Sul vile furto di un bene piratesco ad opera di malvagi emissari coloniali

Per dovere di cronaca mi trovo costretto a riportare di un increscioso episodio che mi è occorso pochi giorni fa. Episodio che più che sofferenza mi ha causato un rancore ancora maggiore verso la già mal sopportata classe dei burocrati coloniali, gente malvagia ed infida, che usa mezzi furfanteschi tali da apparire sleali anche al più ruvido dei bucanieri.

 

 

Andiamo con ordine. Dovete sapere che per procurarmi di che vivere mi trovo durante il giorno a prestare servizio presso un’officina di paese. Sono quello che si occupa di far funzionare le comunicazioni di informazioni interne ed esterne attraverso l’uso di macchine costruite da altre aziende con dei derivati della silice.


 

La storia di cui voglio parlarvi ha inizio ormai circa un mese fa, quando il mio collega ed amico mi avverte che avremmo ricevuto la visita di due emissari coloniali. Il mio collega si sofferma anche a sottolineare bene l’importanza di tali figuri: non sono semplici visitatori, ma nientemeno che due inviati dal ministero, che intendono controllare che tutto quello che noi svolgiamo avvenga nel pieno rispetto delle regole da loro imposte. E nel caso venga trovato qualcosa che non incontri i loro gusti, ci inviteranno a correggere il nostro operato attraverso corpose sanzioni pecuniarie. Da tanti anni pare non avessero trovato una buona occasione per questa visita di cortesia, grosso modo per una generazione. Era proprio ora che tornassero a farci apprezzare l’amorevole e materna presenza del nostro stato anche qui nei freddi confini nordici dell’impero, perché va bene che siamo bravi e volenterosi, ma in trent’anni anche il più motivato ed ispirato dei capitani può perdere, seppur di poco, la Trebisonda.

 

I nostri emissari però fanno precedere il loro arrivo da una richiesta: il mio collega mi rende noto che, una volta giunti in luogo, è il caso che oltre al canonico macchinario per la generazione di fogli scritti, gli venga fatto trovare anche uno di quegli strumenti portatili che vengono usati per produrre, modificare e direzionare tali stampati. La procedura mi è nuova: so che in genere la prassi vuole che il visitatore, chiunque esso sia, porti con sé il suo macchinario portatile. Il nome stesso ne suggerisce la trasportabilità. Spesso poi il suo nome viene accompagnato anche dal termine “personale”, e non a caso: tale è l’affezione e la personalizzazione dovuta all’utilizzo dello strumento, che in poco tempo ogni individuo tende a considerare “personale” il proprio apparecchio, e non vede di buon occhio l’uso dello stesso da parte di altri personaggi. Converrete con me che quando mi è stato chiesto di fornire questo oggetto all’emissario, e che quindi mi sarei privato del mio per un tempo indefinito, la cosa non mi ha entusiasmato. Ma tant’è, prepariamo la macchina e facciamo in modo che nulla sia abbia a che dire sul nostro operato.

 

Puntuali come le cattive notizie arrivano due di questi inviati. Si impossessano subito del mio apparecchio. Io sapendo che queste persone sono spesso vettori di scocciature e cattive notizie, decido di portare a termine un lavoretto per lungo tempo rimandato, studiatamente presso il più remoto deposito merci della provincia di proprietà del mio padrone. Veloce come il percorso me lo consente mi metto in marcia, già sapendo che la relativa pace e tranquillità di cui avrei goduto quella mattina sarebbe stata quanto mai effimera, e che dal pomeriggio seguente non avrei più avuto altro che magagne e scocciature dai già citati signori del ministero.

 

E così è: mentre sto armeggiando nella mia remota posizione con macchinari più fisici che intellettuali, già mi giunge la richiesta della mia presenza nella sede principale. Non viene nemmeno citato il motivo, ma semplicemente il mio ruolo:

 

– E’ richiesto l’uomo che governa agli strumenti di comunicazione e di informazione!

 

Purtroppo sono io. Prolungo per quello che posso la mia opera locale, e già nel primo pomeriggio mi appresto ad andare incontro all’ignoto e fatale destino, chiedendomi quale cosa tanto grave possa richiedere la mia esclusiva presenza.

 

Nel pomeriggio sono di nuovo nella sede principale. I miei coscienziosi colleghi mi rinnovano la richiesta dei due emissari, e quindi mi armo di coraggio per varcare le soglie dell’alloggio dove i due signori sono stati stipati.

 

La stanza è minuta, ma già trabocca di grossi tomi e pile di carta stampata, sui mobili, per terra agli angoli della stanza e sul grosso tavolaccio centrale. Oltre a ciò, sul tavolo stesso c’è ovviamente il mio spaventato macchinario portatile. Girato di fronte a lui un suo simile, reso arrogante dalla volgare presenza di una scritta stampata sul dorso, che ne certifica la proprietà del ministero stesso. Tra i due strumenti e due pile di carta c’è anche il mio macchinario stampatore, nemmeno lui felicissimo di essere stato abbandonato nelle mani di siffatti personaggi. Ai lati lunghi del tavolo appoggiano le loro natiche su delle sedie di vimini i due temuti signori. Un uomo ed una donna, che potrebbero anche sembrare delle persone normali, forse addirittura modeste nell’aspetto, non fosse altro che il titolo con cui entrano in ogni opificio trasforma la loro discreta presenza fisica in quella di giganti onnipotenti. La mia collega mi segue immediatamente, forse per verificare che mi comportassi in maniera consona almeno alla prima visita. Con sé porta un vassoio per ristorare il loro dopopranzo con il miglior caffè che la nostra cambusa è in grado di offrire.

 

Dopo le presentazioni di rito, permeate da una ambigua cordialità, finalmente vengo reso partecipe del problema che ha richiesto la mia presenza urgente in quel luogo. Pare che tutti gli sforzi fatti dal nostro signore per dare corpo cartaceo a degli archivi presenti nel macchinario che gli abbiamo fornito sono stati vani. Per quanto lui si ostini a chiedere allo strumento di parlare con la stampatrice, i due si ignorano bellamente. E già si scusa per avermi dovuto chiamare e disturbarmi, ma nel contempo fa delle lievi e garbate insinuazioni sulla qualità degli apparecchi che gli abbiamo fornito.

 

Come spesso accade, il problema in questi casi è abbastanza banale, e lo risolvo rapidamente. E pure come spesso accade riscuoto grande ammirazione, come se invece che aver risolto il guaio attingendo alla mia esperienza di tecnico, mi fossi rivolto a delle forze arcane, facendo questo di me una sorta di mago o stregone. E così vengo subito definito, ed avendo certificato come io sia in possesso di doti soprannaturali che mi semplificano qualsiasi tipo di problema, il nostro amabile signore si sente subito autorizzato ad affibbiarmi degli incarichi di ben altra entità. Sono un mago, e quindi posso fare tutto quanto ed in tempi ristrettissimi. Quindi posso anche fare dei lavori di una noia mortale, oserei dire da segretaria, di cui sarebbe capacissimo lui, se solo ne avesse voglia.

 

Già la seconda visita però è accompagnata dalle più esplicite lamentele riguardo al macchinario portatile che gli abbiamo fornito per lavorare. Pare che non incontri il suo gusto, perché lui è abituato a quell’altra versione, quella prima. Da me si attende conferme che la versione precedente, quella da lui amata, è migliore. Mio malgrado mi ritrovo a dover elencare i pregi del vecchio rispetto al nuovo.

 

La sua avversione per lo strumento si manifesta chiaramente ed in modo inequivocabile il giorno seguente, quando il mio apparecchio si rifiuta di comunicare attraverso l’aria. E’ chiaramente un sintomo di stress, e mi sento in colpa di averlo abbandonato in queste mani. Cerco di rincuorarlo come posso, ma di fronte alla sua ostinazione mi vedo costretto a ricorrere alla vecchia comunicazione via cavo. Vado nella stanza più vicina fornita di un allaccio ed inserisco un capo del mio cavo chilometrico. Attraverso quindi il corridoio sbobinando la matassa, e quindi rimetto il mio macchinario nella possibilità di lavorare, seppur controvoglia.

 

Ma questo sistema non piace all’emissario, e i suoi dubbi sulla bontà dei nostri strumenti sembrano essere confermati dalla presenza di questa flebo che pompa le sue informazioni attraversa il corridoio, percorrendo una buona parte della sua stanza. Il giorno seguente giunge col suo apparecchio personale, che a quanto pare possedeva ma che per qualche oscuro motivo ha preferito da principio non usare. La conseguente richiesta è ovviamente che anche questo apparecchio possa parlare con il generatore di carta scritta. Risolto anche questo problema tecnico, mi viene fatto notare gentilmente che ancora sono in attesa che venga svolta la loro ultima richiesta. Mi scuso e mi congedo, per procedere all’opera il più rapidamente possibile.

 

E così la mia permanenza in officina diventa un continuo assecondare le loro richieste. E questo non solo per me, ma per gran parte dei miei colleghi. I due garbati visitatori sembrano godere di una voracità di informazioni senza pari, e ogni volta che mi accingo a varcare la soglia della loro stanza, mi ritrovo a passare qualche minuto in coda in compagnia di altre persone, tutti in attesa di essere ricevuti a esporre i nostri lavori.

 

Lavoro dopo lavoro, finalmente sembra che i signori abbiano trovato soddisfazione, e stiano per lasciare i nostri lidi. Lo capisco dal fatto che la richiesta che mi fanno questa volta è quella di aiutarli a far calzare una enorme tabella contenente delle lunghe serie orizzontali di dati nel loro foglio di rapporto, che malauguratamente non può essere altro che stretto e verticale. Di fronte all’impossibilità geometrica della cosa, forse galvanizzato che le parole “rapporto finale” mi fanno proprio pensare alla fine delle nostre reciproche frequentazioni, azzardo una proposta veramente idiota, ovvero che l’unico modo per far entrare la tabellona orizzontale nel rapporto verticale sia quello di dividerla in grossi pezzi verticali. Lasciando poi al lettore del rapporto la gioia di riassociare le righe mentalmente da un trancio all’altro del documento.

 

Durante questa ultima surreale conversione mi scappa l’occhio su di un particolare che mai avrei voluto vedere: se il mio apparecchio portatile era ormai ripiegato da due settimane, in punizione, in un angolo del tavolo, noto con orrore che il suo scatolotto di alimentazione è finito per non so quale motivo in dote al suo collega ministeriale, che ne fa uso garrulo con manifestazioni di gaie lucine, mentre io gli passo le istruzioni per sventrare la citata tabella sotto la compiaciuta supervisione dell’emissario. Se ho notato che la cassetta di alimentazione è mia, è per un semplice quanto inconfutabile motivo: una vistosa etichetta da me firmata e datata, sui cui troneggia centrale in Sacro Pesce Pirata Pastafariano. Da non molto tempo infatti ho preso la saggia abitudine di marchiare ogni strumentazione che abbia un valore maggiore di zero unito ad una superficie piana e sufficientemente ampia. Ben conscio della volatilità delle cassette di alimentazione degli apparecchi portatili, ho bollato con la Sacra Etichetta non solo il macchinario, ma anche il più minuto scatolotto da cui trae il nutrimento necessario per operare in continuità.

Questa è la foto di uno di questi scatolotti di nutrimento, con una etichetta del tutto simile a quella citata

 

Da qui l’orrore alla vista dello stesso collegato ad un altro macchinario. Ed anche lo sconcerto: da che opero nel mio settore, a memoria mia è estremante raro che due diversi apparecchi portatili, seppure usciti dalla stessa fabbrica, possano operare con lo stesso scatolotto di nutrimento. Questo perché i malvagi produttori di questi macchinari si ingegnano a creare spinotti sempre diversi, e a far operare gli stessi apparecchi con livelli di alimentazione pure differenti tra loro. Il tutto per il misterioso ed insano disegno di rendere altamente remota la possibilità che lo stesso scatolotto possa operare con successo con due macchinari, seppure dello stesso costruttore. Ed ecco di fronte ai miei occhi la prova terribile che se questo episodio rarissimo doveva mai accadere, sarebbe accaduto proprio nel caso in cui non doveva, ed il più sciagurato.

 

Non sottolineo la questione al gentile funzionario. Forse per non urtare la sua sensibilità con una domanda indiscreta che avrebbe potuto mettere in dubbio il suo onesto e irreprensibile operato di attento emissario del ministero. Che figura avrei fatto, esponendo quella che poteva sembrare come una forma di prevenzione al furto, quando la mia etichetta pastafariana timbrata e firmata troneggiava con tanta evidenza sopra la faccia superiore dello scatolotto? Il mio sarebbe stato un atteggiamento decisamente poco elegante, se non ostile.

 

Inoltre c’è anche un secondo motivo, anche più sottile. Sotto sotto mai avrei voluto che una bazzecola come questa potesse prolungare anche solo di pochi minuti la permanenza dei due dottori presso la nostra officina. Sarà, ma mentre scendo le scale per tornare nella mia stanza, non mi sento comunque tanto tranquillo.

 

Il ritorno dei due signori prende corpo solamente il giorno dopo. Pare che qui non abbiamo più niente da fare. Il mio collega mi previene, portando lui stesso nella mia stanza le mie apparecchiature. Quando mi accorgo che manga la scatola di alimentazione, non mi metto nemmeno a cercarla troppo in giro. Alla prima occasione che vedo il mio collega, gli pongo la domanda, senza sperarci troppo, se avesse trovato anche il mio scatolotto. No, non l’ha trovato. Nemmeno il tempo di dirgli di lasciar perdere, e lui generosamente torna sul luogo del delitto, per dedicare una ricerca più accurata dello stesso. Niente da fare: l’oggetto è sparito.

 

A questo punto gli spiego perché le mie speranze erano già poche prima ancora che lui mi portasse gli altri due macchinari. Lui comprende. Gli pongo la domanda ovvia e stupida, se è il caso o meno di contattare l’ufficiale ladro. No, mi dice, non tiriamoci la zappa sui piedi.

 

La storia finisce qui. Con un onesto funzionario del ministero, che nell’esercizio delle sue funzioni si è trovato nella condizione di impossessarsi di un oggetto chiaramente non suo, e non si è lasciato sfuggire l’occasione. Dicesi furto. Ed è un reato, per le leggi di quello stato di cui il nostro personaggio si fa garante con la sua assidua ed ingombrante presenza nella nostra piccola realtà privata. Credo sia anche peccato per diverse religioni, vedasi l’articolo sette di quella che con tutta facilità è proprio la sua, di religione, dato che è tutt’ora quella più ampiamente diffusa sul nostro territorio. Se fosse stato pastafariano, avrebbe certamente riconosciuto il Pesce Pirata, e dopo un piacevole scambio di urlacci pirateschi e pacche sulle spalle avremmo concordato tempo e luogo per una sana bevuta serale in una taverna di paese. Ma così non è stato.

 

Ho già provveduto a rimpiazzare il bene piratesco rubato ordinandone un suo gemello allo stesso fornitore del primo. Neanche a dirlo, dopo la mia prima lettera con la richiesta di offerta, il fornitore deve richiamarmi per una serie di domande inquisitorie su come dovesse essere fatto di preciso tale prodotto. Accidenti, siamo al colmo: pare che lo stesso identico macchinario portatile possa avere modelli diversi di scatolotti di alimentazione, ovviamente di tipo profondamente diverso tra loro. Da non credere.

 

Rimangono da tutto ciò un dubbio ed una speranza. Il dubbio è se l’abile furfante si sia accorto o no del fatto che si stava appropriando di qualcosa che non era suo. E di sicuro che se non se ne è accorto subito, cosa comunque difficile, se ne sarà comunque accorto dopo. Ladro conscio o inconscio, sempre ladro è, e la presunta innocenza durante l’atto del furto è una debole attenuante, una volta maturata la consapevolezza del gesto. La speranza è quella che o il mio o il suo dio prendano dei provvedimenti, e non dopo morte, come è prassi di entrambe le divinità, ma già in vita. Il suo dio perché così sta scritto: “settimo: non rubare”, e se si lasciasse scappare una punizione terrena come ai suoi vecchi tempi, non sarebbe certo male. Il Mio Dio è certo meno rancoroso e vendicativo, ma in questo caso c’è di mezzo un oggetto Benedetto da una Sacra Etichetta che è caduto in mani nemiche. Sarebbe giusto che l’oggetto stesso venga purificato con un piccolo incendio a seguito di esplosione. Magari causati proprio dalla non perfetta compatibilità tra i due strumenti. E se poi l’episodio dovesse danneggiare non solo lo scatolotto di alimentazione suicida, ma anche il parassita macchinario portatile collegato, non credo che sarebbe proprio malaccio.

 

Saluti rancorosi, il devoto Alberto

Abbordaggio di cortesia di un pirata pastafariano su hastalapasta.org

Per mille sughi, chi l’avrebbe mai detto? Pare che siamo usciti dal piacevole porticciolo dove navigavamo a vista dall’inizio della nostra avventura di questa primavera, per avventurarci finalmente nel tumultuoso mare dei Caraibi, dove abbordaggi, avventure e scelleratezze sono all’ordine del giorno. A darci il simbolico benvenuto è stato un nuovo amico pirata, il reverendo Giorgio de Angelis, che lanciando la rituale bottiglia con messaggio a bordo della nostra goletta ha iniziato le rituali schermaglie piratesche per stabilire una lunga e vigorosa fratellanza.

 

Il reverendo ci ha fornito subito le mappe piratesche dei possessi del suo gruppo, invitandoci ad entrare a far parte della loro ciurma. Abbiamo declinato l’invito, spiegando che preferiamo navigare ancora per conto nostro, ispirandoci ad un sacro principio di sana anarchia piratesca, ma ciò non toglie che abbiamo gettato le basi di una duratura amicizia.

 

Il reverendo Giorgio de Angelis, conosciuto come Al Zarkawi sui lidi di Facebook, si è fatto portavoce di una associazione pastafariana da lui democraticamente presieduta, la Chiesa Pastafariana Italiana. Tanti siti fanno capo a questa associazione. Quello principale credo sia questo, ma c’è anche questo. E poi hanno anche una associazione culturale, questa qui. Bravi.

 

Basta chiacchiere! Ho chiesto al reverendo di poter pubblicare il nostro scambio epistolare, e lui mi ha detto che i pirati sono pirati, e ci mancherebbe altro che chiedano per avere un permesso. Bene! Ecco qui di seguito tutto quanto.

 

Hasta la pasta!

 

il capitano Kidd seppellisce il suo gospel pastafariano


 

Ramen Fratelli di hastalapasta. Un sonoro Arrgh per il capitano di questo sito. Noi siamo un gruppo di Pirati Pastafariani con molte pagine diverse su FB (pirati pastafariani romani, pastafarian rock, priorato pastafariano alla trapanese, pastafariani lombardi, pirati pastafariani palermitani eccetera e facciamo tutti capo alla Chiesa Pastafariana Italiana (pagina FB: https://www.facebook.com/pages/Chiesa-Pastafariana-Italiana/286796408016028 ) sito internet www.chiesapastafarianaitaliana.itpastafariani.net – associazione Apsocus quest’ultima è una associazione culturale e sportiva pastafariana. Un nostro fratello vi ha scovati sul web e ha proposto di contattarvi. Io sono il Supremo Capo della Chiesa Pastafariana Italiana (CPI) attualmente in carica, il Pappa viene eletto ogni anno. Vi auguro che il PSV – Prodigioso Spaghetto Volante guardi con benevolenza i vostri sughi e attendo un piratesco segno di risposta da voi. RAMEN! Reverendo Giorgio De Angelis FB: Al Zarka!

wi.

 

 

RAmen, fratello di pasta! Sono il devoto Alberto, attuale timoniere della barca pastafariana di hastalapasta.org . Già sapevo della presenza di numerosi siti pastafariani più vecchi e seri del nostro, che è nato solamente questa primavera. Fa piacere sapere che sono attivi e attenti a chi arriva e a chi se ne va nel grande mare dei Caraibi.

 

Due parole su di noi. Nasciamo come tre amici compaesani a Gussago, piccolo paesotto del bresciano. Uno di noi è da tempo a Nairobi a fare figli, mezze maratone e anche a lavorare in una onlus e in una ONG. Gli altri due si ritrovano a regolarmente ad onorare il venerdì tra loro (e a volte anche altri giorni) da soli con amici simpatizzanti.

 

Chi ci ha convinto a far questo sito? Ovviamente Sua Sugosità! Ma anche i meravigliosi esponenti della chiesa cattolica, e i loro rappresentanti italiani della CEI. Quando uno è pastafariano non può esimersi dal diffondere il Verbo. Siamo pochi, felici ed in terra straniera, quindi la diffusione della Spaghettosa Parola è tassativa.

 

All’inizio ovviamente l’idea di buttarci nella politica religiosa era cosa forte, con autoproclamazioni a cariche religiose altisonanti o pretese di otto per mille a scopo di acquisto di piratesche imbarcazioni. Col tempo però le nostre idee sono un po’ cambiate. Complice anche la frequentazione mia e della mia dolce metà ad una cerimonia valdese quest’agosto, vedi articolo sul sito. Lì ho capito che la religione deve partire dal basso e non dall’alto. Siamo profondamente convinti di questo, anche se non abbiamo ben chiaro cosa voglia dire. Quindi ci limitiamo a scrivere una serie di articoli vagamente pastafariani, in attesa di essere ispirati da un Suo Tocco Spaghettoso che ci indichi una nuova direzione. E prima o poi vedremo anche di rendere un po’ più corposa la parte del sito dedicata alla religione. E magari di sistemarne un poco la grafica.

 

Abbiamo un po’ di progetti, ma per adesso sono ancora tutti allo stadio di idea da bar. E poi si sa che le email troppo lunghe difficilmente vengono lette fino in fondo.

 

Che il vostro boccale di birra sempre pieno e la vostra amatriciana sempre sugosa!

 

Devotamente, Alberto

 

 

Non fatevi scoraggiare dal fatto che siete in pochi, diffondete il verbo, collaborate con noi, presto saremo milioni e non pagheremo l’imu. Arrgh!

 

…E ci spetta anche il bottino, l’8mille dicono alcuni, secondo me ce deveno da minimo er 10%!!!

 

La mia visione della cosa, (e io sono il Pappa, mica uno qualsiasi) è più improntata a rompere le scatole che a combattere le religioni obsolete. Ci hai fatto caso che PER MOTIVI RELIGIOSI tutto sembra concesso? Gente in america che si coltiva i funghi allucinogeni per entrare in contatto con il loro dio ad esempio. Quindi noi, – per motivi religiosi – pretendiamo in nostri diritti (leggi privilegi). Io ad esempio in ufficio mi alzo e affermo che vado a pregare, prendo il mio pacchetto di sigarette e vado fuori. Che volete impedirmi di fumar…. ehhmmmm di pregare?

 

Religione dal basso? Io parlando in un’intervista a radio rock (the original) ho affermato che il pastafarianesimo è una religione più vicina alla persona, dove non ci sono stupidi divieti. Potremo elaborare ulteriormente il concetto in futuro.

 

 

 

Che il Prodigioso Spaghetto Volante riempia i vostri boccali e vi tocchi con le Sue Sugose Appendici per ispirarvi ad azioni pastafariane. Mi raccomando, non rimanete isolati ed in pochi.

 

Se volete iscrivetevi come pastafariani ufficiali (http://www.pastafariani.net/form/creatore.html).

 

Vogliamo raggiungere un certo numero di devoti per andare a parlare seriamente con il ministero degli interni.

 

Se avete idee o se volete preparare qualche azione vi aiutiamo volentieri.

 

A presto.

 

Rev. Giorgio De Angelis – FB: Al Zarkawi.

 

 

Carissimo Pappa,

 

mi fa piacere sentirti di nuovo. Devo però ammettere di aver fatto un grosso errore: non ho consultato la ciurma di hastalapasta.org prima di rispondere alla tua prima lettera. Forse l’emozione di parlare con una persona così importante come il Supremo Capo della Chiesa Pastafariana Italiana, forse per voler fare figura migliore con risposta veloce, o forse anche la presunzione di ben interpretare i sentimenti dei miei compagni di viaggio. Il risultato però è che mi hanno ripreso, dicendomi che nella mia precedente riposta sono stato fin troppo garbato e accomodante, sorvolando con troppa leggerezza alcune questioni di fondo che emergono dalle tue due email. Per semplicità e chiarezza voglio elencarti tutto qui di seguito.

 

-1-

 

Noi pastafariani siamo pirati, membri del popolo eletto dal Flying Spaghetti Monster. Ho letto più di un libro sui pirati, e non ho mai sentito parlare di capi supremi o stronzate del genere. Lo stesso Bobby Henderson, che fino a prova contraria è l’unica autorità riconosciuta nella nostra religione, si definisce profeta, ovvero colui che fa da intermediario con Sua Spaghettosità, ne recepisce il Sacro Verbo e lo distribuisce. Fine. Non è il capo di un bel niente. E non a caso: la stessa organizzazione della filibusta storica è quanto più orizzontale possibile: niente capi, solo pirati. Per quanto la filmografia romanzesca tenda ad attribuire poteri assoluti ai capitani, in realtà questo è un falso storico. Il ruolo del capitano era indiscusso solamente durante arrembaggi, saccheggi ed altre operazioni di ordine sociale che richiedevano coerenza e rapidità di esecuzione. Nella vita quotidiana ogni pirata era paritario. Al limite il capitano, grazie al suo carisma, poteva essere il grado di esercitare maggiore influenza sulle decisioni comuni, ma nient’altro. Al rientro dalle varie avventure, il bottino veniva spartito in quote maggiori ad ufficiali vari o a tecnici specializzati, come il chirurgo, e a chi avesse perso qualche arto o organo durante le operazioni. Le quote di distribuzione si basavano sopra un testo standard, ma venivano decise di comune accordo  all’inizio del viaggio. Mi sento quindi di definire la filibusta come una anarchia democratica. Assolutamente innovativa, se consideriamo come operasse in un periodo storico di monarchie assolute.

 

 

Io stesso nella mia prima risposta mi sono definito timoniere. Me ne sono pentito: semplicemente sono la persona che ha impostato il modulo dei contatti sul sito Internet impostandone l’invio nella mia casella email. Spero che il buon cuore dei miei compagni gli faccia perdonare la mia arroganza.

 

Capirai bene, caro Pappa, che l’imposizione dall’alto di un Supremo Capo della Chiesa Pastafariana Italiana è stato preso dai miei compagni di viaggio, e in secondo luogo da me, come un atto ostile. Oltre che in contraddizione con le sopraccitate nozioni alla base della nostra religione. Uno dei miei compagni poi si è anche chiesto quale potrebbe essere l’opinione di Bobby Henderson a riguardo. Il dubbio è rimasto anche a me.

 

-2-

 

Nelle tue lettere parli di combattere le religioni obsolete. Ma dalle tue idee quello che emerge è che tu vuoi al più presto diventare a tutti gli effetti una religione obsoleta, beccandoti il tuo bell’otto o dieci per mille e tutti i privilegi connessi che a parole dai l’idea di voler combattere. Anche noi in passato, due o tre mesi fa, abbiamo pensato che il pastafarianesimo fosse tra le altre cose un modo rapido per ottenere i privilegi concessi dallo stato italiano alle religioni storiche, cattolicesimo in testa. Anche con una minima parte dell’otto per mille avremmo potuto rapidamente raccogliere soldi sufficienti per acquistare una nave pirata, a fini religiosi.

 

In passato abbiamo anche pubblicato articoli sul nostro sito inneggianti ad un otto per mille pastafariano, ma francamente però non ci sentiamo più di appoggiare questa posizione. Sarei più felice se nessuna religione prendesse un centesimo dallo stato, ed iniziasse a fare affidamento esclusivo sulle donazioni dei propri fedeli per il suo mantenimento e per le opere di bene. L’idea di attaccarci a ciucciare al capezzolo dello stato ci fa venire da vomitare. Ma non per intolleranza al lattosio, ma perché noi pirati amiamo bere solamente alcolici, e da vigorose caraffe di peltro. E se ci capita di attaccarci a delle tette non è certo per trarne nutrimento.

 

-3-

 

Non approviamo assolutamente l’odio interreligioso che trasuda come sugo dalle tue lettere. Bobby Henderson parla chiaro, e la nostra deve essere e rimanere una religione pacifica. E una religione pacifica non si costruisce sull’odio verso le altre religioni, ma dall’interno, attraverso il rapporto con se stessi, con gli altri fedeli ed ovviamente con Dio. Noi di hastalapasta.org ci abbiamo messo un po’ a capire questi concetti, ma alla fine ci siamo arrivati. E più di tutto ci ha aiutato vedere come anche in Italia ci sono religioni discrete e ben funzionanti. Vedi l’articolo che ho scritto sulla mia frequentazione in incognito ad una cerimonia valdese. Queste religioni meritano tutto il nostro rispetto, e non certo di essere definite obsolete solamente perché esistono da un bel po’ di tempo. Molte di queste religioni non percepiscono l’otto per mille. Nel caso dei valdesi, che invece lo ricevono, nemmeno un centesimo viene destinato ala mantenimento dell’apparato religioso, ma viene interamente destinato alla carità. Non hai specificato cosa vorresti fare una volta che hai convinto il ministro degli interni a darti l’otto/dieci per mille, e quindi non ho idea se vorresti comportarti come la chiesa cattolica e pagarti lo stipendio, o mandare tutto in beneficenza come i valdesi. Sono però convinto che se tu trovassi un momento per visitare la pagine del sito della chiesa valdese o di una delle tante chiese protestanti presenti in Italia, o anche di frequentarne un rito una domenica mattina, ti accorgerai che per molte cose c’è solo che da imparare. Una delle paure di Bobby Henderson, ben esposta su venganza.org , è che col tempo la religione pastafariana potrebbe diventare diffusa e radicata con tanto di fanatici e tutto il resto, come già avviene in molte altre religioni, cristianesimo e islam in testa. La tua politica, caro Pappa, sembra voler portare a questo, e noi ci auguriamo solamente che il pastafarianesimo abbia la forza e la costanza di restare umile, onesto e decoroso nel tempo come sono riuscite a fare la chiesa valdese o molte chiese cristiane protestanti.

 

Non tutte, beninteso.

 

-4-

 

Troviamo la forma di scrittura “Prodigioso Spaghetto Volante” blasfema. Sappiamo bene che questa è la forma che compare nella traduzione italiana del libro di Bobby Henderson. Ma non ci interessa. Riteniamo che sia più corretto usare o la forma inglese, Flying Spaghetti Monster, o una traduzione più corretta, Mostro degli Spaghetti Volante. Oppure uno dei mille gustosi appellativi improvvisati, numerosi come le Sue Spaghettose Appendici: Sua Sugosità, l’Altissimo Spaghetto, Colui che Tutto Macchia di Sugo. Non ci va di fare riferimento all’ennesimo esempio di traduzione pedestre operata da una casa editoriale.

 

 

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In conclusione: riferendomi in modo particolare ai primi due punti, mi sembra chiaro che nessuno di noi membri di hastalapasta.org aderirà al vostro gruppo, e riconoscerà ufficialmente la vostra Chiesa Pastafariana Italiana. Senza alcun rancore, ovviamente. Già siamo pochi, noi pastafariani. Ci mancherebbe anche se dovessimo metterci a litigare.

 

Io in particolare ho trovato questo scambio di opinioni tra pirati pastafariani molto illuminante e costruttivo. Come spesso accade in questi casi, queste discussioni diventano eccezionali occasioni per affrontare con chiarezza molti dubbi o perplessità che spesso rimangono insolute nella quotidianità. Ti chiedo quindi, alla fine di questo nostro scambio di opinioni, il permesso di poter pubblicare il nostro dibattito epistolare in un articolo su hastalapasta.org . Sarei onorato se tu vorrai fare lo stesso.

 

Attendo con ansia la tua risposta,

 

ancora devotamente, Alberto

 

 

Stimato Pirata Alberto,

 

mi trovo d’accordo con quanto scrivi, vista la brevità della mia risposta sono potuti sorgere dubbi che voglio scacciare subito.

 

A Bobby Henderson è stata comunicata la decisione di fondare la Chiesa Pastafariana Italiana, non so se le altre chiese in Russia, Germania, Grecia eccetera hanno fatto la stessa cosa. Il Profeta non si è opposto.

Io sono semplicemente il Pappa, la dicitura Supremo Capo è solo per salvare l’apparenza e dare un certo tono. Il Pappa viene eletto ogni anno democraticamente: una capoccia un voto, come sulle navi dei Pirati.

 

Chiedere l’8 per mille è una provocazione, ma se mai lo otterremo lo useremo per beneficenza perché noi vogliamo la felicità di tutti.

 

Essendo noi due Pastafariani la pensiamo allo stesso modo, poi che voi di hastalapasta aderiate o no non è importante, saremo sempre Fratelli.

Per la traduzione, devo dirti che la parola Mostro, in italiano, ha assunto una connotazione negativa, mentre in inglese ha conservato il suo aspetto di – meraviglioso, prodigioso, eccetera. Per questo ho ritenuto opportuno usare questa dicitura.

 

Siamo una religione pacifica, ma attenzione, non tolleriamo l’intolleranza. Il problema di essere eccessivamente pacifici è che si reprime troppo l’aggressività, che è una componente della personalità.

Lasciare una valvola di sfogo da utilizzare per combattere è salutare. Le nostre azioni in combattimento rispecchiano la nostra natura pacifica, non combattiamo con le armi ma con le parole e con la conoscenza.

 

Io sono contento di questo scambio di idee con te e con gli altri Pirati di Hastalapasta, hai il permesso di pubblicare tutto quello che vuoi anche se, da bravo Pirata non dovresti chiedere nessun permesso.

 

Ramen Fralli di Hastalapasta! Che lo Spaghetto Volante (mostruoso o prodigioso che sia) vi dia birra e sugo!

 

 

Fratello reverendo, la tua risposta giunge lieta. Direi che la fratellanza è sancita!

 

Ho consultato di nuovo i miei compagni di viaggio, ma ero certo che sarebbero stati d’accordo. Infatti hanno benedetto l’evento come meglio non si poteva. Quello dei due che si trovava sul nostro continente ha visitato la mia cabina giusto ieri sera, per unirsi ad un banchetto estemporaneo. Libagioni benedette quali pizza e birra hanno suggellato l’evento. Non ho chiesto al fratello d’Africa, ma sono più che certo che abbia fatto lo stesso.

 

Abbiamo anche riflettuto sui punti che hai evidenziato con la tua ultima risposta. Soprattutto su quanto dici riguardo all’intolleranza. E’ vero: se da una parte ci definiamo pirati pacifici, questo non vuol dire che dobbiamo tollerare soprusi o angherie da chi non vuole rispettare le nostre piratesche opinioni. Ogni religione ha diritto di esistere: quella giusta e confermata da inconfutabili evidenze, ovvero la nostra, così come le altre. Questo diritto va difeso, e noi siamo qui per questo.

 

Che i vostri vascelli navighino nel sugo, fratello pirata! E che la nostra fratellanza duri tanti anni quanti sono gli Amorevoli Spaghetti della Sua Amidacea Presenza!

 

Alla prossima visita,

il pirata Alberto

 

 

Sulla tassa sulla tassa sui rifiuti

Anche nella vita di un buon pirata timorato del Dio ci sono dei momenti in cui è necessario scontrarsi con la dura realtà della vita quotidiana. Non si vive di soli arrembaggi, birra e smargiassate. Siamo un popolo ospite, una minoranza, e a volte bisogna anche rispettare gli usi e costumi dell’altra gente. Non sia mai che si dica di me che sono un pirata maleducato o incivile.

 

Insomma, devo pagare una tassa sui rifiuti. Perché non siamo in mare, e non si può buttare ogni immondizia dall’oblò o facendola camminare sulla passerella.

 

Per pagare la tassa sui rifiuti devo però scontrarmi con una delle realtà più temute della deviata umanità moderna: l’ufficio postale. Questa aberrazione del genere umano è un non-luogo dove anime perdute trascinano il loro triste corpo mortale per svolgere una serie di discordanti operazioni, la cui stragrande maggioranza potrebbe essere tranquillamente svolta da casa, in un luogo più piacevole o addirittura automaticamente da delle macchine incoscienti, o non svolta del tutto. La terribile evidenza poi è la crudeltà del procedimento: per fare ogni cosa all’ufficio postale devo attendere umilmente il mio turno amalgamandomi nella massa infelice di gente già arrivata da tempo immemore, umiliata da una febbricitante attesa senza fine del proprio turno.

 

Coda all'ufficio postale
Tre miei concittadini in coda all’ufficio postale di Gussago (foto di archivio)

 

In teoria la coda alle poste dovrebbe mostrare una estrazione casuale di persone,  ma credo che non sia così. Un po’ la sofferenza del momento stesso, un po’ che forse molta gente si ritrova per sua disgrazia a frequentare questi luoghi più spesso di altre persone, e che ciò non giovi alla salute e al morale. L’impressione che si ha è sempre quella di sprofondare in un girone dantesco per espiare già in vita un qualche male commesso e dimenticato.


La gente in coda alle poste si incattivisce. Se al mercato tutti sono allegri e scherzosi, basta varcare le soglie dell’ufficio postale per precipitare nello sconforto più nero. Alcuni di questi poi hanno anche una certa età e facilmente hanno un numero di presenze in questi luoghi drammaticamente alto. Facilmente hanno anche superato la soglia del non ritorno, quella per cui il loro carattere ha subito mutazioni permanenti tali da cercare volontariamente di scaricare all’interno dell’ufficio postale una cattiveria immotivata contro dei poveri malcapitati. Tali individui, che potrei definire come i professionisti della coda all’ufficio postale, provano un gusto perverso nel passare gran parte del loro tempo in coda, ad infastidire noi poveri dilettanti. Essendo in genere ormai pensionati, possono permettersi il lusso negato ai più di scegliere l’orario di visita che più gli aggrada. Con chirurgica crudeltà andranno ovviamente a privilegiare largamente gli orari in cui la gente normale è costretta suo malgrado a frequentare l’ufficio postale, come ad esempio le pause pranzo. La descrizione manzoniana del Lazzaretto rende abbastanza bene l’idea dello spettacolo che ci si ritrova di fronte quando si è costretti a varcare i cancelli degli uffici postali in questi orari. Non paghi di aver trasformato l’attesa in un lebbrosario ed infastidito chiunque con una serie di comportamenti tali da far arrossire Edward Teach, tali individui, una volta giunto il loro turno, daranno prova di suprema padronanza del locale, impiegando tempi omerici per ogni operazione, quali cercare di recuperare un foglio in fondo alla borsa senza togliersi i guanti di pelo d’orso bianco, o cercare gli occhiali in tasca quando sono sulla testa. O, peggio ancora, lamentarsi che si stava meglio quando si stava peggio, chiedere la conversione in lire di otto centesimi di euro, o pretendere la lettura a voce alta di quelle scritte strane che compaiono un po’ ovunque sui vari bollettini. In un mondo felice e normale tutte queste operazioni potevano essere evitate, oppure fatte nel tempo perso in attesa, ma la loro perfidia li ha portati a svolgerle solamente di fronte al bancone. Perché adesso è il loro turno. Il loro momento di gloria. Hanno atteso per questo, e guai a chi gli dice qualcosa. Altro che warholliano quarto d’ora per ogni vita: qui si parla di mezzora ogni settimana.

 

Alcuni oscuri personaggi passano davanti a tutti. Sono i possessori della PrivilegioCard. Ottenere una PrivilegioCard è molto semplice: basta pagare il pizzo alle poste. È legale perché é una cosa volontaria. In cambio dei soldi che si danno alle poste, si passa davanti a tutti quelli che non hanno dato niente alle poste, come me. Praticamente tu paghi qualcosa alle poste, ed in cambio le poste rubano un po’ del tempo delle altre persone. Per chiudere il cerchio, queste persone augurano ogni sorta di malattia debilitante ai possessori di PrivilegioCard. Se poi un bel giorno tutti quanti dovessimo comprarci una bella PrivilegioCard ci accorgeremmo di dover fare la fila tutti insieme, e di essere nel contempo un po’ più poveri. E forse solo allora ci sentiremmo anche un po’ più stupidi.

 

Ma alle poste non c’è solo gente infelice senza PrivilegioCard e gente odiata che gli passa davanti. Dall’altro lato di un enorme bancone antisfondamento ci sono una serie di garruli individui intenti ad assecondare noi poveri questuanti. Questi svolgono operazioni e misurano ogni gesto e movimento con studiata precisione tale da far pensare ai più che vogliano prendere in giro la lunga fila in attesa con la loro lentezza esasperante. Si relazionano con una persona alla volta dopo averla chiamata stancamente con un numero seriale. Un tabellone dai colori aggressivi chiama senza voce il prossimo della fila, e tutte le persone in coda controllano meccanicamente il proprio numero seriale stampato su un fogliettino di carta dalla macchina vomitratrice. Quello che l’ha già guardato più volte vince, e si avvicina trionfante al bancone. Sempre che lo sventurato abbia abbandonato nel frattempo. Cosa che accade molto spesso: per mia personale statistica, ogni dieci numeri che vengono chiamati ce ne sono almeno due che non rispondono all’appello. Sono quelle persone che o sono svenute a causa della lunga attesa, o sono scappate a metà, o non ci hanno nemmeno provato, e si sono limitate ad osservare sconcertate la coda di materiale umano già accampato nella sala e la distanza tra il numero seriale appena ritirato dalla macchinetta e quello scritto ad enormi caratteri luminosi sul muro di fronte.

 

Quando è il proprio turno, può accadere che la persona abbia la fortuna di avere con sé tutte le carte necessarie al suo scopo. Allora non ci saranno intoppi, e alla fine verrà congedata senza problemi. Ma se invece qualcosa va storto, come ad esempio l’espositore dei bollettini da compilare che non ha quelli giusti, allora il povero utente è destinato a precipitare in una deviazione della curva spaziotemporale. Questo perché quando si chiede il bollettino giusto al Sacerdote Postale, o ci si rende conto dal suo sguardo maligno e compiaciuto di averne appena compilato uno sbagliato, il Ministro delle Funzioni Postali con un gesto perentorio del dito indice spedisce il reo al banco della punizione, dopo avere consegnato il bollettino corretto, estratto da un luogo che deve restare inaccessibile alla gente comune. Quindi il bollettino va compilato usando la penna dell’ufficio postale. Per aumentare il senso di umiliazione e sconforto questa penna è tenuta incatenata con un filo di spago del salame logorato dai secoli, che è sistematicamente più corto della penna stessa, per impedire a chi sta subendo la punizione di poter scrivere normalmente. La penna stessa appare alla vista e al tatto tutta ricoperta da graffi e morsi, a testimonianza delle generazioni intere di dannati che si sono trovati costretti a ricorrere a questo strumento di tortura. L’idea stessa dello spago credo serva a scoraggiare il furto della penna, ma a parer mio bisognerebbe essere dei pervertiti anche solo a pensare di voler portare via con sé un simile focolaio di microrganismi. Quando poi finalmente si è finito di compilare tutto quanto, si può cercare di reinserirsi nel continuum spaziotemporale. Ma ovviamente la fila è andata avanti, e se si vuole pretendere di venire servito violerebbe la Prima Legge Aurea dell’Ufficio Postale: serviamo uno sfortunato alla volta. Il Sacerdote Postale sembra sempre intento a farsi i cavolacci suoi, ma in realtà tiene tutto sotto controllo. Dopo un tempo che giudicherà giusto, finalmente farà in modo che il suo sguardo trovi il quello del penitente. Con un rapido cenno fa capire che potrà ritornare tra i vivi, e con un secondo cenno individua colui che già si apprestava a venire servito, facendogli capire che il suo momento non è ancora giunto.

 

Una volta ho avuto l’ardire di fare una domanda volgare e aggressiva: ho chiesto se potevo ricaricare la mia PostePay usando il mio bancomat della banca direttamente all’ufficio postale. Non credo di aver mai visto uno sguardo così schifato in vita mia. Dopo aver aggrottato le sopracciglia e avermi mostrato i canini, la ministra dello sportello mi ha fatto notare con voce cavernosa e recitando le parole alla rovescia quanto fosse stupida ed inutile la mia domanda: sono due circuiti diversi! Giovane deficiente: l’unica cosa che ha senso che tu faccia se vuoi caricare mille euro sulla tua PostePay è che frequenti per quattro volte di fila in quattro giorni un bancomat. Tiri giù i tuoi duecentocinquanta euro alla volta, ed il quinto giorno ti presenti qui con la tua mazzetta di soldi, e noi carichiamo novecentonovantanove euro sul tuo pezzo di plastica. E un euro ce lo teniamo noi, per fare in modo che il tuo numero risulti un po’ più satanico. Oppure estingui il tuo conto nella tua stupida banca e apri un conto BancoPosta qui da noi, per provare l’ebbrezza di una coda all’ufficio postale molto più di frequente. Ho capito.

 

Perché scrivo tutto questo? Perché giusto ieri ho avuto l’ardire di vedere se si poteva evitare tutta questa sofferenza. Magari facendo una cosa moderna, come pagare il mio bollettino della tassa sui rifiuti con Internet. Chi lo sa. Pensa un po’, pare che si possa. Il sito è questo qui:

 

bollettino.poste.it

 

Anche semplice come nome. Chiede l’utente e la password. Misteriosamente sono già compilate, e non devo andare a cercarmele chissà dove. Un buon segno. Quindi una pagina mi fa due domande facili e poi mi mostra un bollettino digitale, ma fatto uguale a quello di carta. E un po’ più rosso.

 

Il bollettino postale online. A parte i colori accattivanti, assomiglia molto al suo nonno cartaceo

Prendo il cartaceo e copio tutti i numerini nei vari campi. Schiaccio CONTINUA e avviene la magia: una serie di altri campi vanno a riempirsi con il nome dell’ufficio del mio comune che sarà più contento di tutti nel vedere che sto pagando in tempo la mia imposta.

 

Ovviamente non va tutto bene. O meglio, non può andare tutto bene: sicuramente devo aspettarmi che dietro l’angolo si annidi la fregatura, o il problema bloccante. E infatti è celato in un innocuo menù a tendina, con il valore preimpostato di carta PostePay. Non ho una PostePay. O meglio, ce l’ho, ma ha sopra meno di un euro, e per ricaricarla dovrei spendere un euro di soldi e minimo mezz’ora del mio tempo nel sopra menzionato ufficio postale. Non ha molto senso voler usare una PostePay per pagare un bollettino online, ma dover andare alle poste per ricaricarla. Cambio quindi il valore in quello a me più congeniale, ovvero Carta di Credito Mastercard.

 

La pagina con il mio carrello della spesa sul sito delle poste italiane.

Ed ecco il fattaccio: il valore della commissione mi cambia da uno a due euro. Bene. Grazie. Proprio il modo migliore per invogliarmi a non intasare i vostri uffici e far perdere del tempo ai vostri funzionari. Invece di farmi pagare di meno, mi fate pagare di più. Della serie: il bollettino lo devo pagare per forza. Voglio rimanere padrone del mio tempo e non fare la coda nei loro uffici? Benissimo. Però li pago. Di più. Per avere indietro il mio tempo. Voglio pagare di meno perché ho poca considerazione del mio tempo libero, oppure sono un povero disoccupato o pensionato che non ha niente di meglio da fare che passare il tempo in coda da loro? Allora siamo tutti d’accordo: tutti gli uffici postali d’Italia non aspettano altro che me, e saranno felicissimi che io faccia perdere tempo al loro personale scocciato, che consumi l’inchiostro della loro penna millenaria, che sprechi la carta con i miei errori di compilazione, che usuri le loro sedie con la mia mania di non voler stare in piedi per più di mezz’ora.

 

Qui finisce la mia storia. Avrei preferito finirla con l’avvenuto pagamento, ma anche se ho accettato il balzello di due euro, mi sono poi miseramente arenato di fronte alla terza domanda di supersicurezza della mia carta di credito, a cui proprio non ho saputo rispondere. Anzi: credo di aver fatto saltare tutto il sistema informatico bancario, perché dopo il millesimo tentativo di azzeccare la password e il conseguente cambiamento della stessa nel sito della banca, è uscito il messaggio che c’erano problemi tecnici, e che il sistema non funzionava correttamente. Ho come l’impressione domani in pausa pranzo dovrò farmi un po’ di coda. Devo decidere se il posta o in banca.

 

Grazie, ci si vede alle poste.