Sul dio dei motori e su quelli che lo adorano

A nascere e crescere in Italia ci si rende conto di quanto il cattolicesimo sia pervasivo: è ovunque, e ad essere ovunque finisce che tracima dai contenitori preposti (le chiese) e finisce da tutte le parti, arrivando ad essere considerato quelli che i politici chiamano cultura tradizionale italiana, o qualcosa del genere.

Ma il cattolicesimo non è l’unica religione che radicata tra noi italiani. Ce ne sono altre, e che incredibilmente fanno pure più danni. Su tutte c’è quella del dio dei motori. Siamo in tanti ad adorare il dio dei motori in Italia, perché è un dio che coesiste bene con le altre divinità storiche, senza minarne i fondamenti e soprattutto l’esclusività dogmatica. Per adorarlo occorre amare le sue manifestazioni terrene, le automobili. Per amarlo veramente le automobili devono funzionare con un motore a scoppio, quindi di quelli che usano idrocarburi fossili, che fanno rumore e che dal tubo di scappamento buttano fuori gli scarti della loro combustione. Con i tempi che cambiano per molte persone vanno bene anche i motori elettrici e non si considerano degli eretici. Siccome è una religione e si a che fare con dei fedeli non si può discutere se la scelta elettrica sia moralmente giusta o sbagliata: occorrerebbero dei teologi ad affrontare il dogma con un concilio. Ad oggi l’unica autorità riconosciuta è un ministero preposto a tutela di questa religione. Si chiama

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti

che però nell’incarnazione dei suo sacerdote, il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, non ha proprio una buona opinione dell’eresia elettrica. Il nome del ministero infatti è fuorviante: dovrebbe in realtà chiamarsi

Ministero dei motori a scoppio

perché col nome che ha adesso fa pensare che tuteli il trasporto delle persone con ogni mezzo, anche quelli a basso impatto anbientale, quando in realtà il ministro ha a cuore solo quelli che funzionano facendo esplorere in modo controllato degli idrocarburi, meglio se ottenuti da residui fossili in esaurimento di milioni di anni fa.

Se per esempio un sindaco, poniamo quello di Bologna, mette la zona 30 per fare andare più piano gli automobilisti, con tutte queste conseguenze qui:

  • meno inquinamento
  • meno anidride carbonica
  • meno rumoreggiamento
  • meno ciclisti e meno pedoni a finire sotto le automobili, e se questo succede, almeno a finirci sotto in modo meno grave

ecco che il ministro tuona dicendo che la zona 30 è roba da perdigiorno, perché la gente deve lavorare e non ha tempo di andare così piano. Come se nelle città fosse possibile andare a più di 30 chilometri orari di media. Forse di notte o durante le partite della nazionale di calcio, chissà.

Se succede qualcosa di drammatico in cui è coinvolto un motore elettrico, mettiamo ad esempio un autobus che cade da un viadotto a Mestre, ecco che il ministro subito punterà il dito contro il motore elettrico, perché sicuramente centra qualcosa con la disgrazia. Come minimo sono le batterie che hanno provocato l’incidente, o se non sono state loro almeno hanno preso fuoco in seguito. Come se ogni volta che mi cade per terra il telefono la batteria esplode o prende fuoco. Per il ministro mettere una batteria al posto di un motore scoppiettante è già qualcosa di pericoloso e blasfemo. Il ministro parte probabilmente dal presupposto che il petrolio sia una risorsa infinita, economica e soprattutto prodotta in casa, e non qualcosa che ha gli anni contati e che ci tocca comprarla da paesi che dire che sono governati da farabutti è fargli un complimento.

Ma alla fine il nostro ministro non ha altra colpa se quella di voler piacere al popolo che l’ha eletto, un distillato del fine comune per cui cambiare le cose è roba da gentaglia irrispettosa o depravata. Questo probabilmente perché in Italia tutto gira intorno alle automobili. In ogni serie di pubblicità in televisione metà sono di automobili. In molte riviste, anche quelle che non trattano esplicitamente automobili, molte pubblicità riguardano comunque automobili. Forse ne metterebbero ancora di più, se non fosse che metterne due vicine farebbe risultare la cosa ridicola e controproducente, anche perché a parere mio sono tutte uguali. Le pubblicità non devono più farci capire l’importanza di possedere una automombile come accadeva quando a doverla comprare erano i nostri nonni, spiegando loro che era più comoda del tram, dell’asino col carretto o della bicicletta. Ormai ce l’abbiamo già tutti e la usiamo ogni giorno per rovinarci la vita in strade già piene delle automobili delle altre persone. Solo che nelle pubblicità non si vedono mai le automobili intente a inventarsi un parcheggio fuori di una scuola o a strombazzare mentre sono incolonnate in tangenziale. Come minimo staranno sfrecciando sul ponte di Brooklyn in un tramonto straordinariamente senza traffico, ma se sono delle automobili con ambizioni sportive eccole a fare schizzi sul bagnasciuga di una spiaggia caraibica. Quindi la pubblicità deve farci capire che se siamo tristemente immobili a fissare la targa dell’automobile davanti non è colpa del fatto che siamo riusciti a saturare la capacità delle strade e che dobbiamo solo aspettare che il ministro ne costruisca di nuove, ma che è perché stiamo guidando una automobile patetica e imbarazzante. Solo quella pubblicizzata in quel momento ci darà dignità col vicino, oltre a quello spirito di libertà ormai dimenticato. Con la nuova automobile andare a fare la spesa al supermercato ci farà rivivere le sensazioni dei nostri antenati cacciatori sfidando i cavalli selvaggi al galoppo nella tundra siberiana, e portare i figli a scuola sembrerà come attraversare il parco del Serengeti all’alba tra l’invidia di leoni e gazzelle. Il problema in realtà è che prima di comprare una nuova automobile dovremmo convincere il resto dei nostri concittadini a fare a meno della loro, altrimenti non so se riusciremo a raggiungere i famosi 30 all’ora.

Un’altra cosa di cui si parla tanto quando cercano di venderci una automobile è quanto sia sicura. Una volta le automobili erano poco più di un motore con le ruote e un po’ di lamiere intorno per ripararci dal vento e dalla pioggia. Andare forte con quelle automobili era un gesto di follia, degno di quegli eroici piloti di allora ricordati soprattutto per la tragicità con cui hanno trovato la morte. Ora le automobili sembrano più dei carrarmati e danno l’idea che qualunque cosa succeda a chi sta dentro non accadrà nulla. Peccato che la maggior parte dell’umanità si troverà sempre all’esterno di quell’automobile. Se chi sta all’interno ha una forte percezione di sicurezza, ecco che sarà portato ad andare ben più veloce dei 30 chilometri all’ora come vorrebbe il sindaco di Bologna, col risultato che il pedone o il ciclista di turno si troverà a sperimentare i sistemi sicurezza esterni dell’automobile, che per quello che so io non esistono o sono stati disattivati perché troppo fastidiosi. Credo dipenda dal fatto che l’automobile venga pagata sempre e solo da chi la guida e non da chi ci finirà sotto, e quindi i produttori nel progettare le automobili diano molta più importanza al loro contenuto. Il risultato è che se un po’ di anni fa l’autista medio che guidava una Fiat 500 si metteva a correre alla folle velocità di 50 all’ora e investiva un ciclista, come minimo sbatteva la testa nel parabrezza o si rompeva il naso sul volante, e la macchina stessa ne uscita un po’ ammaccata. Le bici sono più o meno le stesse di allora o forse pure più leggere mentre le automobili si sono ingrossate e appesantite, col risultato che quando capita adesso che una finisca ddosso all’altra il più delle volte l’automobilista dice che si è accorto di un tonfo, ma col buio non ha visto niente e ha pensato di avere investito un sacco della spazzatura o al limite un grosso cane, con buona pace del ciclista che non avrà certo modo di esporre la sua versione dei fatti. Probabilmente avrebbe fatto meglio a non fare l’irresponsabile e a comprarsi anche lui una bella automobile grossa e sicura e a dare il suo contributo a congestionare le strade, i parcheggi e l’aria che respiriamo, per la gioia del dio dei motori e del suo sacerdote, il ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Il sorpasso

Ecco cosa accade a fare deo sorpassi avventati a Felicittà, grazie, Richard Scarry!

Un giorno qualsiasi si sta tornando a casa dal lavoro, ed ecco che arriva il sorpasso: un grosso veicolo tipicamente nero sbuca dal nulla, da dietro o davanti non fa differenza. Non accelera perché è già molto veloce, non frena perché non ne avverte il bisogno e sicuramente non mette la freccia per lo stesso motivo. Al massimo sfareggia un po’ se c’è qualche sciagurato che già occupa la corsia del sorpasso, che in quel momento è diventata di sua proprietà. Alla fine questo veicolo si è limitato a cambiare corsia, a sorpassare, a rientrare e scomparire all’orizzonte, ma lasciando dietro di sé un’orgia di pensieri burrascosi.

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Il pedalatore pazzo

Da quando vado al lavoro in bicicletta ho molto più tempo per pensare: circa un’ora al giorno! Questo succede perché mentre pedalo non ascolto la radio come facevo in macchina e non chiacchiero con eventuali altri passeggeri: la mia principale occupazione è proprio pedalare e ovviamente evitare di finire sotto le ruote di un’automobile. Sono comunque cose che riesco a fare senza troppi sforzi mentali su gran parte del percorso, ed ecco quindi che per un’ora al giorno posso pensare liberamente a quello che mi passa per la testa.

Avere tutto questo tempo per pensare mi ha portato a comprendere una cosa strana, che neanche a dirlo è proprio una considerazione sui mezzi di trasporto: durante i miei spostamenti incontro altri ciclisti, ma sono molto, ma molto di meno delle automobili che mi sfrecciano continuamente e rumorosamente accanto. Non solo questo: di tutti i ciclisti che incontro ce ne sarà uno al massimo che ha l’aria di aver preso la bici per andare a fare qualcosa da qualche altra parte come faccio io. Il tipico ciclista che incontro è quello che ha indossato la sua sexy tutina aderente e si è messo a gironzolare a caso per le strade senza altro scopo che non quello di farsi un giro. Non è sbagliato, ma c’è una differenza di fondo tra me e lui: io sto togliendo una automobile dalla strada, la mia, mentre lui sta aggiungendo un ingombro. Magari è pure uno che la bici la usa solo per spassarsela ma poi al lavoro ci va ancora in macchina.

Quindi quello che penso è questo: usare la bici per andare da un posto all’altro è una cosa stranissima più o meno per chiunque, mentre la cosa giudicata normale è di usare un’automobile. La prova di questo è una serie di strane battute che devo subire e conversazioni che devo sostenere con più o meno chiunque mi veda con un caschetto in testa. A riassumere tutti dialoghi imbarazzanti cito una mia amica divertita che un giorno mi ha sbattuto in faccia il suo:

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