esclusivo di chi non crede ufficialmente in quel dio.
  7. Quando muore una persona cara è brutto passare il tempo della messa al bar, anche perché comunque non c’è un ricco buffet a cui imbucarsi alla fine della cerimonia. Quindi o si fa la figura dei caproni che non vanno al funerale del caro amico, o si va alle veglie funebri, sperando di non incontrare il prete in visita, o si fa lo sforzo e si entra nel tempio, cercando di mettersi un po’ nascosti nelle ultime file. Altrimenti vi verrà rinfacciato.
  8. Se un ateo prova a candidarsi a qualche carica pubblica e si mette a distribuire volantini in cui si professa orgogliosamente ateo, sicuramente prenderà ancora meno voti che non se scriverà che è una lesbica di colore. Perché gli atei sono antipatici a chi non lo è. Magari sono simpatici agli agnostici e ai pastafariani, ma è ancora poco. Soprattutto se si parla di voti, anche perché un buon credente non vota un ateo a prescindere, perché sa già che chi non crede in dio è sicuramente una cattiva persona, mentre un ateo prima di votare un ateo magari si informa anche un po’ sul suo programma elettorale.

Di motivi ce ne saranno ancora, ma sono tutte sciocchezze, e derivano tutti dal fatto che gli atei sono pochi, e se sono pochi è perché quei pochi che ci sono sono pure antipatici e presuntuosi, e questo fa sì che rimangano sempre pochi.

tumblr_lbh2m2kpAX1qdbblao1_400In conclusione, se voi siete credenti, abbiate pazienza nei confronti degli atei: sono solo un po’ frustrati perché tutte le statistiche danno loro ragione, dicendo che sono persone più intelligenti, più attente, di migliore estrazione socioculturale, più aperte al dialogo, meno aperte ad ogni forma di delinquenza e così via, ma nonostante questo sono sempre pochi, mal sopportati e guardati con un misto di pena e timore da tutte le persone per bene.

Se siete atei, magari è ora di smetterla di stufare e di iniziare a godervi un po’ la vita. Alla fine siete nati in un’epoca buona per voi, visto che non vi bruciano al rogo e non vi torturano come era buona prassi della chiesa fino a pochi secoli fa. Oppure fate la cosa migliore, che è quella di convertirvi al Pastafarianesimo, la religione giusta per quelli come voi, per vari e validi motivi. Il primo tra tutti è che non è strettamente necessario che si creda nell’esistenza del divino, ovvero Sua Sugosità il Flying Spaghetti Monster, per ritenersi dei buoni Pastafariani; di conseguenza, sia che ci crediate o meno, ai fini pratici siete già seguaci del Divin Carboidrato. In secondo luogo, i suoi precetti morali sono abbastanza blandi, ma si trovano comunque a combaciare perfettamente con quelli di atei, agnostici e miscredenti vari; non dovrete cambiare idea in niente. Terza cosa, ci si ritrova ad appartenere alla religione più moderna e simpatica di tutti i tempi, che fa della filibusta e dell’ebrezza sociale la sua bandiera. Potrete andare avanti a professare il vostro ateismo senza problemi e senza la frequenza fissa di nessun luogo di culto, ma lo farete indossando dei simpaticissimi abiti pirateschi. Che, diciamocelo, a differenza di quegli stracci che vendono nei negozi del centro, questi non passano proprio mai di moda e tengono lontani i malintenzionati. Soprattutto se li si lava secondo il costume dell’epoca.

Contesti radiofonici

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Amo la radio, perché quando la si ascolta si possono fare tante altre cose, tipo cucinare, guidare, lavarsi i denti, preoccuparsi che un piccolo filibustiere di un anno e mezzo in cerca di nuove esperienze non si faccia del male. Non si può dire lo stesso del computer, che richiede una certa concentrazione, e in più attira le funeste attenzioni del citato minipirata. O peggio della televisione, che nonostante si discosti molto raramente dal passare programmi che non siano altro che un mucchio di maleodorante spazzatura, finisce comunque per calamitare l’attenzione di tutto il pubblico presente. Meno ovviamente del bambino, che sceglie quel momento per colpire qualche oggetto duro e spigoloso con la sua testa.

 

La radio è ancora più bella se si pensa che non si vede come è pettinato o vestito il conduttore, ma si sente solo la sua voce. E che questa voce è l’unico strumento che il conduttore ha per fare il suo mestiere, e quindi per convincerci a non girare la rotellina di sintonia della radio alla ricerca di una stazione con un conduttore che abbia una voce più gradevole, o qualcosa di più interessante da dire. Straordinariamente, molti famosi della televisione decidono prima o poi di passare alla radio. Questo per cercare di riscoprirsi in una vesta nuova e di mettersi alla prova, dicono loro, o più probabilmente perché in televisione il loro già insignificante talento è finito schiacciato miseramente dall’arrivo di una nuova generazione di inutili personaggi con l’unico pregio di essere più volgari e arroganti dei nostri fuggiaschi, e nel caso delle donne pure meno vestite. Insomma, la radio sa anche essere generosa e offre sempre asilo a questa schiera di miserabili. Ma è anche crudele, perché se in televisione uno era famoso per delle virtù non ben definite o per la fama stessa in quanto tale, è molto probabile che alla radio crollerà sotto il peso della sua arrogante nullità.

 

Insomma, alla radio ci si aspetta che si parli di qualcosa, che si affronti un argomento. Tale argomento è molto meglio se non è solo una chiacchierata salottiera tra un conduttore senza uno straccio di idea e di talento ed alcuni radioascoltatori che chiamano per dire la loro, spinti da inconcepibili manie di protagonismo; si finisce che una trasmissione nazionale va ad assomigliare alle annoiate discussioni che si stanno svolgendo in contemporanea in tutti i bar ed i parrucchieri d’Italia. Se voglio sentire persone qualunque che parlano di un argomento qualunque in modo qualunquista, allora è meglio spegnere la radio e andare in un bar qualunque o da un parrucchiere qualunque. O alla peggio su Twitter. Dalla radio mi aspetto di ascoltare qualcosa di interessante, che possa migliorarmi o perlomeno farmi riflettere.

 

Ma la cosa veramente affascinante della radio è che per molti versi rappresenta una delle frontiere dell’informazione, almeno quanto lo è Internet. Ma con Internet è facile: chiunque può dire la sua un po’ dappertutto: sul proprio sito nel ruolo di blogger, su quello di altri se si è dei troll, o addirittura su siti predisposti per fare dire la propria a tutti, se si decide di farsi risucchiare nel vortice informativo di un social network. E’ facile essere moderni e iconoclasti in Internet. Alla radio è diverso, perché la radio è comunque molto, molto vecchia, e per quanto ogni tanto si possa chiamare per dire la propria, rimane sempre un mezzo di comunicazione ad una sola direzione, in cui un tizio parla nel vuoto di un microfono, e se è bravo e l’orario non è proprio terrificante avrà la fortuna di avere un po’ di persone dall’altra parte che si lo ascolteranno senza poter rispondergli niente. Proprio per questo motivo, verrebbe da pensare che chi parla nei microfoni della radio voglia cercare un certo conformismo, per accontentare più persone possibile. A volte è così. Ma a volte no. E la cosa un po’ stupisce, in bene.

 

Per vedere quando la radio è conformista e quando non lo è, provo a rappresentare uno stesso scenario in due realtà un po’ diverse, come possono essere il primo canale della radio nazionale da un lato, ed una radio privata dall’altro. Come momento prendiamo la mattina di lunedì 6 aprile 2015. Per definire meglio il contesto, spiego che quel giorno era festa nazionale, essendo che il giorno prima i cattolici hanno festeggiato la ciclica risurrezione del loro dio mutaforma, e quindi necessitano un lunedì intero per riprendersi dai sacri fumi dell’incenso dei loro templi e dai più profani bagordi dei pranzi di famiglia. Quindi si sta tutti a casa per un giorno.

 

culto-evangelicoScenario numero 1: Radio 1, la radio nazionale

Qui le mattine delle domeniche e di tutte le feste cattoliche comandate sono occupate in toto da ogni forma di rubrica di stampo religioso: giornalisti ossequiosi, preti, vescovi e papi si alternano con ordine e timorata reverenza per dire la loro sulla loro divinità in una gara di ossequiosa deferenza. Alcune di queste trasmissioni permettono anche ad alcuni radioascoltatori di chiamare, purché adeguatamente selezionati. Per capirci, non ho mai sentito nessuno chiamare che si professasse dubbioso, pastafariano, satanista o, peggio ancora, ateo. La telefonata assume sempre i toni di una confessione o di un atto di fede, una specie di tentativo grossolano da parte del radioascoltatore di ingraziarsi i favori del suo dio, ma operato su scala nazionale.

 

Non voglio annoiarvi a morte con un resoconto completo. Se è questo che volete, potete accendere Rai Radio 1 nella mattina di un qualsiasi giorno di festa, e vi beccate un autentico campione in tempo reale. Vi faccio un breve riassunto indolore:

 

  • Giornalista ossequioso: sentiamo se c’è qualcuno in linea, pronto…
  • Radioascoltatrice timorata di dio: buongiorno a tutti, sono Crocifissa Addolorata, e chiamo da Monte Pio. Volevo farvi i complimenti per la bellissima trasmissione!
  • Prete presente per vigilare sul buon esito della trasmissione: che dio sia con te, cara Crocifissa Addolorata!

 

e via andare tra ringraziamenti reciproci e salamelecchi vari.

 

dr-feelgoodScenario numero 2: La radio privata

Se cambiamo contesto, cambiano anche i toni. Non siamo più nella riserva religiosa protetta della radio nazionale, ma in una radio privata. Neanche a dirlo, nel lunedì indicato stavo proprio ascoltando una di queste radio: cercherò quindi di ispirarmi ad una conversazione reale. Stiamo parlando della trasmissione Buongiorno Dr. Feelgood di Virgin Radio. La trasmissione funziona più o meno così: il DJ mette i dischi e ne parla brevemente. Ogni tanto un radioascoltatore chiama. Il DJ parla di tutto in un modo entusiasta e clamoroso, forse un po’ fuori luogo per l’orario mattutino. Probabilmente si sforza di mettere un po’ di buon umore in chi per cause esterne si è alzato prima di quanto avrebbe voluto, come il sottoscritto. Oppure il nostro uomo ha un serio problema di dipendenza di sostanze psicotrope.

 

Ecco più o meno a memoria mia la divertente telefonata che ho ascoltato:

 

  • DJ: buongioooorno da Doctor Fellgooooooood! Chi sei e da dove chiami?
  • A: Ciao, sono Annunziata e chiamo da Paesopoli.
  • DJ: Ciao Annunziata! E dicci, come farai in questa domenica di pasquetta?
  • A: Beh, tra poco andrò a messa, e poi andrò a pranzo da mio padre.
  • DJ: Ah! Sei credente quindi.

 

E la conversazione va avanti, ma al nostro uomo manca un po’ del suo nativo entusiasmo. Per alcuni momenti si avverte molto chiaramente il suo disagio, come se stesse portando a passeggio al parco l’ultimo esemplare femmina di ratto cincillà boliviano, senza guinzaglio. Alla fine però il professionista ne esce con una eleganza tutta sua, mettendosi a parlare di Bruce Springsteen e di come i suoi concerti assomiglino molto ad una celebrazione eucaristica. bruce-popeAnnunziata acconsente timidamente: un attimo prima si è detta una fan del Boss, ma forse trova il paragone un po’ blasfemo, e ha paura che ad accettare il paragone in modo troppo entusiasta scatenerebbe le ire vendicative del suo dio di misericordia. O forse si sta chiedendo come sarebbe andare ad un concerto rock tutte le domeniche mattina, con Bruce Springsteen in abiti talari e la E Street Band sull’altare dell’organo al posto del tizio polveroso con la chitarra e il maglione a girocollo. Anch’io ho i miei dubbi riguardo a questo paragone: non sono mai stato ad un concerto di Bruce Springsteen, ma me li hanno sempre descritti come straordinariamente divertenti e coinvolgenti, e non conservo un ricordo del genere delle messe parrocchiali.

 

Cosa c’è di strano in tutto questo? Come prima cosa, che una ragazza apparentemente normale chiami Virgin Radio per dire che va a messa. E non con l’aria di martirio di un’appartenente ad una di quelle pseudosette cattoliche di timidi missionari da oratorio, tipo focolarine o chissà cosa, magari in un disperato tentativo di fare proseliti in un territorio ostile. Ha detto che stava per andare a messa con un tono normale, come se io chiamassi alla radio per dire che sto per cambiare la sabbia del gatto o che sto facendo un bucato di mutande e calzini. Solo che la radio è strana, perché parlare di messe non è come parlare di cacche di gatto o di biancheria puzzolente. E’ come se la radio fosse una specie di porto franco alloggiato in una dimensione parallela in cui chi va a messa e quindi crede in una antica divinità è uno stramboide mbarazzante ed imprevedibile da trattare a distanza con riguardo ed attenzione. Insomma, diciamocelo: la radio privata è un posto normale, un mass media dedivinizzato.

 

So cosa state pensando, che non tutte le radio sono così. Anzi, proprio le radio dalle frequenze iù invadenti sono quelle che sgranano rosari dalla mattina alla sera, e alternano le telefonate di pie donne preoccupate su come va il mondo agli anatemi di preti medievali scagliati contro un mondo che si ostina a non volerli ascoltare nell’ostinata ricerca a migliorarsi invece che a ad arretrare. Vero. Ma considerando l’età media di conduttori ed ascoltatori, non ci darei troppo peso: nemmeno il tempo di una generazione possa risolvere il problema da sé.

 

Quello che alla fine mi fa amare la radio molto più della sua erede degenere chiamata televisione, è che è discreta. Per usare una televisione occorre starle davanti senza oggetti in mezzo. Questo perché funzionano con le immagini, e queste non vogliono ostacoli e vanno solo dritte. Quindi con il tempo le televisioni sono diventate sempre più grandi, per farsi vedere meglio da più persone allo stesso tempo, e hanno conquistato con sempre maggior prepotenza il ruolo dominante in una o più stanze di ogni casa. I salotti ormai andrebbero chiamati “stanze della televisione”, dato che tutti gli arredamenti sono orientati intorno al grande idolo televisivo. La radio invece usa i suoni, che sono più intelligenti delle immagini. Dato che i suoni rimbalzano sugli oggetti, succede che vanno un po’ ovunque senza troppi problemi. space-odissey-monolithQuindi le radio non devono per forza stare in mezzo ad una stanza o essere gigantesche per funzionare bene. Possono stare su un comodino, sopra un mobile, in tasca. E funzioneranno sempre bene. E la qualità delle radiotrasmissioni non verrà giudicata quasi mai in base alle dimensioni dell’apparecchio che le trasmette, come accade invece per la televisione. Se impariamo ad amare la radio invece della televisione, finisce pure che evitiamo di spendere interi stipendi per ingombrare le stanze di casa nostra con dei grossi monoliti neri da adorare tutte le sere, e possiamo investire le stesse risorse di tempo e denaro in altro modo. Tipo in uno di quei rari locali che vendono ancora birra senza che l’incasso sia devoluto a chi gli vende le immagini di partite di calcio proiettate dai televisori appesi in ogni stanza.