Genitori egoisti

egoisteDi recente un brillante politico di destra ha definito egoista un suo avversario perché ha deciso di avere un figlio. Quello che ha turbato maggiormente l’animo candido del nostro sottile pensatore non è tanto la realizzazione di un istinto paterno, quanto le condizioni pregresse: il politico rivale non deve avere figli perché è gay, vive con un altro uomo, ovviamente gay anche lui, e fa pubblica mostra di questa sua condizione sessuale senza lasciare intendere di vergognarsene o di volersi pentire di fronte al personale ecclesiastico autorizzato.

Già questo suo totale disprezzo della morale costituita a vantaggio della propria egoistica felicità sarebbe sufficiente a far indignare il rigoroso popolo che sostiene il brillante politico di destra, e che questo cerca di accontentare con roboanti dichiarazioni. Si sa che la morale dello stato italiano è appaltata direttamente alla chiesa cattolica, dove l’omosessualità non trova spazio se viene praticata tra adulti laici consenzienti, a differenza di quanto accade tra prelati e minorenni. Queste sono le indicazioni morali italiane; il nostro politico di destra lo sa bene e ci si attiene scrupolosamente.

Il nostro politico omosessuale di sinistra da persona egoista che è ha dimostrato invece di avere un profondo disprezzo per le tradizioni morali di questo paese, turbando un gran numero di persone per bene che lo preferirebbero solo ed infelice. Ma di recente ha veramente superato il limite: lui è il suo compagno sono ricorsi ad una tecnica non tradizionale per avere un bambino, innocente vittima della loro arroganza. Chiaramente all’estero, dove questa pratica è legale. Questo è vero egoismo: ancora una volta, il politico gay ha anteposto la sua felicità a quella del mondo intero, che ora si trova a fare i conti anche con questa spudoratezza.

Se infatti il politico di destra, con grande magnanimità e forza d’animo, si era astenuto dal commentare le pratiche private del politico omosessuale di sinistra, di fronte a questa scandalosa provocazione non ha potuto fare a meno di esternare tutto il suo disappunto. Ed è proprio in riferimento a questo episodio che ha pronunciato la sua nobile frase:

“Questo per me non è futuro, questo è disgustoso egoismo”

Certo, l’aggettivo disgustoso dipende un po’ dai punti di vista. Forse se mai il politico omosessuale di sinistra volesse commentare le abitudini sessuali di quello di destra, potrebbe definire disgustoso il suo ostinarsi a volersi accoppiare con delle femmine della sua specie. Ma tant’è, ognuno ha i suoi gusti e disgusti.

Quello che però mi fa riflettere è ancora l’egoismo. Perché parola non potrebbe essere più azzeccata di fronte alla volontà di un uomo (e di una donna, in certi casi) di diventare genitore. Certamente quello che ha mosso i sentimenti del politico di sinistra è stato proprio egoismo. Come posso dire questo? Molto semplice: perché ho due figli anch’io, avuti, ahimé, nel modo tradizionale. Non escludo che in futuro possa ricorrere a qualche tecnica proibita, giusto per indisporre più politici e vescovi possibile, ma per adesso, date le mie modeste finanze, mi sono trovato costretto a ricorrere al metodo più economico e, lo ammetto, più divertente.

I miei figli sono il frutto essenzialmente del mio egoismo. Mio e della loro madre. Quando abbiamo pensato che sarebbe stato bello avere un bambino tutto nostro, francamente il nostro pensiero non è corso alla salvezza di uno spermatozoo e di un ovulo che avrebbero fatto la stessa fine ingloriosa della stragrande maggioranza dei loro fratelli. In realtà abbiamo pensato a noi stessi con in più un bambino che ancora non conoscevamo, e a come questa cosa ci avrebbe reso felici. Abbiamo fatto un bambino per essere felici. Abbiamo pensato esclusivamente alla nostra felicità: siamo esseri egoisti.

Poi abbiamo scoperto una cosa che già sospettavamo fortemente, ovvero che una volta che si è genitori la nostra felicità dipende soprattutto dalla felicità del bambino, e quindi abbiamo dovuto aggiustare il tiro includendo anche lui nei nostri pensieri sulla felicità. Qualcuno potrebbe pensare che siamo molto generosi a prestare tutte queste cure a nostro figli, ma in realtà non c’è niente di più falso, perché non stiamo facendo altro che rispondere ai nostri istinti naturali, che ci spingono a cercare la propria felicità nella realizzazione di quella delle persone amate. Io non so se il politico di sinistra queste cose le sa, ma se non le sa sono certo che le scoprirà presto. Dal momento che si ritrova ad essere padre non potrà più pensare egoisticamente solo a come essere felice lui o a come contrariare il suo avversario, come ha fatto fino ad adesso: dovrà iniziare a pensare alla felicità del figlio. Altrimenti si accorgerà che non sarà più felice come prima. E’ il prezzo del suo egoismo, e succede con tutte quelle persone egoiste che si ostinano ad avere figli, con i sistemi più svariati.

Detto così può sembrare che la mia idea è che tutti i genitori siano egoisti. In realtà non la penso così, anzi: molti genitori sono lontanissimi dall’esserlo. Sono egoisti tutti quei genitori che fanno i figli solo quando lo desiderano, per sfogare il proprio desiderio di paternità o maternità, e che poi fanno di tutto perché siano felici. Ma non lo sono i genitori di tutti gli altri casi, ad esempio quelli che non usano sistemi anticoncezionali perché la loro religione glielo impedisce, e si ritrovano ad avere un numero indefinito di figli che poi non possono mantenere. Oppure quelli che stuprano o che vengono stuprati. In questi casi non si può parlare di egoismo. Magari si parla di stupidità o di violenza, ma non di egoismo. Sono certo che il politico di destra non avrà niente da dire, in questi casi.

Che poi a dirla tutta il politico di sinistra alla fin fine è felice di poter essere padre, e da questo momento farà di tutto per rendere felice suo figlio oltre che il suo compagno. Quell’altro politico e i suoi seguaci invece sono felici solo quando riescono ad impedire che gli altri lo siano, quando invece potrebbero tranquillamente curarsi esclusivamente dei fatti loro, o di rendere felici i propri figli o a pensare egoisticamente di farne qualora ancora non ne avessero. Credo che le persone brutte ed egoiste siano loro, dopotutto.

Il Cristo del selfie e il patrono dei pedofili

Quando si abita in centro al paese si vedono molte cose da una diversa prospettiva. Come i concerti di piazza, che mentre tutti li guardano seduti di fronte al palco, io posso vederli dalla finestra del salotto. Le prospettive più interessanti sono però quella che riguardano la chiesa cattolica, e per una volta non mi riferisco tanto all’enorme gerarchia di prelati con cui siamo rassegnati a convivere, quanto proprio all’edificio stesso.

Se infatti mi metto a guardare dalla stessa finestra che dà sul campanile che fa (o faceva, ancora non ho capito) tutto quel rumore nelle feste comandate, posso vedere il tetto della chiesa da una prospettiva del tutto particolare.. E non solo la chiesa di cui sto parlando, ma anche un’altra più vecchia e più piccola che neanche a dirlo ha un muro in comune con il mio gabinetto. Potremmo definire questo modo di guardare le chiese come la prospettiva gatto.

La chiesa dal campanile rumoroso
La chiesa dal campanile rumoroso
La chiesa appoggiata al mio gabinetto, vista in prospettiva gatto
La chiesa appoggiata al mio gabinetto, vista in prospettiva gatto

La chiesa attaccata al mio gabinetto è in assoluto la mia preferita, perché ha una caratteristica che la rende meravigliosa: è sconsacrata. Questa parola magica porta con sé vari significati, ma i più importanti sono che:

  1. ha un campanile muto: non l’ho mai sentito suonare una volta in vita mia. Se dovesse farlo, credo che mi volerebbero giù i libri dagli scaffali, quindi non voglio nemmeno pensarci. Dovrei fare causa al prete per spargimento di letteratura.
  2. il comune ce l’ha in comodato per credo una trentina d’anni, e per tutto questo periodo non ospiterà bizzarre celebrazioni, quanto più interessanti eventi mondani: mostre di quadri, incontri, proiezioni di film, concerti, cose così. A volte ci scappa il concertino di musica sacra, ma è il comune a decidere il programma, Pink_Floyd_the_Wallquindi capita anche di vederci il film The Wall o di sentirci parlare Umberto Guidoni, astrofisico non certo famoso per la frequentazione di chiese. Trent’anni non sono tanti, ma sono fiducioso che per allora tante cose saranno cambiate, e che tutti gli italiani avranno capito che il cristianesimo è solo un’invenzione e che possono tranquillamente fare a meno della religione, o sceglierne una migliore che non punti tutti sul sacrificio e sulla cieca obbedienza. Non l’islam, quindi.

Torniamo quindi all’altra chiesa, quella dal campanile rumoroso. Come si vede dalla foto, su tetto della chiesa sono visibili due delle tre statue poste in cima alla facciata. La cosa particolare è che non le si vede dal davanti, ma dalle terga. Che poi, quanti possono vedere queste statue, poste in cima al tetto di un edificio altissimo, dalle terga? Credo solo chi abita nel mio appartamento, che è abbastanza alto, ed alcuni gatti. Penso che se lo scultore avesse messo una coda di maiale alle statue non se ne sarebbe accorto nessuno.

chiesa-rumorosa-2Ed ecco che dopo anni passati ad aprire i battenti della finestra la mattina e a chiuderli la sera, finalmente vedo davvero quello che non ho mai visto: le due statue, che da davanti fanno bella mostra di sé e che le fonti ufficiali che riconoscono come le virtù teologali, da dietro offrono un’interpretazione moderna della chiesa di oggi di una precisione straordinaria.

Ed ecco quindi a voi il cristo del selfie, intento a catturare un ricordo di sé con il suo telefonino all’ultima moda:

cristo del selfie

 

ed un moderno santo patrono dei pedofili, che indossato un pesante mantello invita un fanciullo ad entrarvi, spingendolo per la testa.

santo protettore dei pedofili

 

Sono due statue scolpite nel 1800, ma per me sono il riassunto meglio concepito della chiesa cattolica di oggi. Probabilmente anche di allora, quando il papa aveva ancora un suo esercito.

Da un lato il selfie, a rappresentare l’uso massiccio dei mezzi di comunicazione più frivoli e moderni, spesso in modo autoreferenziale, per cavalcare con successo un’enorme massa di giornalisti, politici e fedeli senza coscienza o capacità critica. E’ lo sfruttamento dell’immagine di un papa così simpatico e bonaccione che dice continuamente cose con il suo divertente accento sudamericano. O le immagini di un prete che gira nelle baraccopoli invece che nei corridoi del vaticano a dare un’immagine idilliaca del sistema perverso dell’otto per mille. E’ il cristo del selfie, l’aspetto pubblico e che ci piace tanto di questa chiesa cattolica fatta di vecchi che si sforzano di piacere a noi giovani.

Dall’altro la protezione dei pedofili, a simboleggiare i continui successi della chiesa cattolica nella difesa dei soprusi dei poteri forti ai danni dei più deboli e nel mantenimento dei propri assurdi privilegi, il lato oscuro di una chiesa fatta di parole e di apparenza che mostra tutta la sua potenza quando gli viene timidamente chiesto di giustificare il vergognoso operato dei propri dipendenti, o di mettere in atto lei stessa qualcuno di quei princìpi di carità cristiana che continua a chiedere agli altri stati. La pedofilia è solo il più triste e lampante esempio di questo costante atteggiamento di prepotenza ed arroganza che vede la chiesa muoversi impunita e riverita tra le pieghe di uno stato italiano molle e ossequioso. Ecco, questo è il patrono dei pedofili.

Da casa mia non vedo il didietro della terza statua, e non posso sapere chi rappresenti. Sarà la madonna dell’otto per mille.

Due parole sui Valdesi, per chi volesse tenere lo stesso dio ma cercare di adorarlo con un po’ di stile

Due capi religiosi si incontrano. Il capo dei valdesi è quello vestito normalmente.
Due capi religiosi si incontrano. Il capo dei valdesi è quello vestito normalmente.

La settimana scorsa, mentre un milione di persone si sono ritrovate a Roma a manifestare affinché i loro diritti non venissero estesi ad altre persone, quello che potrebbe essere giudicato come il padrone di casa ha deciso di cambiare aria, e ha colto l’occasione per andare a prendere il fresco sulle Alpi dei valdesi. Ne ha approfittato per chiedere scusa al loro capo per i piccoli screzi e le incomprensioni del passato, ovvero le persecuzioni sistematiche e le stragi di intere comunità operate contro la loro chiesa a partire dal 1184, quando il papato romano disponeva ancora di un esercito operativo. Tutti ad applaudire l’umiltà di questo papa. D’altra parte, si fa sempre bella figura a chiedere scusa per colpe di cui non si è responsabile, commesse fisicamente da altri in periodi storici remoti. Anch’io devo ricordarmi di chiedere scusa agli elefanti perché i miei antenati hanno sterminato i loro cugini mammut sul finire dell’ultima glaciazione. Si potrebbe intendere il gesto del papa come un brillante modo di distrarre l’attenzione dalle proprie magagne. Considerando che sono passati 831 anni dal 1184, significa che di questo passo nel 2846 d.C. ci sarà un papa particolarmente umile e comunicatore che chiederà scusa del trattamento che la chiesa ha riservato negli anni bui del ventunesimo secolo agli omosessuali ed alle vittime della pedofilia; magari farà questa pubblica ammenda per coprire qualche imbarazzante scandalo galattico o qualche discriminazione nei confronti di una razza aliena con un numero di genitali poco consono ai valori evangelici.

Ma alla fine ai valdesi importa poco di essere usati per distrarre l’attenzione da altro, o come strumento per far vedere a tutti quando è generoso e umile questo papa. I valdesi sono una comunità molto tranquilla e rispettosa, poco propensa a far sapere ogni volta al mondo intero di quello che pensano di questioni non di loro competenza. Se i valdesi balzano alle cronache è per quello che fanno silenziosamente, mai per quello che dicono di fare o che faranno urlandolo con ogni possibile mezzo stampa, o per quello che pretendono che gli altri facciano.

E quello che fanno i valdesi non è che sia poi così incredibile, ma diventa straordinario se paragonato a quello che fanno o non fanno i cattolici. Per esempio i valdesi non fanno tutte queste storie quando si tratta di riconoscere agli omosessuali il diritto di sposarsi, e questo già molto tempo prima di gran parte degli stati cosiddetti laici. Non hanno nemmeno tribunali speciali per giudicare i più orrendi reati del propri dipendenti col tacito benestare della giustizia italiana, per dirne un’altra. Un’altra cosa che fanno i valdesi è che danno l’8 per mille in beneficenza, tutto quanto. Non solo: hanno anche delle soglie, molto basse, per impedire che ne vada troppo ad associazioni di volontariato o beneficenza legate direttamente a loro. Non fanno come la chiesa cattolica, che lo fa solo a parole nei suoi bellissimi ed ingannevoli annunci pubblicitari, e che poi del miliardo di euro che riceve ogni anno più dell’ottanta per cento serve a coprire i costi e l’inefficienza mai documentati di una chiesa che non sa stare in piedi da sola e che richiede l’aiuto ingente di uno stato servile.

Un po’ di tempo fa stavo bevendo qualche birra al solito posto con una persona, che oltre che essere una carissima amica è anche una fedelissima della chiesa cattolica. Direi pure la loro cliente ideale. Cerco sempre di non finire sugli argomenti religiosi, perché so che non se ne esce mai. O meglio: io oppongo le mie inoppugnabili argomentazioni razionaliste volte a dimostrare che il loro dio non esiste, ma lei si difende con pazienza dicendo che dio va preso per fede, che a lei le parla e la aiuta e via dicendo. Il fatto poi che entrambi abbiamo delle pinte di birra in mano non aiuta certo chi ci vede a scambiarci per due intellettuali in dibattito, quanto piuttosto in due ubriachi sordi.

Non è un grande scenario, e non credo sia diverso da quello che accade in ogni bar d’Italia il venerdì sera. L’ultima volta però ho avuto un’idea: quella di proporle una visita ad un rito valdese, così, per provare un’alternativa. Mi sono offerto di accompagnarla io stesso. Già c’ero stato un po’ di volte un paio di anni fa, e mi ero trovato benissimo, sebbene fossi già un non credente senza speranze. L’idea della visita ai valdesi non era malvagia: sono cristiani come i cattolici, quindi non sto proponendo un’alternativa al suo dio permaloso nella forma di un vitello d’oro o di un serpente piumato, quanto un modo alternativo di adorarlo.

In più le elenco i motivi, tralasciando quelli citati qui sopra, che alla mia amica possono interessare di meno:

  1. Hanno una bella comunità, molto partecipe. Probabilmente è proprio l’effetto di far parte di una chiesa di minoranza rispetto allo strapotere cattolico che aiuta a sentirsi un elemento attivo ed importante di una comunità e non una pecora impotente nelle mani di un vescovo distante ed intoccabile.
  2. I lori riti sono divertenti ed interattivi, ma non solo per l’iniziativa di un parroco un po’ anarchico o anticonformista: sono proprio così. Se il cattolicesimo assomiglia al web 1.0, ovvero quello in cui c’erano dei siti Internet statici da cui si poteva al massimo recuperare il numero di telefono di un negozio e non c’era uno straccio di blog o social network, la chiesa valdese è il web 2.0, dove chiunque può dire la sua durante il rito, anzi è invitato a farlo. Non c’è un prete supponente a vomitarti addosso tutto quello in cui devi credere, senza possibilità di intervento o dibattito, ma una buona occasione per scambiare idee o discutere su una pagina del vangelo. Io ho partecipato a quattro o cinque funzioni, e non mi ricordo di che ce ne fossero state due uguali. La mia preferita rimane quella per cui si era stati invitati la volta prima a portare qualcosa da mangiare, e finito il rito ci si è spostati nel refettorio a pranzare e a divertirsi insieme.
  3. Si vota per essere rappresentati nella gerarchia ecclesiastica. E se si è valdesi da abbastanza tempo, si può chiaramente anche essere votati. Senza per forza essere pastori. Con la chiesa cattolica è un po’ diverso: c’è un papa che nomina i cardinali ed i vescovi, e questi si preoccupano di votare per un nuovo papa quando questo incontra la morte o, caso più unico che raro, decide di dimettersi un po’ prima. Poi a cascata i vescovi nominano tutto il resto a scendere, fino ai preti, ai diaconi, alle catechiste e agli insegnanti di religione. Questi ultimi poi devono anche comportarsi in modo conforme, altrimenti possono essere licenziati senza giusta causa, e si ritrovano quindi a dover rispondere anche della propria vita privata solo per mantenere il posto di lavoro. Che però, incredibile a dirsi, non viene pagato dalla chiesa ma dallo stato. Siamo nel medioevo. Il fatto poi che i valdesi votino per i loro rappresentanti aiuta molto a tenere la chiesa vicina al senso della realtà: sono i fedeli a decidere la direzione della loro chiesa attraverso delle elezioni regolari, e non la chiesa a cercare di forzare la mano per imporre ai suoi fedeli il modo di pensare di un gruppo chiuso di vecchi dinosauri.
  4. Le gerarchie sono laiche, ovvero una cosa è essere pastore, una cosa è rappresentare e decidere per la chiesa. Ovviamente un pastore può anche essere eletto ed è facile che sia portato a farlo, ma ad un certo livello della gerarchia i laici non possono scendere sotto una certa percentuale dell’assemblea.
  5. I pastori hanno anche un altro lavoro. Già, non ci sono preti di professione. E fare il pastore quindi non è un lavoro, come non comporta carriere religiose.
  6. Le donne possono fare il pastore (pastoressa? pastora?) al pari degli uomini, senza limitazioni. I maschietti del cattolicesimo hanno paura di non so cosa, e negano ogni forma di carriera ecclesiastica alle donne, che al massimo possono diventare badesse di un convento o caposala in un ospedale, sempre però indossando abiti talebaneschi.
  7. Si impara l’inglese, perché gran parte dell’assemblea è formato da stranieri. Quindi da un lato gli stranieri imparano l’italiano, ma dall’altro gli italiani si beccano un po’ di parti del rito ripetute in inglese, ed un altro po’ solo in inglese. Male non fa di sicuro. Per i cattolici la lingua ufficiale è ancora il latino, figurati se sono pronti a far recitare la messa in inglese.
  8. C’è chi ti tiene i bambini mentre vai al rito. Pensa un po’, una specie di nido aziendale o di Småland dell’Ikea, ma in chiesa. I valdesi sono più avanti pure delle aziende italiane o dello stato stesso, che se sei stato così arrogante da decidere di riprodurti e poi non hai né i genitori a portata di mano né i soldi per mettere il bambino in un nido, sono solo cavoli tuoi. Lasciando il bambino in una sala giochi, seguito ovviamente da una persona qualificata della comunità e non da un prete cattolico, non si costringe un bambino a fare cose che odia e non è in grado di capire, come stare seduto per un’ora su una panca scomoda ad ascoltare un sacerdote che sproloquia di cose un po’ distanti dalla realtà.
  9. Se vuoi, puoi chiedere di tenere un sermone, anche se non sei un pastore. Questa poi è davvero sensazionale.
  10. Non stanno ad incasinarsi troppo sui dogmi, come se avere una madonna vergine fa poi tanto la differenza. Quella dei dogmi l’ho sempre vista come una grossa tara per qualsiasi religione. Neanche a dirlo, l’unico dogma della religione pastafariana è il rifiuto di qualsiasi dogma, come sta scritto qui nella sezione Further. Un conto è che mi si dica di fare qualcosa di poco chiaro sulla fiducia, e se non è proprio una scemata o una terrificante violazione dei diritti degli altri, allora posso anche fare uno sforzo. Ma che mi si venga a dire che se non credo a delle assurdità totali va a finire che non sono un fedele esemplare e che magari verrò anche punito in un secondo momento, allora direi che è meglio lasciar stare. Anche perché voglio ricordare che i fedeli di una religione non sono tutti laureati in teologia, e che ogni dibattito con un qualsiasi ubriacone da bar sul fatto che la madre del loro dio abbia concepito e partorito da vergine, va sempre a cadere nell’ilarità generale del pubblico. Se poi il tipo religioso è permaloso ed è in grado di procurarsi delle armi, succedono anche dei bei casini, e la colpa è sempre tutta di questi dogmi strampalati.

 

Ci sono tanti motivi per cui per un cattolico di nascita può essere affascinante affacciarsi ad una cerimonia valdese. Poi, lo ripeto, il dio è lo stesso. Solo una versione aggiornata e corretta di quello che già adora. Per dirla in un altro modo: non gli ho chiesto di passare a Linux: è più un aggiornamento gratuito da Windows Millennium a Windows 7.

Ho ottenuto successo? No. Col senno di poi mi viene anche da dire ovviamente. Perché? Perché la mia amica, a cui voglio un mare di bene, vive in una religione che ha costruito tutta la sua fortuna sulla paura, o timore, come lo chiamano loro. Ad iniziare dalla mela di Adamo ed Eva, tutto quello che ne viene è sempre la paura a porsi delle domande, a provare a cambiare qualcosa. Per come la vedo io, sarei contento di avere un dio che mi porge tutto il sapere proibito concentrato in un unico frutto, e ne mangerei ogni giorno, seguendo la regola d’oro dell’ateo umanista:

una mela proibita al giorno toglie il dio molesto di torno

Ogni giorno mi sveglio e decido se voglio affrontare la mia giornata da ateo, da Pastafariano o da seguace di un qualche dio che non ho ancora avuto il tempo di inventare. Ma questo sono io, e così credo siano la gran parte degli atei, degli agnostici e dei liberi pensatori vari che abitano il mio pianeta. Ma questo modo di pensare che per me è tanto naturale, ricco e stimolante, tale non è per la mia amica. Lei, ogni volta che ha un dubbio, invece di sguinzagliare il suo pensiero ha imparato a rinchiuderlo dentro di sé, a cercare la risposta in una qualche frase sentita mille volte da un prete o da un’autorità riconosciuta. In questo contesto, anche solo il proporgli di andare ad assistere al rito di una chiesa protestante diventa un bestialità, qualcosa di assolutamente inconcepibile. Ma perché? Non me lo ha saputo nemmeno dire. Probabilmente non se ne rende conto nemmeno lei, ma per me è ancora la paura. Paura di una punizione divina o di doversi di colpo ricostruire da capo una nuova identità, come se non stiamo mettendo in dubbio il prete, ma dio stesso e tutto quello che siamo.

E che se pure dovessimo provare e poi non ci piace, il gesto sconsiderato vada comunque confessato al proprio prete, con chissà quale imbarazzo: “sono andato a messa dai valdesi, così, per provare a vedere se è bello come dicono…” ma stiamo scherzando? Guai! E se poi ci piace? A questo punto credo che abbiamo talmente paura di cambiare e di quello che potremmo diventare, cioè diversi da quello che siamo, da non ammettere che se cambiamo rimaniamo comunque noi stessi, solo con indosso un abito migliore che ci fa stare più comodi. Siamo pronti a rinunciare a noi stessi, a metterci in gioco? Evidentemente no. Come se dovessi morire per far rinascere un’altra persona nel mio corpo. Una persona valdese, probabilmente più felice e realizzata, ma pure sempre al posto di un me stesso, cattolico mortificato. Detto così sembra una bestialità, ma credo che sia proprio questo, la paura di cambiare, di ammettere di essersi sbagliati, di sbarazzarsi di quel cadavere imbarazzante che siamo diventati per evolverci in qualcosa di migliore.

Mi dispiace, ma non ne vedo altra spiegazione. A parte forse una, ben più pratica: la mia amica di lavoro fa l’insegnante di religione. Probabilmente se avesse deciso di seguire il mio consiglio e avesse poi pure deciso di cambiare parrocchia, avrebbe certamente perso il lavoro. E’ una cosa che capita abbastanza spesso in tutta Italia, da Palermo a Trento, da Fano a Firenze, ma fa parte dei rischi del mestiere quando si sceglie un lavoro come quello, con un datore di lavoro che predica la tolleranza ma che si comporta come un feudatario medievale.

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Perché gli atei sono più antipatici dei testimoni di Geova

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Già, perché? Perché questo gruppo di persone che si riconoscono nei più fini valori umanistici, che danno tutta questa importanza ad un etica libera dalle religioni, al progresso della scienza e tutto il resto, perché sono così antipatici?

Probabilmente perché alcuni di loro trovano piacere a sbatterti tutto questo in faccia non appena ti azzardi a dire che tra le priorità della tua vita c’è quella di soddisfare i desideri di un essere pandimensionale particolarmente schivo, al fine di scansarne le punizioni e, magari, di ottenere qualche ricompensa già adesso o da morto. Questa arroganza nei confronti dei credenti non va bene, perché è un atteggiamento poco conforme con lo spirito da illuminati che questi atei dovrebbero avere.

Non fanno tutti così. Il titolo magari è un po’ esagerato, ma se scrivevo:

Perché alcuni atei riescono ad essere antipatici quasi come il tipico testimone di Geova che ti suona il campanello di sabato mattina

Probabilmente l’articolo veniva letto da ancora meno gente del solito. ateo-al-campanelloCerto, se anche gli atei prendessero il brutto vizio di suonare i campanelli dei credenti di sabato mattina, sicuramente diventerebbero ancora più antipatici dei testimoni di Geova. E non credo che questo aiuterebbe molto nella loro causa. Se poi finissero a suonare ai testimoni di Geova sarebbe pure tempo sprecato, perché non ci troverebbero nessuno ad aprirgli.

E poi: se un ateo dice di sentirsi discriminato, direi che c’è chi sta molto peggio. Tipo le donne, che non possono andare in giro la notte o meno vestite di una suora di clausura senza che qualcuno possa sentirsi in diritto di avere rapporti sessuali con loro. O gli omosessuali, che c’è chi si ostina a volerli curare come se fossero dei malati, o a pensare che siccome sono differenti dai non-omosessuali, allora questa diversità deve essere pagata in termini di riconoscimento dei diritti fondamentali. Ma anche chi ha un colore della pelle diverso spesso viene mal giudicato per questo, come se essere di un certo colore altro non è che una indicazione per gli altri che in certe condizioni non mancherai di comportarti in certi modi poco graditi, e che se gli altri si comportano di conseguenza non è per razzismo, ma solo per prevenzione.

Insomma, ci sono tanti modi per essere discriminati, ma tra questi essere ateo è quello che fa più ridere. Faccio un elenco delle cose per cui vengono discriminati gli atei in Italia.

  1. Non possono dare l’8 per mille alla loro non-religione. Al massimo possono dare il 5 per mille alla loro associazione non religiosa. L’8 per mille è fatto per le religioni, e quindi se non credi in una religione sono fatti tuoi, e puoi solo scegliere la religione più simpatica, o la meno antipatica. Se consideri che lo stato in un modo o nell’altro poi dà comunque tutto alla chiesa cattolica, finisce che si sceglie la chiesa valdese, che se non altro usa l’otto per mille non per restaurare la casa in centro dei suoi cardinali, ma esclusivamente per fare beneficenza.
  2. Non possono ascoltare alla radio nazionale le prediche del loro non-papa o dei loro non-preti riguardo ai precetti morali consoni alla loro situazione di senza-dio.
  3. Non possono bestemmiare come si deve. Non credendo in dio, il nominarlo in modo ingiurioso perde tutto il gusto ed il significato. Tanto vale prendersela con il caso, la sfortuna o con la propria incapacità di prevedere gli eventi. Se lo si fa solamente per dar fastidio a chi in dio ci crede, allora si è solo dei cretini e maleducati, vedasi il titolo di questo articolo.
  4. Se sono minorenni non possono ricevere i regali che i parenti credenti forniscono generosamente in occasione dei vari riti religiosi di consacrazione: niente bicicletta, smartphone e oggetti costosi vari. La cosa ti fa rabbia, caro figlio di premurosi genitori miscredenti? E’ un problema tuo. E non puoi nemmeno bestemmiare.
  5. Se sono maggiorenni, devono comunque fare un regalo ai figli minorenni di amici e parenti che incorrono nel sacramento di turno, con in più la fregatura di doverlo fare controvoglia e col rischio che qualcuno te lo rinfacci. Se non altro se si è anche sbattezzati si evita l’onere di essere padrino/madrina e di dover quindi fare il regalo più grosso e costoso. Sembra poco, ma ci sono sacramenti cattolici per tutte le età, letteralmente da quando si nasce a quando si muore, e molti di questi sacramenti pretendono il regalo. Lo sbattezzo può salvarti in una buona percentuale di queste occasioni.
  6. Quando si sposa un amico metà delle volte questo avviene ancora in chiesa, e l’ateo o entra a disagio in questi luoghi lugubri e misteriosi, o aspetta al bar più vicino portandosi leggermente avanti con gli aperitivi. Ho messo questo punto tra gli svantaggi, ma credo che allo stato attuale delle cose in realtà molti credenti invidiano la possibilità di starsene fuori dalla messa come un privilegio esclusivo di chi non crede ufficialmente in quel dio.
  7. Quando muore una persona cara è brutto passare il tempo della messa al bar, anche perché comunque non c’è un ricco buffet a cui imbucarsi alla fine della cerimonia. Quindi o si fa la figura dei caproni che non vanno al funerale del caro amico, o si va alle veglie funebri, sperando di non incontrare il prete in visita, o si fa lo sforzo e si entra nel tempio, cercando di mettersi un po’ nascosti nelle ultime file. Altrimenti vi verrà rinfacciato.
  8. Se un ateo prova a candidarsi a qualche carica pubblica e si mette a distribuire volantini in cui si professa orgogliosamente ateo, sicuramente prenderà ancora meno voti che non se scriverà che è una lesbica di colore. Perché gli atei sono antipatici a chi non lo è. Magari sono simpatici agli agnostici e ai pastafariani, ma è ancora poco. Soprattutto se si parla di voti, anche perché un buon credente non vota un ateo a prescindere, perché sa già che chi non crede in dio è sicuramente una cattiva persona, mentre un ateo prima di votare un ateo magari si informa anche un po’ sul suo programma elettorale.

Di motivi ce ne saranno ancora, ma sono tutte sciocchezze, e derivano tutti dal fatto che gli atei sono pochi, e se sono pochi è perché quei pochi che ci sono sono pure antipatici e presuntuosi, e questo fa sì che rimangano sempre pochi.

tumblr_lbh2m2kpAX1qdbblao1_400In conclusione, se voi siete credenti, abbiate pazienza nei confronti degli atei: sono solo un po’ frustrati perché tutte le statistiche danno loro ragione, dicendo che sono persone più intelligenti, più attente, di migliore estrazione socioculturale, più aperte al dialogo, meno aperte ad ogni forma di delinquenza e così via, ma nonostante questo sono sempre pochi, mal sopportati e guardati con un misto di pena e timore da tutte le persone per bene.

Se siete atei, magari è ora di smetterla di stufare e di iniziare a godervi un po’ la vita. Alla fine siete nati in un’epoca buona per voi, visto che non vi bruciano al rogo e non vi torturano come era buona prassi della chiesa fino a pochi secoli fa. Oppure fate la cosa migliore, che è quella di convertirvi al Pastafarianesimo, la religione giusta per quelli come voi, per vari e validi motivi. Il primo tra tutti è che non è strettamente necessario che si creda nell’esistenza del divino, ovvero Sua Sugosità il Flying Spaghetti Monster, per ritenersi dei buoni Pastafariani; di conseguenza, sia che ci crediate o meno, ai fini pratici siete già seguaci del Divin Carboidrato. In secondo luogo, i suoi precetti morali sono abbastanza blandi, ma si trovano comunque a combaciare perfettamente con quelli di atei, agnostici e miscredenti vari; non dovrete cambiare idea in niente. Terza cosa, ci si ritrova ad appartenere alla religione più moderna e simpatica di tutti i tempi, che fa della filibusta e dell’ebrezza sociale la sua bandiera. Potrete andare avanti a professare il vostro ateismo senza problemi e senza la frequenza fissa di nessun luogo di culto, ma lo farete indossando dei simpaticissimi abiti pirateschi. Che, diciamocelo, a differenza di quegli stracci che vendono nei negozi del centro, questi non passano proprio mai di moda e tengono lontani i malintenzionati. Soprattutto se li si lava secondo il costume dell’epoca.

Breve manuale di Pastafarianesimo per cattolici dubbiosi o delusi

Incipit

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Il grosso problema dell’umanità è la paura di cambiare opinioni. Lo dice anche il poeta: se è difficile cambiare partito ed è quasi impossibile cambiare squadra di calcio, figurarsi la religione, dal cui esito spesso dipende nientemeno che la lunga eternità del dopomorte. Anche quando ci si rende conto che la propria religione ha dei difetti congeniti gravi da cui ogni persona pensante non può che prendere le distanze, comunque ci si limita a lamentarsene sommariamente con gli amici all’osteria, giusto per mettere a posto la coscienza con una vaga presa di distanze, ma alla fine ci si consideri sempre tra gli adoratori di quel dio un po’ imbarazzante.

 

La mia obiezione però è semplice: non si può andare avanti così, e non basta un nuovo capo simpatico e alla buona per distrarci e far finta che tutto adesso va bene o ci andrà nel giro di poco tempo. Con queste vecchie religioni, niente cambia mai davvero, e anche se qualcosa cambia non lo fa mai con lo stesso ritmo con cui cambia il mondo. Si rimarrà sempre più indietro, e non c’è proprio niente di strano, quando chi decide le novità da adottare è un gruppo di ottuagenari amanti delle lingue morte e dei vestiti da donna. Per chi fa parte di questo tipo di religioni non è sufficiente prenderne le distanze: ci si è dentro fino al collo. Le curie d’Italia e del mondo sono piene di registri con sopra una serie di nomi e cognomi e di date di battesimo, e per gli anziani signori questo è sufficiente: sono nomi dei sessanta milioni di italiani e del miliardo di persone nel mondo per cui ogni giorno preti, vescovi, cardinali e papi si sentono autorizzati a dire ogni bene su ogni mezzo di comunicazione, per poi fare ogni male nella vita privata. Prima ci si dissocia e meglio è per tutti, e anche per loro, che non è mai troppo tardi per trovarsi un lavoro onesto.

 

Flying Spaghetti Monster Icon by TestingPointDesignHo voluto scrivere questo manuale per indicare quella che secondo me è la strada più semplice per abbandonare in modo pacifico e indolore la religione ancora più in voga in Italia, ovvero quella cattolica, per passare a quella invece più moderna e in crescita di consensi. Ma come si passa da quella religione datata alla più sfavillante religione di tutti i tempi, il Pastafarianesimo? Può non essere facile cambiare un dio come quello cattolico, che basa la devozione dei suoi fedeli sul rispetto della gerarchia e su una serie di mortificazioni e privazioni in vita con la promessa di un futuro migliore, con un dio divertente e moderno come il Flying Spaghetti Monster, che non pretende nessuna forma di devozione, dà chiare indicazioni su come divertirsi fin da subito e promette un vulcano di birra fresca e spumeggiante a quelli che si saranno pure comportati un po’ meglio. Ahimè, ancora pochi sono i fortunati che nascono tra le amorevoli braccia di genitori pastafariani, e la maggior parte di noi si trova ancora a dover individuare la Sugosa Via da soli. Spero che questo mio manuale possa accelerare questo percorso con l’indicazione di un probabile cammino. In parte è stato anche il mio percorso e, incredibile a dirsi, passa nientemeno che dalla negazione della religione, il temuto ateismo.

Primo passo: il credente non praticante

Dorothy-shoesDiciamocelo, al giorno d’oggi è difficile sentirsi cattolici integralisti. Anche se il papa Seph-shoesattuale è tanto buono e simpatico e non ha le scarpe rosse come Judy Garland nel Mago di OzDi cattolici integralisti ce ne sono, certo, ma nessuno di loro ha vinto dei premi Nobel per la pace o in discipline scientifiche. Il Nobel per l’omofobia non c’è, fortunatamente. E difficile sentirsi cattolici integralisti perché la chiesa cattolica assomiglia ogni giorno di più ad un sistema di raccolta e distribuzione di potere e capitali, più che ad una pia associazione per il bene, la carità e la salvezza dell’anima. E quando invece di parlare di liste di preti pedofili consegnate alle autorità dello stato si parla di un altro discorso pieno di frasi fatte pronunciato ai propri fan da qualche parte nel mondo, o dell’ennesimo incontro con la celebrità baciapile del momento, l’impressione è quella di trovarsi dentro una colossale campagna di marketing, in cui tante cose vengono dette continuamente per evitare di dovere iniziare a farne altre più utili. Gesù, campione storico del cristianesimo da cui la religione stessa prende il nome, disapproverebbe gran parte dell’attuale sistema organizzativo del vaticano e delle varie assemblee dei vescovi. E’ chiaro ormai anche ai fedeli, che storcono un poco il naso al pensiero che il prete dell’oratorio a cui hanno appena affidato il proprio bambino possa essere un pedofilo noto e impunito, protetto silenziosamente dal vescovo di turno.

 

In principio è il dubbio: forse la macchina religiosa è un po’ tarlata: ci sono delle mele marce. Un po’ tante, si è perso il conto. Può andare bene quando ci si limita a leggerne sui giornali nella cronaca nazionale, meno quando è nella cronaca locale. Ma dà sempre fastidio quando queste mele marce vengono protette dall’alto, magari giustificate, spesso spostate in un altro cestone. E quindi si inizia a pensare che non è questione di quali mele sono marce, ma che forse c’è un modo migliore di passare le domeniche che non stare a sentire in noioso silenzio le prediche a dir poco anacronistiche di un prete senza il senso della realtà: non siamo più nel medioevo, e certi sistemi non funzionano più. E con un po’ di senso di colpa si inizia a trascorrere la domenica mattina in modi alternativi a quello di correre a pregare un po’ dio, trasgredendo ad un comandamento esplicito: forse non si sta facendo la scelta giusta, ma nemmeno quella sbagliata. Ci si ritrova tra le schiere biasimate di quelli che vanno a messa solo a natale e a pasqua, mal visti da quelli che invece ci vanno tutte le domeniche, e che si lamentano quando alla messa di natale arrivano al loro solito orario e trovano tutti i posti occupati. A questo punto è lecito ritenersi comunque credenti, ma non più praticanti. Il rapporto con dio è diventato più personale: se stessi, lui e niente complicate gerarchie di ecclesiastici arroganti a pretendere di fare da tramite. Ci si parla come prima, con dio? Probabilmente anche meglio. non ci sono più tutti quei fastidiosi disturbi dovuti alle interferenze di ripetitori un po’ vecchi.

Secondo passo: dio interventista o dio menefreghista?

La domanda che prima o poi arriva però è questa: In cosa credo? Chi è questo dio per cui occorre attenersi ad un certo comportamento morale per farlo contento? Evidentemente è un dio presenzialista, un dio che dopo la creazione ha deciso di mantenere un contatto costante con la sua creatura preferita, quella che con somma modestia si è definita a sua immagine e somiglianza. monty-python-godQuesto dio richiede costanti attenzioni dai suoi adoratori nella forma di riti periodici presieduti da sacerdoti autorizzati. Oltre a questo chiede una cura attenta che pensieri, parole e azioni siano conformi ai suoi dettami. Se ci si comporta bene, una volta morti si riceve come premio di poter stare nella sua squisita presenza per l’eternità. Se invece non ci si è comportati bene o si ha avuto la sfortuna o la colpa di adorare il dio sbagliato, allora si finisce all’inferno, il posto peggiore di qualsiasi incubo, dove si espieranno le proprie colpe per sempre. Se ci si accorge per tempo di aver sbagliato basta pentirsi riferendo tutto ad un prete, e ci penserà lui a sistemare le cose con dio per il perdono e la scelta della punizione; in genere è sufficiente una salva di preghiere scelte tra i grandi classici, da ripetere a pappagallo nell’immediato futuro. Esempi di peccati perdonabili: il furto, la menzogna, l’omicidio, lo stupro, ogni violenza in generale. Esempi di peccati non perdonabili: la convivenza e il divorzio, dal momento che sono situazioni permanenti in cui il peccato è parte integrante. Per i conviventi ed i divorziati è probabile che ci sia un girone apposta all’inferno. Trattandosi di peccati contro la famiglia, la punizione sarà di star vicino al girone dei testimoni di Geova.

 

Questo dio che richiede costanti attenzioni non si limita a restituire le colpe ed i meriti dopo la propria morte. E’ un dio interventista, per cui basta pregare a sufficienza e con una certa onesta convinzione o lui o uno dei suoi santi e beati migliori, che egli potrebbe decidere di modificare la struttura fisica dello spazio/tempo compiendo un miracolo, ovvero un evento che in quanto tale non ha spiegazione scientifica.orval-beer Questi miracoli sono in genere di carattere medico, e sono tutti quanti dimostrati da una commissione scientifica di preti. Sono quindi assolutamente inattaccabili da scienziati esterni non credenti. Tra questi miracoli si annoverano fatti straordinari, come la guarigione da malattie giudicate irreversibili o cose del genere. Difficilmente però accadono cose più particolari e appariscenti, come resuscitare una persona morta da una settimana, far ricrescere in una notte un arto amputato, trasformare una cisterna di birra Beck’s in Orval, ricostruire un ponte o paese distrutto per errore divino in un terremoto. Queste cose sono tutte giudicate come pagliacciate appariscenti dal modesto dio cattolico, e come tali ignorate. Si preferiscono episodi più sottili e contestabili, di quel tipo che i non credenti catalogano impietosamente sotto la voce autosuggestione.

 

Per farla breve, se si crede ancora nel dio che interviene dietro preghiere, allora c’è ancora un po’ di strada da fare per cambiare religione. Ma forse è solo questione di tempo: se dio è grande, superiore ed infinito, avrà ben altro a cui pensare che star lì a controllare che quando fate la pipì non ci mettiate troppo tempo ad asciugarvi il pistolino, o a favorire alcuni devoti rispetto a altri in base al numero di preghiere pronunciate a raffica. Se ancora avete dei dubbi e credete che l’enorme dio cattolico ami essere pregato e riverito, e soprattutto che si diverta poi a manifestare il suo potere in favore di chi lo venera e lo teme, potete accelerare i vostri processi mentali con degli esperimenti sull’efficacia delle preghiere.

 

Se siete studenti, potete fare questo: in vista di un compito in classe, dividete la vostra classe in due gruppi. Un gruppo passerà i pomeriggi precedenti il compito a studiare, mentre l’altro gruppo li passerà in chiesa a pregare affinché dio interceda per fare andare bene il compito, facendo arrivare le risposte alle domande in testa da sole o facendo sì che venga chiesta l’unica cosa che si sa. Quindi presentatevi tutti al compito e attendetene i risultati. Il coefficiente di efficacia della preghiera a dio sarà ottenuto sommando i voti di chi ha pregato e dividendo il risultato per la somma dei voti di chi invece ha studiato.

 

coefficiente preghiera

 

Più il coefficiente è alto e più il ministero dell’istruzione dovrebbe farsi delle domande. Nel caso venga prossimo allo zero, allora forse dio quel giorno era impegnato a punire qualcuno che ci ha messo troppo ad asciugarsi il pistolino dopo aver fatto la pipì.

 

Se invece è un po’ che non andate a scuola e i vostri figli si rifiutano di partecipare ad un esperimento così intelligente, allora si può provare a cambiare contesto. Per esempio, la prossima volta che siete malati, invece che rivolgervi al vostro medico andate in chiesa a pregare di guarire. Magari informatevi di quanto avreste speso in medicine, e fate lo stesso investimento in ceri con sopra stampata la faccia della madonna o di un qualsiasi papa simpatico del secolo passato.san-callisto Se il vostro problema di salute ha un santo dedicato (Santa Lucia per i problemi di vista, San Lorenzo per le scottature da barbecue, San Callisto per i calli, San Gottardo per la gotta, San Sone per la calvizie, San Dokan per le escoriazioni da grosso felino, San Candido per le malattie veneree, San Bernardo per le irritazioni vaginali …), rivolgetevi a questo per massimizzare l’efficacia della guarigione. Certamente al termine dell’esperimento sarete in grado di valutare voi stessi il risultato, per capire quanto sia efficace la preghiera mirata alla cura delle malattie. Per uno studio statistico più attendibile è preferibile coinvolgere quante più persone possibile, sia nel gruppo dei preganti che dei pregati: amici, parenti, la parrocchia o la diocesi intera. Se ad esempio metà dei cattolici affetti da mal di schiena della provincia di Brescia smettesse di curarsi dal medico ma cercasse una cura esclusivamente attraverso le preghiere personali e di amici e parenti, alla fine dell’anno potremmo fare un confronto paragonando i risultati con quelli che sono ricorsi al medico. Con i grandi numeri non si sbaglia, e un risultato positivo dei guariti per preghiere porterebbe ad un risparmio notevolissimo nella sanità pubblica, che è notoriamente molto più costosa degli interventi divini a pagamento anticipato di preghiere e ceri sintetici.

 

Può essere però che non abbiate bisogno di questi esperimenti. Forse perché già da bambini vi hanno passato per buoni alcuni argomenti scientifici come il metodo sperimentale, il Big Bang o l’evoluzione delle specie, e l’idea di discendere dalla scimmie non vi sembra poi tanto strana o aberrante. Allora è probabile che per voi già da tempo il ruolo di dio nell’universo si è parecchio ridimensionato: non più il dio impiccione, permaloso ed importuno, ma qualcosa come un divino architetto che ci ha messo una minuscola frazione di secondo a definire delle leggi della fisica ben funzionanti, per poi dare origine con un enorme botto alla vita, l’universo e tutto quanto, e quindi ritirarsi ad un ruolo compiaciuto di osservatore passivo. Il dio passivo o menefreghista non compie miracoli e non è un guardone. Si limita a fare una verifica alla fine della vita di ognuno, per vedere se ci si è comportati per bene o no, in linea con le sue idee iniziali. In quella che era la mia visione, questo dio marginale non stava nemmeno ad andare troppo sul sottile su tutte quelle questioni esclusive delle singole religioni, tipo il pesce del venerdì, la convivenza, l’aborto, ma si limitava a suggerire di seguire il proprio buon senso, che più o meno equivale a dire che se non fai del male a niente e nessuno, allora si può fare. L’esistenza di questo dio serve solo a rispondere al problema principale, quello che non ci siamo creati da soli, e quindi qualcosa di più grande deve esserci per forza.

 

Terzo passo: credo che dio esista, non credo che dio esista, credo che dio non esista

Quando dio è diventato una piccola risposta al grande problema di chi ha creato le leggi della fisica e ha fatto partire il grande flipper dell’universo, la mente si fa confusa. La risposta banale che ci viene deriva da decenni di educazione alla religione: il nostro cervello è troppo piccolo per capire tutto, e dobbiamo accontentarci di credere, per fede. adamo-ed-evaGuai agli arroganti che vogliono sfidare dio cogliendo i frutti della conoscenza, Adamo ed Eva insegnano questo all’inizio della bibbia, Tommaso conferma tutto alla fine del vangelo. Col cavolo, questa è negazione dell’approccio scientifico sperimentale, e per me è regressione mentale. Non mi piace quando mi si tratta come un bambino curioso ed impiccione, e mi viene da pensare che mi si nasconda qualcosa. Piuttosto divento agnostico, ovvero liquido il grande problema della presenza o meno del grande essere creatore con un gigantesco chissenefrega.

 

Dio poi è misteriosamente territoriale. Come il fatto di nascere a Brescia aumenta leggermente le possibilità di tifare per il Brescia, così il nascere in Italia fa aumentare a dismisura quelle di diventare cattolici. Ma sono tutti cretini gli altri, a non capire che il dio giusto è quello di chi nasce in Italia, e che la squadra per cui vale veramente la pena fare il tifo è il Brescia Calcio? Vorrei chiederlo ad un bergamasco. E ad un pakistano. Chiunque che non sia irrimediabilmente plagiato deve rendersi conto che non c’è un dio giusto ed una serie di falsi dei, ma al massimo ci sono diverse manifestazioni dello stesso dio. E a questo punto non vedo perché si debba correre dietro alle piccole differenze tra un culto e l’altro. Si segue il massimo comun divisore a tutte le religioni normali: comportarsi bene e non suonare il campanello la domenica mattina presto. Gli agnostici fanno così.

 

Quarto passo (facoltativo): grazie a dio sono ateo

Per quanto tempo si rimane agnostici? Non si sa. Non è facile dismettere gli abiti dell’agnosticismo: sono molto comodi perché hanno queste tasche enormi in cui ci sta di tutto. Ma non sono gli abiti più eleganti, come tutti gli abiti con tasche enormi. Essere agnostici da un lato ci fa sentire protetti rispetto ad improbabili collere divine ed eterne dannazioni, ma da un altro ci pone nel mezzo di due opposti schieramenti, nel brutto ruolo degli indecisi, quelli che non stanno né da una parte né da un’altra. Quelli che tanto hanno schifato il Sommo Poeta da piazzarli sullo zerbino della casa dei disperati ma orgogliosi peccatori infernali. Insomma, nella vita occorre decidersi. Magari ci vuole tempo ma alla fine, anche se sembra complicato, rinunciare al piccolo dio menefreghista non è una scelta poi così difficile. Tanto è un dio che non fa più niente: non si arrabbia con nessuno, non dà peso al fatto di essere adorato o meno, e non manda più nessun erede a farsi maltrattare dall’umanità. forse è anche morto, se mai un dio può morire. Probabilmente non è mai vissuto. Di dubbi scientifici e fatti inspiegabili che hanno sempre fatto gridare al miracolo nel passato ormai non ce ne sono più, e quindi lo spazio riservato al legittimo pensiero che esista un dio creatore è sempre più stretto. Detto così suona anche peggio, perché qualunque cosa sia questo dio, altro non è che il dio dell’ignoranza residua dell’umanità. Rinunciarci non deve essere poi così difficile, e lo sarà sempre meno. Addio, dio dei buchi della scienza, non ci mancherai. Benvenuta conoscenza. Benvenuto umanesimo.

 

E’ solo questione di tempo: qualcuno ci mette pochi giorni, altri degli anni, altri ancora diverse reincarnazioni, ma prima o poi ci si rende conto che nessun essere superiore dedica la sua infinita esistenza con passatempi idioti come osservare i suoi inferiori per vedere cosa combinano. Se un essere è davvero superiore come vuol farci credere, dovrebbe guardare in alto, non in basso, altrimenti è solo un grande onanista, e dovrebbe autopunirsi con la morte in base alle sue stesse leggi. A noi umani piace guardare chi sta peggio, ma perché siamo insicuri ed un po’ deficienti. Guardiamo i reality show perché sono pieni di persone ancora più deficienti di noi che si comportano in modo ridicolo o umiliante, e questo ci fa sentire intelligenti ed importanti. Magari ci fa anche venir voglia di iscriversi all’edizione successiva. Forse ci sentiamo un po’ dio per la nostra possibilità di votare per buttare fuori l’uno o l’altro dei concorrenti, sebbene questo potete è condiviso con milioni di idioti teledipendenti nostri pari. Ma è un po’ presuntuoso pensare che sia dio ad essere fatto a nostra immagine e somiglianza, costruito su quelle che secondo me sono delle gravi tare che ci portiamo dentro per via di un’evoluzione un po’ troppo veloce. Non c’è questo dio, non può esserci. Questa è solo la materializzazione di un brutto essere umano spaziale onnipotente generata dalle nostre menti difettose di ottusi scimmioni da salotto.

 

Se però siamo arrivati al punto da ritenerci atei, allora il più è fatto. Consiglierei nel caso anche una bella raccomandata alla propria curia, a suggellare il nostro importante traguardo ufficiale di liberazione dalla religione cattolica. Ce lo meritiamo, dà senso di orgoglio ed euforia e da ultimo ci ricorda che indietro non si torna. E poi, fatto inatteso, fa sentire leggeri, nonostante la leggenda dica che su di noi sia appena ripiombato nientemeno del peccato originale.

 

Quindi prima o poi ci si rende conto che, come dice ancora il poeta, siamo soli. E non significa che siamo liberi da ogni moralità, ma che forse è ora di farci seriamente i conti: chi siamo, cosa vogliamo essere per gli altri, quale è il nostro ruolo nel mondo finché saremo ancora vivi. Perché non c’è nessun dio a mettere a posto le cose che sfasciamo, e nessun dio da ringraziare o da maledire quando ci rendiamo protagonisti di grandi imprese o solenni bestialità. Siamo solo noi ad essere artefici del nostro destino. Anzi, non c’è nemmeno il destino, ma solo noi, le nostre azioni ed un intero universo soggetto alle leggi naturali.

 

Un po’ quindi non ci si stupisce se quelle brutte bestie degli atei, mostri senza coscienza e senza inibizioni morali a frenare i loro istinti, misteriosamente si comportano meglio dei religiosi timorati di dio. Già. Strano vero? Perché per fare un esempio di attualità, gli autori della strage di Parigi una volta tornati in strada non hanno inneggiato ai principi etici dell’ateismo come vuol farci credere il buon papa cattolico, ma al fatto che il loro dio fosse grande. Già: molte persone sono pronte ad ucciderne altre per motivi religiosi, ma nessun ateo ha mai fatto lo stesso, e mai lo farà. Forse il motivo è che non ci sono entità ultraterrene, materne e protettive a cui confessarsi per mettere a posto la coscienza e a cui affidare le sorti di questo mondo incompleto e temporaneo, in vista del un grande disegno divino. Questo mondo è tutto quello che abbiamo, e il tempo che abbiamo a disposizione va dal momento in cui nasciamo a quello in cui moriamo. E’ poco, ed è inutile sprecarlo a parlare con qualcosa che non esiste se non nella nostra testa. E’ anche molto peggio se roviniamo la vita a noi e agli altri sull’altare della nostra monumentale stupidità. Non è facile capire tutto questo perché vuol dire liberarsi degli anni di condizionamento mentale che abbiamo subito fin da quando eravamo dei bambini, ma se avete fatto le cose per bene alla fine ce la si fa. Anzi, una volta abituati a vivere senza dio è difficile tornare indietro. E’ un po’ come rientrare nella pancia della propria mamma dopo che si è passato un po’ di tempo fuori. Probabilmente all’inizio il mondo apparirà un po’ spaventoso, dopo il trauma del parto e questa inondazione di colori accecanti, suoni assordanti e di parenti impiccioni. Ma quando poi si inizia a guardarsi in giro, a camminare e a percorrere distanze sempre maggiori anche grazie alla patente di guida, l’idea di ritornare in quello spazio così stretto non ci affascina più tanto come all’inizio. Se non in parte ed occasionalmente, ma solo per quelli di noi che non ne sono dotati. Non siamo poi così soli: non c’è nessuno sopra di noi a guardarci benevolmente e a prendersi i meriti del nostro impegno, non c’è nessun cattivone puzzolente sotto a cui dare tutte le colpe della nostra incapacità.

 

Quinto passo, finale: la Sugosa Via del Flying Spaghetti Monster

E’ facile pensare che un cattolico deluso per arrivare all’ateismo debba passare almeno un poco dall’agnosticismo. E’ però più complicato capire da dove si debba passare per arrivare al Pastafarianesimo: si cambia dio al volo, senza ateismo di mezzo, o si lascia un periodo di pausa di riflessione senza dio, come si fa in genere quando si decide di cambiare un partner poco soddisfacente?

 

pirate-ship-black-spotsIo stesso non mi ricordo bene, ma se non sbaglio come prima cosa ho deciso di trovare un dio alternativo, più comodo e meno impegnativo di quello dell’infanzia. E dopo qualche mese di ricerca sommaria mi è stata suggerita Sua Spaghettosità, ed ovviamente è stato carboidrato a prima vista. Solo successivamente ho capito che non era poi così importante credere alla lettera alla sua esistenza, ed allora continuando strenuamente a ritenermi un devoto pirata Pastafariano, ho iniziato anche a professare l’ateismo come libero pensiero. Il Pastafarianesimo per me è stato quindi una nave pirata che mi ha fatto veleggiare nel sugoso mare della religione, fino alle sponde del continente della liberazione dalla stessa. Il viaggio è stato talmente avventuroso ed affascinante che ho deciso di non abbandonare il pregevole vascello, che come nient’altro mi dà i migliori strumenti per affrontare i pericoli che mi si presentano davanti.

 

Non so quanta gente arrivi al Pastafarianesimo passando dall’ateismo radicale, e quanta invece ci giunga più placidamente dall’agnosticismo disilluso. E’ certo però che i vantaggi della meta sono davanti agli occhi di tutti. Come termine di paragone, da una parte c’è il cattolicesimo: una religione molto costosa con il suo enorme parco di immobili da mantenere e le onerose gerarchie da foraggiare e a cui confessare i propri peccati. All’altro estremo c’è l’ateismo, in cui ognuno fa capo a sé, senza papa o profeta alcuno. Il Pastafarianesimo è una via di mezzo, anche se ad essere corretti, non sta proprio a metà. E’ un po’ più vicina all’ateismo, tipo che se l’ateismo fosse il pianeta Terra e il cattolicesimo fosse la Luna, il Pastafarianesimo si troverebbe a circa un metro sul livello del mar dei Caraibi. Questo perché è una religione a basso costo, composta da una comunità brillante di pirati volenterosi ed amichevoli, la cui unica forma di gerarchia è rappresentata da un profeta per niente invasivo. Gli atei possono aver ragione a credere che hanno tutto quello che gli serve per capire cosa è giusto o sbagliato per vivere felici, ma vuoi mettere una comunità coerente, attiva e motivata in cui riconoscersi come fratelli e sorelle, in cui si è autorizzati ed invitati a dire la propria opinione per concorrere a definire una religione ogni giorno migliore, e che ci può aiutare quando si è in confusione o quando si cerca un fratello con cui bere una birra e condividere due idee sulle grandi questioni del mondo? Quando poi dico che è una religione a basso costo, intendo che lo è in ogni senso: da un lato si risparmia tempo prezioso, perché non siamo precettati ad assistere a nessun rito a cadenza periodica o a praticare incomprensibili sacramenti, e da un altro si risparmiano anche un sacco di soldi: non avendo beni terreni e personale vestito con costosi abiti di seta e broccato da mantenere, non ci sono nemmeno gli altissimi costi a cui ci ha abituato la chiesa cattolica. Gli unici costi sono quelli dei canoni di affitto dei server su cui girano i siti Internet, o al massimo le spese di vestiario pirata e di cancelleria dei pirati più solerti, impegnati in attività di propaganda religiosa sul territorio. Tutte queste spese sono fino ad oggi state sostenute senza troppe storie dagli interessati, fieri di appartenere ad una delle poche religioni autosostenute e low-cost del mondo. E anche volendo saremmo comunque molto lontani dai miliardi di euro che costa ogni anno la chiesa cattolica a tutti i cittadini italiani, a prescindere se credano o meno in quel particolare dio.

 

Il Pastafarianesimo è stata pure la prima religione ad introdurre il periodo di prova, proponendo ai fedeli provenienti da altre religioni un mese di tempo per testare la religione più sugosa di tutte, con la clausola del soddisfatti o rimborsati. Essendo poi che il Flying Spaghetti Monster non è sicuramente un dio permaloso, nulla vieta di adorarlo in contemporanea ad altre divinità preesistenti. O a giorni alterni, tipo pastafariani il venerdì sera, quando si va all’osteria con gli amici, e di nuovo cristiani la domenica mattina, a messa. Queste formule di convivenza religiosa sono un sistema straordinario per giudicarne la validità e la piacevolezza dei rituali.

 

E da ultimo, un concetto fondamentale, nella sua banalità estrema: il Pastafarianesimo non fa terrorismo, esattamente come non lo fa l’ateismo. E intendiamo che non fa né terrorismo psicologico né terrorismo reale. Il primo è quello dell’inferno e del paradiso, secondo cui se si seguono senza contestare certe regole di cui alcune ovvie e altre assurde, quando si muore si finisce in un posto piacevolissimo; in caso contrario si va a finire in un posto molto inospitale, probabilmente circondato anche da gente simpatica con cui condividere la malasorte, ma serviti da un personale scorbutico e dalle pessime maniere. Il terrorismo reale invece è quello che autorizza certi personaggi molto devoti ma dalla filosofia spiccia ad usare armi nei modi più disparati per convincere gli altri della bontà della propria fede, con il fine ultimo di guadagnare un loro personale premio futuro. Questo secondo tipo di terrorismo è figlio del primo, dato che da quello trae le alte aspettative nel futuro dopomorte degli attori protagonisti. Ma è anche il più fastidioso, perché finché alcuni si rovinano la vita seguendo un dio insensato, a noi Pastafariani un po’ dispiace, ma sono pur sempre fatti loro, e noi rispettiamo le scelte di tutti. Quando però la loro ostinazione va a danno di altri, allora non va più bene. E un’altra cosa che non va bene è che si neghi la relazione tra le due cose. Fa comodo avere qualche miliardo di fedeli premurosi e attenti a seguire le regole senza discutere per paura di finire all’inferno. Scoccia un po’ quando alcuni di questi particolarmente zelanti fanno delle stragi più o meno clamorose in nome del dio pregato da tutti. Il Pastafarianesimo non fa niente del genere, ma non lo fa davvero. Non fa leva su premi futuri per forzare degli atteggiamenti poco sensati nel presente, siano essi una violenza solo contro se stessi o anche contro altri. E oltre al terrorismo, il Pastafarianesimo non fa nemmeno del qualunquismo religioso, prendendo le distanze dai citati terroristi e addossandone le colpe agli atei. Grazie, molto corretto: l’ha fatto il buon papa cristiano in nome di un misterioso accordo di mutua protezione tra le grandi religioni, come a dire che non è importante a quale religione si crede, l’importante è continuare a farlo senza farsi troppe domande. Questi terroristi sono fedeli islamici, come sono cristiani i loro degni compari che negli Stati Uniti massacrano i chirurghi delle cliniche abortiste; sono tutte persone cresciute in due delle tre più grosse religioni monoteiste, e sono pronte ad uccidere in nome del loro dio di amore e tolleranza. Se ci mettiamo anche i pacifici ebrei ed i loro atteggiamenti illuminati nei confronti dei palestinesi, allora il quadretto è completo.

 

Forse è ora di finirla.

 

Forse è ora di seguire la Via del Flying Spaghetti Monster, che non è tracciata col sangue di nessuno, ma solo col sugo di pomodoro.

Cutlass

I problemi dell’educazione religiosa dei figli per un padre ateo e pastafariano

E’ facile convertirsi al Pastafarianesimo: è una religione che offre tutte le agevolazioni, non è esigente, non richiede la frequenza a noiosi riti nei giorni di festa e non vede nella sofferenza e nel sacrificio un modo di avvicinarsi a dio.

 

Quello che però è meno facile è conciliare tutto questo con l’educazione di un figlio. Probabilmente perché nel frattempo ho conosciuto più a fondo questa religione, ed insieme ad essa anche tante questioni. Argomenti sottili, che arrivano a toccare anche altre religioni, prima fra tutte la negazione stessa della religione, l’ateismo. Tutti questi ragionamenti, spesso guidati dall’illuminazione di qualche birra consumata in compagnia di amici nella mia taverna preferita, non hanno mai fatto vacillare la mia fede nel Pastafarianesimo, anzi l’hanno rafforzata ed integrata di una forte dose di razionalità. Il risultato è che si è complicato l’approccio spensierato ed entusiasta dei primi tempi. Per altre religioni parlare di fede razionale è un controsenso se non addirittura una bestemmia: si sa che nelle religioni un po’ inconsistenti la ragione allontana dalla fede, e quindi il pensiero fine e autonomo viene scoraggiato fortemente. Ma nel Pastafarianesimo si può ragionare: da soli, in una euforica compagnia di amici, con degli sconosciuti rispettosi e non armati. E il ragionamento non può che portare nuovi argomenti a rafforzare questa religione: ecco uno dei punti che più amo e che più dà vento alle vele della mia fede razionale in questa religione.

 

Ma partiamo con ordine. Il Pastafarianesimo è una religione, ed io ne sono un devoto seguace. Secondo il modo di agire comune alle altre religioni, dovrei volere che pure mio figlio lo sia allo stesso modo. Da pastafariano, mi auguro che conduca sul pianeta una vita felice, rispettosa e ricca di soddisfazioni, e che giunto alla fine della stessa si meriti appieno il suo spumeggiante vulcano di birra fresca con annessa la fabbrica di conturbanti spogliarelliste. Ma ho già detto che il pastafarianesimo è una religione particolare, che accoglie a braccia aperte nella sua comunità anche persone che non credono alla lettera nell’esistenza del Flying Spaghetti Monster, ma che semplicemente scelgono di accettarne i consigli di comportamento. Questo rende automaticamente pastafariana qualunque persona del pianeta, a condizione che segua dei precetti morali coerenti con i nostri. Anche a sua insaputa, già. E soprattutto, anche se crede in una divinità concorrente. Il Flying Spaghetti Monster, a differenza di gran parte delle divinità monoteistiche moderne e passate, non è per niente geloso, e non minaccia mai di scatenare la sua collera contro chi crede in altri dei o non crede in lui. Diciamo pure che il Signore del Carboidrato in questo è una divinità controcorrente, perché non si limita a suggerire dei comportamenti, ma è il primo a dare il buon esempio seguendo lui stesso le sue indicazioni di tolleranza e rispetto.

Obama Pirata Pastafarriano
Il presidente degli Stati Uniti è a sua insaputa pastafariano, sebbene frequenti anche una chiesa di una divinità alternativa

Grazie a questo sano principio posso stare tranquillo che se anche mio figlio non abbraccerà mai la fede pastafariana, basta che si comporti in modo moralmente accettabile e avrà comunque diritto a vulcano e spogliarelliste, e quando giungerà il suo momento sarà per lui una piacevolissima sorpresa, ne sono certo. Sarà quindi sufficiente che io lo formi secondo i principi etici in cui credo. Considerando che i principi morali sono innati in ogni essere umano, non dovrò imporgli proprio niente, casomai evitare che qualche altro principio distorto preso da altre religioni non finisca per intrufolarsi.

 

E perché dovrei fare tutto questo? Non potrei semplicemente condurre mio figlio sulla strada del Pastafarianesimo? Ci ho pensato a lungo. E alla fine ho deciso di no. Per tre motivi.

 

Il motivo etico

L’ho appena detto: ogni persona ha da sé tutto quello che gli serve per capire che cosa è giusto o sbagliato, senza che questo gli venga spiegato da un prete in malafede o da un conoscente bigotto e zelante, senza che gli venga fatto credere che in base a come si comporta in questo universo ci saranno terribili punizioni o meravigliosi premi in una ipotetica e trascendentale vita futura. Il mondo, come dice il poeta, è fatto di buoni e cattivi. I primi si comportano bene e i secondi, manco a dirlo, si comportano male. La religione è il sistema più subdolo e raffinato per forzare le persone buone di comportarsi male o semplicemente in modo eticamente distorto, mantenendo però la coscienza pulita. Francamente, non voglio questo per mio figlio. Se mai si comporterà male, voglio che lo faccia per puro spirito di cattiveria volontaria, non certo per attendere ai secondi fini di chissà quale lunatica divinità.

Il motivo della libera scelta

Il secondo motivo è pure più semplice: non ho l’arroganza di pretendere che il mio dio sia quello giusto, e che debba essere io a decidere per mio figlio quale dio dovrà adorare. Non voglio fare l’errore tipico dei genitori religiosi di tutto il mondo che costringono i loro figli a seguire la propria religione, attraverso rituali di iniziazione ancestrali come circoncisioni o immersioni in acqua per perdonare loro dei reati che non hanno nemmeno avuto il tempo di commettere. Molta gente pensa che con questo mio comportamento io stia privando mio figlio di una cosa importante come la fede. In realtà è proprio il contrario: io comportandomi così non gli sto imponendo niente che vada contro la sua volontà, e se un giorno lo vorrà non avrà nessun pregiudizio e potrà scegliere la religione che preferisce. Voglio ricordare che nessun bambino nasce credente, ma che la religione viene in genere infilata nella testa contro la sua volontà in una età in cui la fiducia negli adulti è massima, unita alla totale incapacità di difendersi e di distinguere il vero dal falso. Basta provare a parlare di catechismo ad un figlio solo quando ha compiuto diciott’anni, per vedere cosa dice, e se sarà felice di dover confessare i suoi atti impuri ad un prete. Mio figlio avrà accesso ad una vasta letteratura per l’infanzia e magari, quando lo riterrò il momento adatto, insieme ai più celebri classici per bambini e ragazzi potrò anche fargli conoscere le storie più divertenti e singolari delle divinità del passato. I miti greci, sempre attualissimi nei loro concetti assoluti di esseri umani impavidi e curiosi che si scontrano con divinità imperfette e capricciose; quelli nordici, di respiro più catastrofico e grandioso nella lotta contro una natura avversa. Le favole degli indiani d’America secondo cui discendiamo dalle stelle; quelle dei popoli africani, piene di ancestrali animali parlanti. Ma anche le incredibili bizzarrie degli dei gelosi e truculenti del vicino Oriente, tutt’ora le più apprezzate da miliardi di persone al mondo. Starà a lui capire la differenza tra la letteratura classica e quella di matrice religiosa, e decidere se avrà bisogno credere nell’esistenza di qualcosa di tutto questo per sentirsi a posto con se stesso. Magari sceglierà il poderoso dio col martello Thor, o magari Bacco, generoso dispensatore di bevande alcoliche. Oppure stupirà tutti scegliendo come libro sacro un vero classico della letteratura quale l’Isola del Tesoro ed eleggendo il capitano Flint a dio pirata personale, degno di ogni venerazione. Se poi qualche dio sentirà il bisogno di manifestarsi presso mio figlio per far valere le sue ragioni, sarà libero di farlo. Basta che ci metta la faccia di persona: sono stanco di tutti questi dei che funzionano solo per sentito dire.

Il motivo concreto

Il terzo motivo varrebbe anche da solo, senza gli altri due: la mia amata arriva a condividere i miei sentimenti atei, ma non la mia passione pastafariana. Quindi ho carta bianca sull’ateismo, ma se solo provassi a spiegare ai mio figlio la Sugosa Via dello Spaghetto, vivrei nel terrore che li faccia battezzare di nascosto in chiesa alla prima occasione, giusto per farmi torto.

Di motivi ce ne sono abbastanza. In più ci vedo un ottimo punto di forza: quando un bambino cresce senza che la testa gli venga riempita di storielle religiose fatte passare per vere, maturerà una mentalità più scientifica e razionale. Sarà portato naturalmente a non credere a tutto quello che si dice, alle pseudoscienze, allo spiritismo, alle scie comiche, ai presidenti che si sono fatti da soli e alla lobby dei barbieri (grazie a Lega Nerd per la gustosa segnalazione, starò attento la prossima volta che mi faccio tagliare i capelli). Potrà vivere meglio, in pace con se stesso, senza che debba fare affidamento su interventi divini esterni ogni volta che ne ha bisogno, ma piuttosto contando consciamente sulle proprie capacità e sull’aiuto delle persone che lo circondano e che gli vogliono bene. Senza quell’angoscia generata da un dio onnipotente e guardone che non ha altro da fare che controllare ogni momento quello che pensa, dice o fa, per poi presentare poi il conto alla fine. Non ne avrà bisogno. Credo che nessuno ne abbia bisogno, serve solo il tempo di capirlo, e qualcuno deve pure iniziare.

 

Ma i preti credono in dio?

Forse non è la cosa più elegante parlare troppo spesso delle religioni altrui, ma non è certo colpa nostra: la religione altrui di cui si finisce sempre a discutere appassionatamente è terribilmente invasiva per la sua innata tendenza ad volersi occupare di faccende temporali che non la riguardano. Parlarne un poco va considerato come un tentativo di difesa.

 

E mentre tre amici timorati santificavano il venerdì sera con ingenti quantità di birra artigianale in una taverna del centro, emerge la fatidica domanda:

 

Ma i preti credono in dio

 

Intendendo ovviamente i preti cattolici. Quelli di cui l’Italia è piena, che girano impuniti e riveriti per le strade, che più salgono di grado più prendono la malsana tendenza di tenere comizi ed esprere opinioni personali fuori delle loro chiese e soprattutto su tutti i mezzi di informazione disponibili.

 


Perché i preti non dovrebbero credere in dio? Dicono a tutti che bisogna crederci, e che questo è il primo e fondamentale passo per la salvezza eterna dell’anima, una volta morti. Dovrebbero essere i primi a seguire questo semplice consiglio, e anche ringraziati che ce ne rendono partecipi. Che poi è la solita Scommessa di Pascal: è così semplice credere e costa così poco, che proprio non ha senso non farlo. A sentire loro, ovviamente.

 

Allora perché non dovrebbero crederci? Ma per una serie di piccole osservazioni che molti avranno già fatto. La più banale: basta essere persone di sufficiente istruzione e media cultura per porsi prima o poi una serie di domande sulla vita, l’universo e tutto quanto. Domande che contrastano con tutte quelle cose con cui ci hanno riempito la testa fin da bambini. Tipo che l’unica vera religione è sempre e solo la propria, mentre le altre sono false religioni che inneggiano a divinità inventate, o al massimo sono spiacevoli devianze dalla nostra causate dalla malafede e l’arroganza di individui del passato. Ma quando eravamo piccoli non ci hanno detto che se fossimo nati, che so, in Pakistan, il dio adorato in Italia sarebbe stato dipinto come un falso dio, mentre quello vero era un altro che a noi invece dicono che non va bene? E che quindi sono tanti i posti nel mondo, tra cui il nostro paese, in cui c’è un lavaggio sistematico del cervello messo in atto quando i destinatari non sono ancora in grado di difendersi a causa della tenera età? Non è questa una forma di disonestà che sfrutta l’innocenza dei bambini e la facilità con cui sono portati a prendere per vero tutto quello che gli si racconta? Se non fosse che i genitori che si comportano così, salvo rari casi di gravi traumi cerebrali, hanno subìto lo stesso trattamento quando erano piccoli, sarei portato a dire che è il modo più orribile di tradire la fiducia innata dei propri figli. Tutti i bambini nascono atei. Solo che spesso hanno la sfortuna di dover dipendere per i primi anni della loro vita da parenti più preoccupati di loro ipotetica vita futura che della loro salute mentale in quella presente.

 

Insomma, i preti sono del mestiere, e sono tutte persone che hanno studiato. Si renderanno sicuramente conto di queste cose, e se non ci sono arrivati da soli sono certo che qualcuno dei loro colleghi gli avrà accennato che il dio che predicano altro non è che una illusione di massa imposta dalle generazioni passate alle generazioni presenti in una fase della loro vita in cui la loro mente è particolarmente indifesa, il tutto con il tacito assenso di perpetuare quest’opera di indottrinamento forzato alle generazioni future.

 

Quindi l’unico motivo per cui la stragrande maggioranza dei cattolici è cattolica è che è nata da genitori cattolici in un paese cattolico. All’occhio di chi è cresciuto nel cattolicesimo può apparire irrispettoso e poco dignitoso il cornuto guerriero vichingo intento a violentare giovani vergini britanniche per onorare il dio del tuono, quanto un aruspice etrusco preso a sgozzare un bue in olocausto per leggere il futuro dal suo fegato caldo. Anche loro però potrebbero provare disgusto dall’abitudine del dio cristiano di prendere posto in tanti pezzettini di pane per farsi quindi divorare dai suoi fedeli ad ogni cerimonia religiosa. E se ancora vogliamo credere che un dio per essere tale debba esistere, allora per correttezza dovremmo pensare che esistano anche quelli degli altri. Vogliamo credere che ci siano tanti dei che combattono tra di loro ad un risiko della religione per ottenere più fedeli nelle proprie schiere? Forse è più facile pensare che in realtà un dio basti e avanzi, e che magari per motivi suoi si è manifestato in tanti modi differenti, dai più pittoreschi a base di terremoti, fulmini, statue piangenti e cespugli ardenti, a quelli più delicati come sogni particolarmente toccanti, macchie di muffa sulle pareti di casa o bruciature del pane tostato.

Una apparizione da tostapane del Flying Spaghetti Monster (a destra) e una di Gesù, il dio dei cristiani (a sinistra)

 

Io sono nato in Italia, il più classico dei contesti cattolici, per giunta onorato di essere l’unico stato confinante con la capitale religiosa del cattolicesimo: un privilegio ineguagliato. Ho frequentato ore su ore di religione e catechismo, più gli scout, pure cattolici, per una decina di anni. Sarei potuto diventare presidente del consiglio, ma invece sono arrivato un po’ alla volta a capire che le cose non dovevano andare così. Ho quindi intrapreso la normale trafila di abbandono totale di questa fede:

  1. critica alle gerarchie
  2. non frequentazione
  3. agnosticismo
  4. ateismo
  5. apostasia
  6. Pastafarianesimo

Per correttezza, devo dire che a parte le prime due fasi, i tempi della altre non sono così netti nel tempo, ma rimangono un po’ accavallati. Non è rilevante. Dicevo, ho ricevuto una forte educazione cattolica, ma nessuno strumento specifico per farla a pezzi. Ma ci sono arrivato lo stesso. Come me, ognuno per conto suo, la stragrande maggioranza dei miei amici. Tranne uno, molto devoto e a cui vogliamo molto bene, che anche se non glielo abbiamo mai chiesto prega costantemente per la salvezza delle nostre anime. Tutti i miei amici, lui compreso, abbiamo sostanzialmente ricevuto la stessa educazione scolastica, sociale e religiosa. Se penso ai preti, non vedo come delle persone che ancora più di noi hanno ricevuto una istruzione classica e specifica non possano aver messo in dubbio tutto il baraccone della loro fede.

 

Ma qui mi viene un dubbio: che istruzione specifica ricevono le gerarchie della chiesa? Hanno ricevuto un’istruzione appena sufficiente a dettare il dogma alle placide schiere dei loro fedeli creduloni, o invece si è andati più sul critico e profondo? Perché se così è, non posso accettare che una persona che ha affrontato la teologia in modo razionale possa credere nella pura ed esclusiva esistenza del proprio dio a scapito degli altri pari livello, o negare il funzionamento per pura eredità culturale della religione. E non mi vengano a dire che in fondo in fondo si crede negli insegnamenti del nuovo testamento, perché è ormai dimostrato da infinite circostanze che l’essere umano ha un senso etico innato che gli permette da solo di distinguere cosa è giusto o sbagliato, e che la religione non solo non lo migliora, ma anzi lo annebbia con sciocchezze senza senso che lo hanno portato a compiere in buona fede i più grandi orrori della storia dell’umanità.

 

Quindi o i preti sono solo dei poveri ignoranti a cui è stato fatto un ulteriore lavaggio del cervello da adulti dopo quello dell’infanzia, e si limitano a ripetere ad ogni messa lezioni su lezioni di vuote chiacchiere sospese tra una morale spiccia e la filosofia, oppure c’è sotto qualcos’altro, che io chiamo malafede. Magari da giovani si inizia a frequentare il seminario anche con un certo entusiasmo. Dopo qualche studio più approfondito ci si accorge che quel dio specifico in cui si credeva con tanto ingenuo ardore negli anni della spensierata fanciullezza si sgretola progressivamente, lasciando qualcosa come un forse-dio in coesistenza con tutti gli altri forse-dei che l’umanità ha creato nel corso della sua esistenza. La pigrizia tipicamente umana però mette l’uomo-prete di fronte ad un bivio: rinunciare a tutto e rifarsi da capo una vita da laico e miscredente, o chiudere un occhio sui propri princìpi morali e tenersi il lavoro sicuro nella chiesa, con tanto di agevolazioni fiscali, privilegi, protezione dalla legge e tutto il resto? Credo che pochi cambino strada seguendo la propria onestà morale. E’ molto più facile far finta di niente ed andare avanti: si è in buona compagnia, non sarà difficile.

Calcio e chiesa, divinità a confronto

Forse non ci si rende conto, ma in Italia non solo alla religione cattolica viene data un po’ troppa importanza. Accade lo stesso per il Calcio. E se con la prima l’italiano medio apprezza o tollera l’invasività nei media nazionali, per il secondo invece ne richiede costantemente quante più informazioni possibili. Se un alieno si mettesse in orbita geostazionaria sopra il Bel Paese munito di pesce babele per captare i segnali radio e televisivi pubblici italiani, si stupirebbe scoprendo questo: sulle 24 ore della giornata dei 5 giorni feriali, impiego del tempo nell'informazione pubblica italianacirca il 2% del tempo viene trascorso a parlare di Calcio e di religione cattolica. A cui però va aggiunto un 12% di tempo speso a parlare di cose che sono in qualche modo riconducibili al Calcio e alla religione cattolica, come le relazioni amorose dei più mondani esponenti del mondo del calcio, o le scelte di vestiario dei ministri del culto cattolico più à la page. A queste due voci va aggiunto ancora un 28% del tempo in cui vengono fatti parlare esponenti del mondo del Calcio e della religione cattolica di cose che non gli competono minimamente. E fin qui stiamo parlando solo dei giorni feriali. Ma se prendiamo la domenica, ovvero il giorno tradizionalmente dedicato al dio dei cristiani e al dio del pallone, la percentuale totale sale drammaticamente all’88%. Questo perché in questo giorno avvengono tipicamente due grossi eventi che monopolizzano l’attenzione dei media statali tra mattina e pomeriggio.

 

La mattina è la parte propria della chiesa cattolica. È previsto che il capo supremo del vaticano comunichi alla piazza e all’intero mondo cattolico alcune sue opinioni riguardo a qualcosa. Questo evento mediatico dura di per sé pochi minuti, ma per antica tradizione i servizi dell’informazione pubblica italiana gli dedicano grande spazio con molti eventi di contorno.

Papa lancia monitor Da principio viene trasmessa alla radio e alla televisione la celebrazione di un rito religioso completo, in genere dalla parrocchia di un fortunato parroco di provincia ma non troppo, che finisce così agli onori della diretta nazionale. Le prime file di banchi sono riservate ad eminenti autorità laiche locali che danno mostra di sé e delle loro famiglie, intenti nello sforzo di far sembrare che se sono lì non è per la diretta nazionale o per le imminenti elezioni, quanto per una antica tradizione di famiglia. Dopo la cerimonia, i media cambiano contesto, e danno la parola ad alti prelati del mondo cattolico che commentano fatti di attualità mantenendo un distacco e un punto di vista straordinariamente fuori dal mondo. Tali fatti vengono decisi tra quelli che non riguardano mai scandali vergognosi o assurdi anacronismi della chiesa cattolica. Alcuni giornalisti ossequiosi e baciapile accompagnano la personalità cattolica con garbate domande concordate. Quando alla fine arriva il momento dell’annuncio sommo pontefice, i riverenti giornalisti ascoltano in silenzio l’evento con l’ansia e la trepidazione degne di uno sbarco umano su Marte. Solo alla fine sono autorizzati a respirare e a commentare a bruciapelo il brillante monologo del santo incarnato. Questo evento si verifica con puntualità da anni, ma non manca mai di stupire giornalisti e folla. I commenti sono sempre entusiastici. Mentre la folla non può far altro che sbracciarsi e strepitare mostrando bandiere o cartelli rispettosi approvati dalle forze dell’ordine, i giornalisti si sperticano in esuberanti apprezzamenti, con lo scopo di delineare al meglio le virtù morali e spirituali dell’oratore. Può accadere insomma che questo possa essere elogiato ad esempio per un paio di calzature sobrie, ma mai che venga criticato per il contrario, perché in tal caso si cercherà di trovare altri pregi.

 

Nel pomeriggio finalmente ha luogo la gran parte degli incontri sportivi del Calcio, e i giornalisti religiosi lasciano il campo a quelli sportivi. Alcuni di questi, figli della vecchia scuola, si prodigano sulle radio pubbliche a comunicare sensazioni visive a quegli sciagurati che ancora si ostinano a non volere la tv a pagamento. Per chi invece è abbonato invece c’è un esercito di giornalisti tv a commentare gli eventi che accadono sui diversi campi di gioco. La regola principale è una sola: urla quanto più forte possibile per il piacere delle orecchie dei telespettatori. Un giornalista sportivo contrariato per aver sbagliato lo stadioCosa incredibile, tali spettatori assistono loro stessi alle immagini commentate e quindi sarebbero in grado di commentarsele da soli. E se la presenza del commentatore può apparire come un piccolo mistero, la trama si infittisce ancora di più quando ci si accorge che se una volta, anni fa, il commentatore lavorava da solo, oramai questo è normalmente affiancato da altri due oscuri figuri. Uno di questi, detto opinionista, fa più o meno da spalla, con il compito di contraddire o di ripetere a pappagallo tutto quello che ha appena detto il commentatore principale. In genere viene selezionato tra gli allenatori falliti o gli ex calciatori più illetterati ancora in vita, e per loro già mettere insieme una frase di senso compiuto pure con parole usate dal collega è fonte di grande stress e fatica. Sono convinto che il vero scopo di tale individuo sia quello di far sentire più intelligenti per confronto tutti i telespettatori da casa. Il terzo personaggio è il misterioso inviato da bordo campo. È un giornalista che in attesa di diventare commentatore principale viene esiliato a tempo indeterminato all’ingrato compito di vedersi le partite, appunto da bordo campo. A differenza dell’opinionista che ha il dovere di intervenire sempre a sproposito, l’inviato da bordo campo in genere viene interpellato a chiamata. Ovvero, ogni tanto il commentatore si ricorda di avere questa possibilità e allora fa una domanda al disgraziato, da cui ci si aspetta una risposta pronta. Se possibile in suo tono deve essere quello di una persona che per sapere certe cose sta rischiando la vita in una guerra di trincea. In conclusione, l’inviato è quello che con sprezzo del pericolo recupera sul campo quel tipo di informazioni che il commentatore non può procurarsi di prima persona, ma che sono di vitale importanza per il pubblico da casa. Cose come le espressioni del volto dei due allenatori, gli scambi di facezie e di complimenti tra le panchine ed i giocatori in campo o quali giocatori si sono svestiti per fare il riscaldamento. Sta poi ai due commentatori trarre brillanti deduzioni in virtù dei dati raccolti.

 

Una delle cose che stupisce quando si ascoltano i commenti di una partita di Calcio sia alla radio che alla televisione è che la lingue usata non è italiano comune. Per certi versi può essere paragonato ad una specie di italiano tecnico, in cui c’è una sorta di piccola ricerca dell’aulico, come a voler fare bella figura. Stiamo parlando ovviamente del commentatore e dell’inviato; per l’opinionista vale la regola che la parole italiane intere non devono superare mai per numero la somma delle parole troncate a metà, di quelle dialettali e delle esclamazioni. Oltre alla ricerca dei due giornalisti di un linguaggio un po’ ricercato, viene d’obbligo un uso distorto sistematico di alcune parole. Tra queste il termine scarpini, che se nell’italiano comune potrebbe indicare le scarpe di un bambino di sei anni o quelle di una ballerina di danza classica, qui invece indica le comuni scarpe con i tacchetti dei calciatori. Che per quanto piccole che siano, voglio sperare che non scendano di molto sotto il numero 42. Vengono chiamati scarpini anche le scarpe di certi colossali giocatori nordici, le quali per dimensioni sarebbero più da considerare come valigie. Le calze, per contrapposizione, vengono chiamate calzettoni. Essendo che spesso arrivano appena sotto il ginocchio, possiamo prendere per buono questo termine. Oltre a queste ed altre sostituzioni di sostantivi, vige una regola aurea nelle telecronache di Calcio, quella per cui l’unico avverbio consentito è letteralmente. Ogni volta che uno dei cronisti sente il bisogno di usare un avverbio, tale avverbio deve essere sostituito con questo, dando luogo ad effetti di grande ilarità. L’avverbio quindi non mantiene più il significato originale di alla lettera, ovvero non metaforicamente, ma assume il ruolo di generico rafforzativo. Quelle che ne escono sono frasi divertentissime, roba da pisciarsi letteralmente addosso dal ridere, tipo:

 

  • L’arbitro è letteralmente impazzito (partita sospesa in attesa dello psichiatra?)
  • Un dribbling letteralmente ubriacante (preparate il resuscitamorti!)
  • Il terzino gli sta letteralmente incollato addosso (sporcaccione!)
  • Il portiere per parare questo tiro è letteralmente salito in cielo (Ironman?)
  • Per la gioia del gol, lo stadio è letteralmente esploso (30.000 morti. Unico sopravvissuto alla catastrofe: un giornalista sportivo con scarsa padronanza dell’italiano)

 

E questo è, alla fine, lo spettacolo offerto dai media nazionali e privati nella domenica pomeriggio italiana a base di Calcio. In base a quanto detto, sembra quasi che l’assistere ai più formali rituali cattolici nella mattina sia un modo per ingraziarsi la divinità ultraterrena, di modo che la stessa possa poi favorire la propria squadra del cuore nel pomeriggio. Tra questi due periodi avviene la metamorfosi dell’italiano medio, che da tranquillo e devoto frequentatore di banchi di chiesa e consumatore di particole benedette diventa un isterico contestatore da divano di decisioni arbitrali e tracannatore di forti dosi di alcolici a bassa gradazione. Tempio divino del secondo evento diventa il salotto di casa, in cui l’oggetto della venerazione non è più la sede dei lari degli antenati, ma un più moderno televisore ultrapiatto a megadefinizione, da cui è possibile osservare contemporaneamente i diversi luoghi di culto in cui avvengono gli incontri, mentre i giornalisti/sacerdoti fanno da tramite tra i praticanti ed il divino interpretando al meglio il veloce svolgersi degli eventi.

 

bar sport BenniI tifosi più devoti possono anche spostare la celebrazione in un luogo di culto intermedio, in genere chiamato Bar Sport. In tal modo viene liberato il salotto ad altri membri della famiglia non adepti al Calcio, spesso di genere femminile, e pure spesso infastiditi dalle crisi mistiche dei primi durante tali celebrazioni. Nel Bar Sport c’è tutto l’occorrente per onorare al meglio la divinità del Calcio: grandi teleschermi o proiettori disseminati in ogni stanza, più quantità di alcol e cibi fritti sostanzialmente illimitate servite da personale qualificato ed accondiscendente. Qui si assiste a circa due ore di celebrazione ininterrotta in cui i devoti presenti invocano le proprie divinità dentro e fuori del campo perché facciano del loro meglio per vincere la partita. Il sistema per appellarsi è quello di urlare quanto più forte possibile le proprie invocazioni, non necessariamente sensate o originali. Per esempio, urlare Gol! dopo un gol può apparire come inutilmente ridondante, e allo stesso modo negare l’evidenza clamorosa di un rigore regalato alla propria squadra è un atto che normalmente distruggerebbe quel poco di dignità di cui il fedele tifoso ancora gode, ma che in questo contesto è considerato la assoluta normalità, se non addirittura cosa necessaria a stimolare accesi e stimolanti dibattiti tra sordi durante e dopo l’evento.

 

I motivi per cui nel Bar Sport sia necessario urlare più forte possibile sono tanti. Lo scopo principale è quello di sovrastare le invocazioni dei presenti che sono devoti alle divinità rivali in campo. Un secondo aspetto è quello di cercare di superare la voce del sacerdote/giornalista che sbraita a più non posso anche per il più marginale degli episodi sul campo come se questo fosse determinante per il risultato. Da questi due motivi, delle persone normali giungerebbero presto ad un accordo molto semplice: abbassare o anche togliere del tutto il volume al televisore, e accordarsi per parlare sommessamente e solo quando è strettamente necessario, esattamente come già accade normalmente durante le celebrazioni mattutine.

 

Ma in realtà ci sono altri motivi. Il primo, ovvio, e che il bar è frequentato anche dagli accaniti giocatori di briscola, per cui si sa che urlare e bestemmiare a gran voce fa parte del gioco. L’altro motivo è più sottile: urlare più forte possibile può essere un retaggio antico dettato dalla volontà di raggiungere con la voce i giocatori in campo. E’ strano dirlo, perché in genere le partite si svolgono anche a centinaia di chilometri di distanza, ma ricordiamo che in tempi remoti, prima dell’invenzione della TV a pagamento, c’era l’usanza ormai deprecabile e pericolosa di recarsi ad assistere alla celebrazione direttamente allo Stadio, ovvero il luogo in cui si svolge nella realtà la partita di calcio, e dove le folle dei tifosi accorrevano in massa per urlare a più non posso la propria fede per una squadra o per l’altra. Al giorno d’oggi non ha più senso andare allo stadio, per vari motivi. tipica scena da Stadio di invernoPer esempio l’assenza della moviola, che costringe gli spettatori ad una attenzione costante abbastanza frustrante e a scarso ed approssimativo materiale di dibattito in caso di diverbio. Poi il dover volgere da soli lo sguardo a destra e a sinistra alla ricerca del pallone può essere faticoso, non disponendo di un registra professionista con decine di diverse inquadrature a decidere per noi le inquadrature migliori. Per non parlare poi dell’inclemenza del tempo, caldo d’estate, freddo d’inverno, pioggia nelle mezze stagioni: Andare allo Stadio è un affronto alla propria salute, e si rischia solamemente di far collezione di malanni stagionali. Come se tutto questo non bastasse, bisogna parlare anche dei recenti sistemi di prevenzione e sicurezza negli stadi, che hanno risolto la piaga della violenza scoraggiando definitivamente il tifoso normale ad andarci, lasciando così piede libero ai delinquenti. Questi vi si recano costantemente eludendo sistematicamente le misure di sicurezza, introducendo nel luogo dell’evento armi bianche, da fuoco ed esplosivi. Lo scopo di tali bande non è infatti quello di assistere alla partita, quanto di usare i loro armamenti sui delinquenti delle bande rivali in visita, ma anche con tifosi della stessa squadra con cui non ci si sente in totale sintonia. A cercare di impedire tutto ciò un esercito di membri delle forze dell’ordine di pessimo umore e pagati con soldi pubblici. Infine, l’ultimo gruppo di partecipanti all’evento è ovviamente quello dei giornalisti/sacerdoti: protetti da bunker di vetro infrangibile, commentano gli eventi sportivi sul campo e di guerriglia sugli spalti per il piacere del pubblico al sicuro a casa e nei bar.

 

Questa è la descrizione del tipico pomeriggio domenicale italiano. Breve nella sua durata di circa un paio d’ore, ma intenso al punto che i media nazionali si sentono in dovere di parlarne ancora per giorniitaliano, birra e partita, mostrando un costante deterioramento della qualità dei servizi. Dalla telecronaca in tempo reale, che richiede una certa capacità di parola e di osservazione, si passa al commenti di fine partita e alle interviste dagli spogliatoi. E’ il momento in cui si ascoltano le acute considerazioni dei giocatori che si sono distinti nel bene o nel male. Le domande sono sempre eccezionali e di grande profondità:

  • Come ci si sente ad aver perso il derby per 4 a 0?
  • Sei felice di aver segnato questo gol importante? A chi vuoi dedicarlo?
  • Cosa intendevi con quel gesto del braccio rivolto all’allenatore dopo la tua sostituzione?
  • Ora che la tua stagione è finita per colpa di un calcio volante sul menisco da parte dell’avversario e che sei stato espulso per turpiloquio nei confronti dell’arbitro, cosa ti senti di dire a freddo al tuo avversario? Te la senti di perdonarlo pubblicamente?

Di fronte a queste domande, anche il più abbruttito dei calciatori ha un moto di orgoglio, e tenta l’impervia strada dell’italiano aulico, anche se parlato secondo le regole sintattiche e l’accento del paese d’origine. Il buonismo la fa da padrone: non esiste offesa che non possa essere sanata durante un’intervista, anche se fino a pochi minuti prima ci si era minacciati di morte a gesti e parole per un nonnulla. Queste commoventi interviste sono significative non tanto per i contenuti, quanto per monitorare il degrado nell’uso della lingua nazionale da parte dei giocatori italiani rispetto a colleghi stranieri, che magari giocano nel nostro campionato da pochi anni, ma già sanno distinguere un condizionale da un congiuntivo.

 

Dopo le interviste arrivano alcune trasmissioni necessarie a creare un primo sottofondo di conoscenza per i telespettatori: risultati, classifica, gol, fatti salienti, quote di vincita per gli scommettitori e prossimo turno. Di ogni partita viene fatto un riassunto di pochi minuti da parte del giornalista che l’ha seguita dallo stadio accompagnato da filmati, con le uniche accortezze di omettere volutamente tutti i torti subiti dalla squadretta a favore dello squadrone di alta classifica, e di citare nomi e cognomi dei montatori del filmato come se fossero candidati a David di Donatello. Alcuni dicono che questo filmato potrebbe essere più che sufficiente, ma invece non è che l’aperitivo a tutto il carrozzone di trasmissioni più ruspanti imperniate esclusivamente sull’analisi delle malefatte di arbitri e guardalinee. Qui le decisioni che questi hanno preso durante la partita vengono esaminate una per una attraverso l’analisi alla moviola, per vedere quanti errori hanno fatto e di che entità, e alla fine deliberare il grado di colpevolezza. A condurre gli esami, una mandria di raffinati giornalisti lampadati accompagnati da ospiti fissi e occasionali, tutti uniti da un vivace gusto per la polemica sterile. Per far capire subito il livello di obiettività dei presenti, questi vengono schierati in base alla squadra per cui simpatizzano o che detestano, e quindi invitati ad urlare agli altri le proprie opinioni. Dopo queste trasmissioni, il telespettatore in genere ha già abbastanza informazioni per inalberare delle gustose discussioni il giorno dopo al lavoro o al bar. Ma non è ancora sufficiente. Per una cultura completa occorre guardare anche le trasmissioni del giorno dopo, dove persone ancora più incompetenti discutono delle discussioni avvenute nelle trasmissioni del giorno prima, forti dell’assenza di contraddittorio col passato. Il tutto ha fine solo quando si pensa che sia il caso di dedicarsi agli eventi successivi.

 

Forse che il rapporto tra il tempo in cui si può assistere ad una partita in diretta e quello in cui si può solo ascoltare esperti che ne parlano è troppo piccolo, allora per la gioia di tutti i tifosi si è deciso di arricchire la settimana dell’informazione sparpagliando più possibile gli eventi calcistici. E’ nato così il posticipo, l’anticipo, l’anticipo del posticipo e il posticipo dell’anticipo. I posticipi e gli anticipi, quando più di uno, sono stati distribuiti su più orari non sovrapposti, lasciando anche il tempo al telespettatore di liberare la vescica o di recuperare nuovi liquidi da ingerire dal frigorifero o al bancone del bar. Poi intere categorie di partite sono state spostate sul sabato, per permettere al buon tifoso di raddoppiare il numero delle celebrazioni, assistendo di sabato alla partita della squadra locale e di domenica a quella della squadra nazionale.

 

La settimana però sarebbe lunga senza i gustosi intermezzi delle coppe, ovvero dei tornei nazionali di poco conto e internazionali di grande conto. I primi sono eventi trascurabili creati per far giocare le numerose riserve delle squadre più forti, frustrate perché non giocano mai, contro i titolari delle squadre più scarse, frustrati perché non vincono mai. Le coppe internazionali invece sono seguitissime al punto che è giudicata buona cosa anche assistere a partite di squadre sconosciute solo per il fatto, adue di copped esempio, che la partita è di coppa dei campioni. L’importanza della coppa internazionale giustifica anche questo, ovvero guardare una partita in cui non c’è nessun coinvolgimento emotivo. Come se il fedele di una religione decidesse nel tempo libero di intrufolarsi nel tempio di qualcun altro per partecipare ad un culto. Così, giusto per passare il tempo, o magari per studiare meglio gli avversari.

 

Le coppe si giocano nei giorni in mezzo alla settimana. Così, se tra partite normali, anticipi e posticipi riusciamo a coprire la domenica e i due giorni intorno, grazie alle coppe possiamo arrivare alla quasi totale copertura del palinsesto dell’informazione. Insomma, un buon tifoso è in grado di passare le sue serate ininterrottamente di fronte alla televisione nutrendosi di puro Calcio, minimizzando il rischio di imbattersi in una serata senza trasmissioni sul pallone. Costringendolo magari (non sia mai!) a guardare una noiosa trasmissione culturale o, peggio ancora, a spegnere il televisore/totem ed uscire di casa con gli amici rimasti. La specie del homo tifosus ha tutta l’aria quindi di essere ben protetta nel suo habitat e di non non correre il rischio di estinzione a breve termine. Sempre che i suoi appartenenti trovino ancora il tempo di compiacere sessualmente le proprie partner, che di fronte all’eccessiva devozione dei loro compagni nei confronti del Dio Calcio si rischia che mostrino segni di acuta insofferenza, ed inizino a rivolgersi ad altri uomini meno devoti per la soddisfazione dei propri bisogni.

 

Ma come appare il panorama dell’informazione nazionale a chi, per suoi strani motivi, non dovesse riconoscersi in nessuna fede calcistica, o semplicemente non dovesse nutrire il minimo interesse nel Calcio? Probabilmente ci sarà anche abituato. Ma è presto detto: neanche a dirlo è il mio caso. Ed il mio primo pensiero è proprio il primo che faccio ogni mattina, ascoltando il giornale radio:

perché deve essere così importante che mi venga detto ad ogni radiogiornale l’orario delle prossime partite, insieme alle probabili formazioni, alle aspettative di allenatori, presidenti e giocatori, ai pronostici fiduciosi di tifosi presi a caso dalla strada con tanto di risultato e probabili marcatori, o ai motivi di salute, disciplinari o fiscali che impediranno ad alcuni campioni di parteciparvi?

Segue il secondo pensiero del giorno:

Perché nei giorni a seguire dovrò sentire le interpretazioni della partita giocata fatte dalle stesse persone dei giorni prima, basate però questa volta su fatti oggettivi, sui motivi lampanti che ha portato a tale risultato, e di come magari l’allenatore avrebbe potuto impedire una sconfitta se solo non fosse stato così ottuso, ma avesse ascoltato le considerazioni fatte in seguito dai giornalisti commentatori?

Quindi una ovvia considerazione:

Perché tutta questa mole di informazione pubblica di settore non viene presa e confinata in appositi spazi ben delimitati (Radio Calcio 1, 2 e 3 e Tele Calcio 1, 2 e 3, ad esempio) lasciando liberi i sensi dei non interessati?

Questo perché inizio seriamente a pensare che se esiste un piano per forzarci a credere che sia normale riempirsi la testa di quante più informazioni di calcio possibile, tale piano potrebbe essere orchestrato dalle stesse persone che vogliono farci credere che sia una cosa buona e giusta andare a messa tutte le domeniche per sentire le stesse letture vecchie di duemila anni, condite dalle stesse prediche ancora più vecchie.

 

Questo perché il Calcio va onorato e abbracciato in toto: non è ammessa una conoscenza parziale o lacunosa. Per arrivare a questo risultato, occorre rinunciare ad ogni altra forma di istruzione, cultura o passatempi alternativi. la roseaOltre ad usare il televisore/totem di casa come fonte primaria di informazione, ogni giorno va studiato uno di quei giornali che, incredibile a dirsi, da decenni riescono a scrivere pagine su pagine parlando solo che di Calcio, e questo anche d’estate quando per un paio di mesi non c’è nessuna partita. Le rinunce sono tante, ma si può arrivare al punto di poter sostenere conversazioni di Calcio con gli amici tifosi di squadre avversarie di lunghezza sostanzialmente infinita. Perché caratteristica fondamentale del Calcio è la soggettività più spudorata di fronte all’oggettività dei fatti: per lo stesso motivo per cui un ateo e un credente difficilmente potranno convincere l’altro delle proprie ragioni al punto da fare abbandonare o abbracciare all’altro la religione, così anche due tifosi di opposte fazioni adeguatamente preparati potrebbero litigare all’infinito senza arrivare a conciliarsi sul fatto che un gol fosse regolare o no, o convincere l’altro della convenienza a passare alla propria squadra.

 

Un’altra cosa che sorprende noi estranei a questo mondo è quando ci si possa perdere in fatti con poco valore oggettivo in sé, tipo

la squadra numero uno ha battuto la squadra numero due per alcuni gol rispetto a meno gol, e ora si aspetta l’esito del confronto tra la squadra numero tre e la squadra numero quattro per conoscere la nuova classifica”

quando questi fatti ne venga in tasca ben poco. Ovvero, al tifoso della squadra numero uno non viene riconosciuto nessun credito per la vittoria, che non verrà quindi esborsato dal tifoso della squadra numero due. A meno che questi non siano scommettitori, ed in tal caso bisognerebbe ricordare loro che anche se un giorno gli è andata bene, le scommesse sono una grande fonte di guadagno per organizzazioni come lo stato e la malavita, e che quindi giocare la schedina a lungo andare non è altro che un’autoimposizione di una tassa sulla propria stupidità. Da ciò, ne risulta che l’unico vantaggio che deriva dal tifare per la squadra numero uno potrebbe essere quello di poter sfottere i tifosi della squadra numero due per la vittoria non tanto loro, ma perlomeno della loro squadra. Il costo di questo è si verrà ovviamente sfottuti in caso di sconfitta. Se poi consideriamo che una sola squadra vince ogni competizione, ne segue che pochi sono i tifosi che festeggiano veramente, e molti sono quelli infelici che sperano in un futuro migliore, o che si gloriano di vittorie avvenute in un remoto passato, o peggio ancora che da vent’anni sperano invano che il presidente della loro società si decida a venderla per tornare ad occuparsi delle sue tavolette da cesso.

 

Tanto vale quindi abiurare pubblicamente il calcio. Se la vostra apostasia verrà riconosciuta ufficialmente da amici e colleghi, è possibile che verrà anche rispettata. Anche se verrete giudicati come dei deboli, degli ignavi o dei perdenti senza midollo spinale che rifuggono vigliaccamente cose da veri uomini come parlare delle gesta compiute da altri. Ma magicamente recupererete quel po’ di ore giornaliere ed un intero fine settimana da dedicare a voi stessi e alla vostra famiglia con attività come il giardinaggio, la lettura, la cucina, la produzione domestica di bevande alcoliche, la soddisfazione del proprio o della propria partner, la conseguente cura della prole, il turismo, la scrittura di articoli in un blog pastafariano, o addirittura lo sport. Tornando agli amici, facilmente dovrete cambiarli e trovare un nuovo locale in cui uscire, ma vi sorprenderete di quanta gente c’è a cui del Calcio proprio non gliene può fregare di meno, e con cui si può ritrovarsi in un pub senza maxischermi a chiacchierare di una miriade di argomenti possibili tra i più disparati ed interessanti. Giusto per citarne alcuni, si può parlare di sport minori, cinema, musica, politica, cucina, birre che si sta bevendo in quel momento, birre che si era bevuto la volta prima, birre preferite, birre che non ci sono più in quel locale, locali in cui si possono trovare le birre che non ci sono più in quel locale, locali in cui è meglio non andare a bere una birra se ci si vuole un po’ di bene, locali in cui non si è mai andati ma di cui si è sentito parlare bene, birrifici, visite a birrifici da organizzare, visite a birrifici organizzate in passato, vacanze, lavoro, hobby, serate, concerti, raduni, amici comuni assenti, cameriere del locale in cui si sta bevendo una birra, cameriere degli altri locali, classifica delle cameriere in base al locale, classifica dei locali in base alle cameriere, libri, fumetti, religione, filmati divertenti visti su Internet che a raccontarli non rendono bene ma per cui vale la pena provarci lo stesso, lamentele sul fatto che il Wifi del locale non vada e che quindi non si possa vedere dei filmati divertenti su Internet usando uno smartphone con uno schermo forse anche un po’ piccolo, considerazioni riguardo all’acquisto di un nuovo smartphone più performante, etica, epica, senso della vita, dell’universo e di tutto quanto, pirati famosi, scienza e cultura generale, donne, uomini, donne a cui piacciono gli uomini, donne a cui piacciono le donne, luoghi comuni su uomini e donne, considerazioni misogine sulle donne, considerazioni omofobiche sugli omosessuali, rettifiche sulle considerazioni misogine sulle donne e omofobiche sugli omosessuali, posizione della chiesa cattolica riguardo agli omosessuali, posizione della chiesa cattolica riguardo ai preti pedofili, posizione dei cattolici riguardo alla posizione della chiesa cattolica riguardo ai preti pedofili, considerazioni su come cambierebbe l’opinione di un cattolico riguardo alla posizione della chiesa cattolica riguardo ai preti pedofili se il prete pedofilo di turno avesse sodomizzato il suo di bambino e non quello di qualcun’altro, considerazioni su quante volte si è fatta questa discussione e su quanto ci si diverta a farla ogni volta di più, valutazioni se sia il caso o meno di pagare il conto e di rientrare nei ranghi delle proprie famiglie. L’elenco potrebbe proseguire ancora per molto, ma questi sono gli argomenti a titolo di esempio che vengono toccati più o meno approfonditamente in una normale serata al pub, o almeno in quelle mie con i miei amici.

 

La conclusione è comunque una sola e lampante: sembra incredibile, ma una volta rinunciato al calcio, si crea un enorme spazio temporale di gran lunga maggiore a quello conseguente all’abiura dalla fede cattolica. E che tale spazio può essere riempito in tantissimi modi, oltre a fornire un terreno sociale in cui si può discutere veramente di tutto. E forse col tempo, dopo che avremo abolito il concordato con la chiesa cattolica rendendo il cattolicesimo una religione senza privilegi, arriveremo anche modo di confinare il Calcio in dimensioni più adeguate. Tipo quelle di un qualsiasi altro sport. Un giorno in futuro si potrà tenere accesa la radio nazionale di domenica dalla mattina alla sera, e gli unici riferimenti al Calcio e alla chiesa cattolica saranno i due minuti dedicati ad elencare i risultati delle partite ed una notizia curiosa in coda al giornale radio, in cui si dà spazio all’appello curioso di una coppia di fidanzati cattolici alla ricerca di un prete ancora in vita per celebrare il loro matrimonio, purché tale matrimonio non debba celebrarsi in un carcere a causa di precedenti reati di pedofilia del sacerdote.

 

San Diego

Considerazioni su stato e chiesa di un umile pirata

Come tutti ben sanno, la filibusta è stata la prima forma recente di democrazia della storia moderna, oltre che l’unica democrazia mai esistita fondata sull’acqua. Ed il dettaglio dell’acqua non è da trascurare, in quanto la esenta dal limite fisico e politico dei confini territoriali, che è dimostrato come alla lunga provochino effetti collaterali indesiderati come il patriottismo, la demagogia, i pellegrinaggi e le crociate religiose.

 

Se poi consideriamo che presso gli antichi greci vinceva le elezioni la coalizione che riusciva a buttare più pezzi di vaso in un buco, favorendo inevitabilmente i produttori di vasellame di cattiva qualità e gli scaricatori di porto, si può dire che il popolo dei pirati sia la prima vera democrazia mai esistita per il genere umano. E’ noto anche come l’attuale sistema di voto per alzata di mano derivi proprio dall’antico uso di votazione delle assemblee piratesche. Deriva dal fatto che ogni pirata è risaputo essere provvisto sempre di almeno una mano, un occhio ed una gamba, ma che tra i tre quello più facile da alzare sia in ogni caso il primo, soprattutto per chi di gamba ne ha una sola.

 

    

Una confusionaria conta dei voti presso una polis greca e, a lato, una democratica votazione su come condire la pasta in un moderno veliero pirata

 

Perché dico tutto questo? Perché ci sono dei momenti in cui alcuni poteri temporali e spirituali danno segnali equivoci, e quindi anche se sono un semplice membro di una associazione religiosa, volevo fare alcune considerazioni del momento. 

 


Tutto la confusione inizia quando il capo spirituale di una religione non pastafariana ma soprattutto assolutamente non democratica si dimette. Questo è perlomeno strano, visto che ad eleggerlo è stato nientemeno che il loro dio in persona, anche se per mano dei suoi rappresentanti terreni. E quando un dio sbaglia, poi sono sempre problemi. E poi c’è anche quella cosa che quel tipo di incarico, forse proprio considerando che gli dei non sbagliano mai, è uno dei pochi a vita, nonostante sia un ruolo decisamente di potere, e come tale andrebbe normalmente limitato con regole di nomine a tempo e di non rieleggibilità. Insomma, la manifestazione di un dio in terra si è stufata di essere tale, ma nel giro di poco lo stesso dio ha provveduto a trovare un sostituto più volenteroso e motivato, anche se non molto più giovane. E questa elezione è avvenuta sempre per mano dello stesso organo elettivo che aveva eletto quello prima, non si sa se sbagliando o meno.

 

Tutto il clamore di queste dimissioni ed elezioni ha distratto un popolo intero, quello italiano, che per ragioni geografiche e religiose è molto vicino alle questioni di cui ho appena parlato. E’ successo che per l’ennesima volta l’attuale anziano capo dello stato ha chiesto gentilmente che venisse messa a posto una legge elettorale giudicata inefficiente e suina dal suo stesso creatore, e che in più di un’occasione aveva già dato prova di grande pericolosità (la legge, non il creatore), andando a generare alcuni dei governi più comicamente drammatici della storia del paese. Nonostante questo, gli illuminati membri delle numerose camere parlamentari italiane non riescono incredibilmente a trovare un accordo sull’unica cosa per cui vanno d’accordo, ovvero cambiare questa legge che non piace a nessuno.

 

Un’immagine della recente corsa alle elezioni italiane

 

E alla fine comanda ancora lei, la legge, perché si arriva alle nuove elezioni, e per l’ennesima volta va messa in pratica. E questa volta la legge si supera davvero, perché in virtù proprio delle numerose camere parlamentari di cui unico al mondo gode lo stato italiano, la legge riesce a creare maggioranze diverse in ogni camera, gettando nello sconforto la gran parte degli italiani elettori, la minima parte degli italiani eletti che è in grado di rendersi conto della gravità della situazione, ma soprattutto lui, il capo dello stato. Ironia della sorte: tale onesto individuo è l’unico delle centinaia di politici coinvolti che voleva andarsene fuori dalle scatole quanto prima, e che probabilmente aveva avuto pure l’ardire di sperare che gli ultimi due mesi del suo mandato sarebbero stati relativamente tranquilli, soprattutto nel rispetto della sua veneranda età di ottantasette anni.

 

Ma così non è. Passano i giorni, ma gli eletti non riescono a mettersi d’accordo sul modo migliore per fare il bene del paese, e questo giorno dopo giorno, per un paio di mesi. Niente male davvero. E si arriva inesorabilmente al punto in cui l’unica persona che non voleva essere eletta, dimostrando per questo di essere anche l’unica persona sana di mente in tutto il sistema, viene drammaticamente rieletta, prima volta nella storia d’Italia ed ovviamente con una delle percentuali più alte della sua storia, e con grande reciproco compiacimento degli illuminati elettori. Inutile dire il rancore del neo rieletto, che magari da ottantasettenne avrebbe anche sperato di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in attività meno stressanti che non a correre dietro a centinaia di strapagati deficienti.

 

L’opinione di google riguardo alla politica italiana. Da notare bene le posizioni 6 e 8 della lista

 

Il giorno dopo dell’elezione è buona prassi che l’eletto capo dello stato pronunci alcune parole di sentiti ringraziamenti verso coloro che gli hanno accordato sette anni di fiducia. Credo però che per la prima volta nella storia di qualsiasi democrazia galattica accade che una persona eletta insulti pesantemente coloro che gli hanno accordato tanta fiducia. Con la sua solita garbata ed elegante eloquenza, la sua malgrado prima carica dello stato inanella una interminabile serie di forbite maledizioni a quel branco di deficienti. I quali di tutta risposta, a confermare il loro limpido grado di intrinseca idiozia, invece di abbassare umilmente il capo in segno di profonda vergogna altro non riescono a fare che applaudire colui che con vellutate parole di fiele non fa che sminuirne ogni loro attitudine professionale e morale di fronte al mondo intero. Ennesimo primato: per la prima volta in ottantasette anni di vita politica, il nostro capo dello stato, ormai con la voce rotta non dalla commozione ma dalla rabbia, ha interrotto il suo discorso per chiedere che si smettesse di applaudire, perché oltre che irritante, l’applauso faceva chiaramente fraintendere completamente il senso del suo discorso. Ottima presa di posizione, a cui ha fatto seguito uno scrosciante applauso.

 

Ora, dalla radio da cui sentivo il discorso, per quanto stereo, era difficile capire da che parte dell’assemblea giungessero gli applausi. Potrebbe essere che solo un gruppo dei deficienti che abbiamo eletto per l’ennesima volta stesse applaudendo, mentre altri davvero avessero chinato il capo in segno di umile pentimento per una vita di scelleratezze coronate dagli scandalosi atti recenti. Mi è più facile però pensare che in realtà fosse una gara a chi applaudisse più forte. Perché lungi dall’abbandonare i loro comportamenti nefasti, i nostri eletti in realtà hanno sicuramente pensato che sommergendo l’avversario politico con gli applausi più rumorosi, si volesse far pensare che il discorso del capo dello stato non fosse indirizzato a loro che lo sottolineavano battendo fragorosamente le mani, ma a quegli altri, che purtroppo il caso vuole che essendo anch’essi dotati di arti superiori, applaudissero con la stessa ottusa veemenza.

 

L’ennesima dimostrazione di grande stile che abbiamo ricevuto dai nostri eletti. L’ennesima dimostrazione di stile che stiamo dando di noi italiani al mondo intero. Si dice che noi pirati abbiamo scarso senso morale, ma di fronte a tutto ciò, dobbiamo prendere il tricorno tra le mani e chinare umilmente il capo, ed ammettere che siamo solamente dei poveri dilettanti.