Essere padri è un po’ questo: rivivere le tappe della propria vita nella crescita dei propri figli, in un viaggio affascinante e meraviglioso attraverso le loro scoperte ed esperienze. Magari cercando di evitare che i propri figli debbano incorrere negli stessi errori, o peggio che si trovino a dover subire passivamente le stesse tare che ci sono stare iniettate nella testa, e di cui ancora sopportiamo le conseguenze.
Ed infatti eccomi qua, padre amorevole dal cuore pastafariano e dal fegato ateo, intento a compilare il modulo per la preiscrizione del nostro bambino alla scuola dell’infanzia. Quella che una volta era chiamata scuola materna, e prima ancora nell’era giurassica, quando l’abbiamo fatta noi, asilo. Solo che asilo fa brutto, con quel suono un po’ da parcheggio ed un po’ da rifugiati, mentre scuola ha tutto un sapore di apprendimento, perché quando si hanno quattro anni giocare va bene, ma meglio se lo si fa in modo intelligente e stimolante.
Ma a quanto pare non è solo giocare in modo intelligente e stimolante. Perché dal modulo salta fuori che già devo decidere se sia il caso o meno che il mio bambino a tre anni partecipi alle lezioni di educazione cattolica, o in alternativa destinarlo ad altre non ben identificate attività o portarmelo a casa. Già, in un asilo statale. Già, a tre anni. Che ancora non gli insegnano nemmeno l’italiano e la matematica, forse perché è troppo piccolo e a tre anni magari è più il caso di farlo divertire ancora un po’, povero cucciolo. Ma questo non vuol dire che debbano avere la decenza e la cortesia di risparmiargli le sue prime ore di indottrinamento forzato al credo del dio più alla moda in Italia da quell’anno infausto che è stato il 313.
Devo dire che questa conversazione l’ho già tenuta in una birreria un paio alcune ore fa, solo con toni molto meno pacati; le mie invocazioni all’altissimo hanno fatto girare un po’ di teste dai tavoli vicini, non fosse altro per il suo accostamento, tipico bresciano, ad un noto animale della fattoria. Qui cercherò di essere più formale.
Non voglio soffermarmi sulle questioni economiche, ovvero sulla pratica vergognosa di insegnanti assunti dalla curia ma pagati con i soldi di tutti, per insegnare delle cose fuori del controllo di uno stato che ha l’arroganza di definirsi laico. Quello che mi spaventa è che hanno abbassato il tiro: una volta si iniziava a sei anni a bombardarci la testa con le avventure di Gesù e la sua allegra compagnia di soli uomini. Ora, forse che i bambini sono più svegli dei loro padri, si è deciso di iniziare molto prima. Immagino che ormai a sei anni questi scolaretti siano già degli contestatori in grado di mettere in crisi un insegnante di religione che vuol parlarti di un dio con dei superpoteri degni di un eroe Marvel. Se si inizia tre anni prima, magari c’è ancora speranza che gli si possa far prendere per buona e assodata la storia del dio buono che compie miracoli a furor di popolo e che per motivi misteriosi finisce a giustificare le peggiori porcherie della storia dell’umanità, operate in suo nome. Di questo passo andrà a finire che ci chiederanno se vogliamo avvalerci del diritto di usufruire delle letture di passi scelti del vangelo direttamente sulle pance delle mamme in dolce attesa.
Chiaramente ho deciso di non avvalermi di questo importante diritto. Lo avevo già deciso da tempo, dopo lunghe riflessioni. Da un lato ho pensato che se sono quello che sono lo devo all’ostinata propaganda cattolica che siamo costretti a subire in questo stato falsamente laico, che mi ha spinto alla nausea e al rigetto. Ma d’altro lato ho pensato alla fatica che ho fatto per pulirmi il cervello da tutte queste sciocchezze del dio zombie buono che vuole salvare un’umanità bovina ed impotente. Sono certo che se terremo sgombra la mente dei nostri bambini più tempo possibile, poi avranno maturato da sé gli strumenti per respingere una storiella tanto presuntuosa quanto sciocca ed irrilevante.
Certo, la mia sembra già una forzatura da ateo che vuole togliere ad un bambino innocente la possibilità di aprire la sua mente alla conoscenza di una religione. In uno stato normale sarebbe vero. Ma non siamo in uno stato normale. E l’ora di lezione che non voglio che mio figlio segua non è l’ora di religioni, con un insegnante qualificato che espone in modo imparziale i vantaggi e gli svantaggi che si possono trovare ad aderire ad ogni religione del mondo, e soprattutto a restare atei. Purtroppo quest’ora di lezione è dedicata interamente all’indottrinamento cattolico. Non ti apre la mente alle più interessanti possibilità del momento, quali il veganesimo, il satanismo o il pastafarianesimo, ma ti chiude la testa e ti spara ad alta velocità sul primo tratto del binario del cattolicesimo, da cui scenderai comunque troppo tardi, se avrai mai questa fortuna. Non è una possibilità, ma una condanna. Quindi no.
E non sto privando mio figlio proprio di niente. Magari suona strana la parola ateo associata ad un bimbo di due anni e mezzo, ma è quello che è, da quando è nato. E dovremo tutti abituarci all’idea che tutti i bambini nascono atei, sia in Italia, che in India o a Gerusalemme, e che si ritrovano ad essere qualcos’altro è solo perché vengono costretti per via ereditaria quando sono troppo piccoli per opporsi. Io non farò così. Se un dio esiste, lo sfido a manifestarsi di persona per convincere mio figlio ad adorarlo. Ma da solo, senza nessuno squallido intermediario. Può portare tutti i cespugli ardenti che vuole, se lo ritene utile alla sua causa.
Quando si abita in centro al paese si vedono molte cose da una diversa prospettiva. Come i concerti di piazza, che mentre tutti li guardano seduti di fronte al palco, io posso vederli dalla finestra del salotto. Le prospettive più interessanti sono però quella che riguardano la chiesa cattolica, e per una volta non mi riferisco tanto all’enorme gerarchia di prelati con cui siamo rassegnati a convivere, quanto proprio all’edificio stesso.
Se infatti mi metto a guardare dalla stessa finestra che dà sul campanile che fa (o faceva, ancora non ho capito) tutto quel rumore nelle feste comandate, posso vedere il tetto della chiesa da una prospettiva del tutto particolare.. E non solo la chiesa di cui sto parlando, ma anche un’altra più vecchia e più piccola che neanche a dirlo ha un muro in comune con il mio gabinetto. Potremmo definire questo modo di guardare le chiese come la prospettiva gatto.
La chiesa attaccata al mio gabinetto è in assoluto la mia preferita, perché ha una caratteristica che la rende meravigliosa: è sconsacrata. Questa parola magica porta con sé vari significati, ma i più importanti sono che:
ha un campanile muto: non l’ho mai sentito suonare una volta in vita mia. Se dovesse farlo, credo che mi volerebbero giù i libri dagli scaffali, quindi non voglio nemmeno pensarci. Dovrei fare causa al prete per spargimento di letteratura.
il comune ce l’ha in comodato per credo una trentina d’anni, e per tutto questo periodo non ospiterà bizzarre celebrazioni, quanto più interessanti eventi mondani: mostre di quadri, incontri, proiezioni di film, concerti, cose così. A volte ci scappa il concertino di musica sacra, ma è il comune a decidere il programma, quindi capita anche di vederci il film The Wall o di sentirci parlare Umberto Guidoni, astrofisico non certo famoso per la frequentazione di chiese. Trent’anni non sono tanti, ma sono fiducioso che per allora tante cose saranno cambiate, e che tutti gli italiani avranno capito che il cristianesimo è solo un’invenzione e che possono tranquillamente fare a meno della religione, o sceglierne una migliore che non punti tutti sul sacrificio e sulla cieca obbedienza. Non l’islam, quindi.
Torniamo quindi all’altra chiesa, quella dal campanile rumoroso. Come si vede dalla foto, su tetto della chiesa sono visibili due delle tre statue poste in cima alla facciata. La cosa particolare è che non le si vede dal davanti, ma dalle terga. Che poi, quanti possono vedere queste statue, poste in cima al tetto di un edificio altissimo, dalle terga? Credo solo chi abita nel mio appartamento, che è abbastanza alto, ed alcuni gatti. Penso che se lo scultore avesse messo una coda di maiale alle statue non se ne sarebbe accorto nessuno.
Ed ecco che dopo anni passati ad aprire i battenti della finestra la mattina e a chiuderli la sera, finalmente vedo davvero quello che non ho mai visto: le due statue, che da davanti fanno bella mostra di sé e che le fonti ufficiali che riconoscono come le virtù teologali, da dietro offrono un’interpretazione moderna della chiesa di oggi di una precisione straordinaria.
Ed ecco quindi a voi il cristo del selfie, intento a catturare un ricordo di sé con il suo telefonino all’ultima moda:
ed un moderno santo patrono dei pedofili, che indossato un pesante mantello invita un fanciullo ad entrarvi, spingendolo per la testa.
Sono due statue scolpite nel 1800, ma per me sono il riassunto meglio concepito della chiesa cattolica di oggi. Probabilmente anche di allora, quando il papa aveva ancora un suo esercito.
Da un lato il selfie, a rappresentare l’uso massiccio dei mezzi di comunicazione più frivoli e moderni, spesso in modo autoreferenziale, per cavalcare con successo un’enorme massa di giornalisti, politici e fedeli senza coscienza o capacità critica. E’ lo sfruttamento dell’immagine di un papa così simpatico e bonaccione che dice continuamente cose con il suo divertente accento sudamericano. O le immagini di un prete che gira nelle baraccopoli invece che nei corridoi del vaticano a dare un’immagine idilliaca del sistema perverso dell’otto per mille. E’ il cristo del selfie, l’aspetto pubblico e che ci piace tanto di questa chiesa cattolica fatta di vecchi che si sforzano di piacere a noi giovani.
Dall’altro la protezione dei pedofili, a simboleggiare i continui successi della chiesa cattolica nella difesa dei soprusi dei poteri forti ai danni dei più deboli e nel mantenimento dei propri assurdi privilegi, il lato oscuro di una chiesa fatta di parole e di apparenza che mostra tutta la sua potenza quando gli viene timidamente chiesto di giustificare il vergognoso operato dei propri dipendenti, o di mettere in atto lei stessa qualcuno di quei princìpi di carità cristiana che continua a chiedere agli altri stati. La pedofilia è solo il più triste e lampante esempio di questo costante atteggiamento di prepotenza ed arroganza che vede la chiesa muoversi impunita e riverita tra le pieghe di uno stato italiano molle e ossequioso. Ecco, questo è il patrono dei pedofili.
Da casa mia non vedo il didietro della terza statua, e non posso sapere chi rappresenti. Sarà la madonna dell’otto per mille.
Uno dei miei piatti estivi preferiti è la bruschetta. Offre talmente tanti vantaggi che ho dovuto elencarli in seguito, dopo la ricetta.
La preparazione stessa poi è talmente semplice che definirla ricetta fa pure un po’ ridere: forse è più una preparazione meccanica. Ne affronterò lo stesso i passaggi chiave, nel caso voi non siate già dei bruschettatori seriali come lo sono io.
Ingredienti ovvi
Il pane da bruschetta
Un po’ di pomodorini
Olio
Aglio, non essenziale
Origano
Sale, per chi ha le papille gustative rovinate
Preparazione
Le cose da fare in contemporanea sono due: da una parte tostare il pane, dall’altra tagliare e condire i pomodorini.
Se avete un tostapane a tempo, allora potete tostare il pane in tutta tranquillità, mentre tagliate i pomodorini. Altrimenti sappiate che l’arte di tagliare i pomodorini è talmente affascinante che rischiate di rimanere assorbiti, e di dover mangiare i vostri pomodorini tagliati alla perfezione su delle fette di pane bruciato. Insomma, attenzione. Una tostatura ideale prevede un pane croccante a sufficienza da potervi grattare sopra l’aglio ma comunque flessibile, quindi non biscottato. Se è diventato come le fette biscottate che si comprano e che si rompono anche solo a pensare di volerle tirare fuori dal sacchetto, sappiate che ad ogni morso ci sarà un contraccolpo della fetta che darà lo slancio ai pomodorini per cercare di tuffarsi nel colletto della camicia dei maschietti o nella scollatura dei vestiti delle pulzelle.
Parliamo quindi dei pomodorini. Ci sono varie tecniche di taglio.
La più intuitiva è il taglio tipo salame: si afferra il pomodorino tenendolo con tutte e cinque le dita di una mano da un lato del pomodorino, cercando di non farlo scivolare nel senso opposto (cosa non facile, date le dimensioni dell’oggetto) e sforzandosi di tagliare solo il pomodorino con il coltello impugnato nell’altra mano. Dato l’elevato rischio di amputazioni, possiamo anche definire questo procedimento come la tecnica di Capitan Uncino.
Una affascinante tecnica americana è quella del doppio piatto, descritta qui: si mettono tutti i pomodorini in un piatto piano, gli si mette sopra un piatto uguale capovolto e si passa una katana giapponese tra i due. Un po’ come quel gioco di prestigio in cui il Mago Silvan tagliava a metà la sua bionda assistente rinchiusa in una specie di feretro. Con un solo taglio otterrete tanti mezzi pomodorini. Sempre che i vostri siano pomodorini OGM della Monsanto, tutti di identico diametro studiato per essere uguale al doppio della profondità del piatto. Se invece sono pomodorini italiani otterrete alcuni pomodorini tagliati a metà, altri appena sbucciati su in lato o affettati più o meno a caso, altri ancora interi. Se poi il vostro coltello non taglia come la spada di Goemon il samurai, facilmente otterrete un grossolano frullato di pomodoro dal lato di uscita della lama. Ah, ricordatevi che non basta tagliarli a metà: dovrete comunque riprenderli uno a uno per ripassarli in quarti o ottavi usando una tecnica più tradizionale.
La tecnica che preferisco io è quella del taglio rotante. Funziona così: come prima cosa si taglia a metà il pomodorino sul diametro, tenendolo con le dita da ogni lato.
Poi si prende una delle due metà e la si appoggia con la parte tagliata sul tagliere. Si afferra quindi il mezzo pomodorino di nuovo con le dita da ogni lato e di nuovo si farà passare la lama per tagliarlo ancora in due parti. Quindi si ruotano di novanta gradi i due quarti di pomodoro, li si afferra con due dita per lato, e si dà il terzo taglio, perpendicolare ai primi due.
Essendo che il mezzo pomodoro è sempre stretto dalle dita da ambi i lati, non servono prese scivolose e di forza per trattenerlo, e diminuisce quindi il rischio di servire ai vostri ospiti alcune parti di voi. Inoltre alla conclusione dei tre tagli state già afferrando le parti tagliate, e potete gettarle al volo nella ciotola di servizio. Ultima cosa: durante il secondo ed il terzo taglio potete far scorrere leggermente tra loro le parti lungo il taglio appena eseguito, di modo da assicurarvi che questo sia stato completo, e che non siano ancora attaccate tra loro da un pezzetto di pelle. Insomma, senza troppo sforzo si riesce a garantire un servizio eccellente in pochi secondi a pomodorino.
Una volta che avete riempito una ciotola come quella della foto, potete metterci l’olio, l’origano e se proprio volete il sale. Con una ciotola come quella della foto accanto si possono riempire circa due bruschette come quelle delle foto sopra, o quattro mezze bruschette come quella della foto sotto. Questo per evitare la spiacevole situazione di avere del pane scondito o troppi pomodorini di avanzo, e quindi degli ospiti contrariati.
Il servizio poi viene fatto proponendo all’ospite di occuparsi delle fasi finali di preparazione, che poi sono la grattatura dell’aglio sulla fetta e lo spargimento dei pomodorini. I motivi sono vari, ma principalmente che a non tutti piace l’aglio nella stessa misura, e che se lasciate troppo i pomodorini sulla fetta questi sbrodolano sul pane e vi ritrovate a servire ai vostri ospiti una specie di zuppa fredda su pane molle.
I vari motivi che rendono interessante questo piatto
E’ divertente da preparare e consumare. In particolare la seconda cosa è importante, perché un cibo con cui il consumatore deve interagire con perizia ha il suo perché. Magari rievoca un po’ i nostri istinti di cacciatori/raccoglitori, chissà. Certo, funziona meno con gli anziani più tradizionalisti, specie se hanno il Parkinson, ma se si tratta di un aperitivo in piedi o cose del genere, allora fa la sua figura. L’abilità del consumatore non sta solo nello strofinare la giusta quantità di aglio e nello spargere dei pomodorini sopra una fetta di pane, ma anche nel dominare questi elementi mentre li si azzanna: se non si è sufficientemente attenti e capaci è facile che i pomodorini, che conservano parte della forma sferica originale, finiscano per rotolare un po’ ovunque, con grande ilarità degli altri commensali.
E’ vegano. Già: se non ci aggiungete ingredienti impropri tipo mozzarella, tonno o altri derivati animali, rimane un piatto vegano, del tipo però che piace anche ai carnivori. Un piatto vegano con la straordinaria caratteristica di non avere ingredienti tristi o surrogati come la soia, il veg-formaggio, il non-uovo o così via. Potremmo definirlo un piatto vegano per sbaglio, o in incognito. Anche la birra, ricordiamo, è vegana, come la quasi totalità degli alcolici. Voglio sperare che questo punto non sia fonte di rifiuto o disagio agli integralisti della macellazione.
E’ crudo (I). Quindi ad esclusione del tostapane, non dovete scaldare casa vostra accendendo forni o fuochi. D’estate è un aspetto da non trascurare.
E’ crudo (II). Altro aspetto interessante delle cose crude: non tutti sanno che molte vitamine sono delicate, e se ne vanno con la cottura. Si evita che le cose più buone rimangano attaccate alla padella o si distruggano nell’ambiente: se si mangia un ortaggio crudo lo si assimila al 100% delle sue potenzialità, Magari è il caso di lavarlo più che bene, per evitare di assimilare anche degli ospiti indesiderati. Se sono ospiti del tipo visibile il vostro piatto sarà anche più nutriente, ma non rispetta più il punto 2. Se invece sono del tipo invisibile, allora auguratevi che la loro popolazione non sia sufficiente per uccidere i vostri ospiti, o per fargli venire il mal di pancia. Vi fareste una brutta fama, e la loro sopravvivenza all’esperienza non sarà sufficiente a dargli desiderio di tornare ad essere vostri ospiti.
E’ molto buono, direi buonissimo. E’ croccante per il pane, e sguscioso per i pomodorini. E’ caldo sotto e fresco sopra. E’ un piatto perfetto.
E’ sano: segue alla perfezione le linee guida dell’INRAN. Non contiene grassi saturi (sempre che non abbiate comprato le bruschette in una friggitoria bavarese), non fa alzare il colesterolo. Magari non lo consiglio come piatto unico se siete in pausa pranzo e di lavoro fate il muratore, ma credo che non ci sia bisogno di dirlo.
Gli ultimi due punti in particolare hanno tutta l’aria di violare il primo postulato di Pardo, secondo cui le cose buone della vita sono illegali, immorali o fanno ingrassare. Per questo ho dovuto aggiungere il paragrafo seguente.
Un unico motivo che rende immorale questo piatto
Mangiare bruschette in Italia è legale, e ho già detto che non fa ingrassare. Ma ci sono buone possibilità che delle persone siano morte per raccogliere i pomodorini, quindi questo piatto è immorale.
Non sempre, certo: potreste aver coltivato i pomodorini in autarchia nell’orto o sul terrazzo, imponendovi dei ritmi di raccolta non massacranti. Io li ho avuti da un’amica che è tornata dalle sue vacanze in costiera amalfitana, dove i suoi generosi parenti le hanno dato grandi quantità di ortaggi e che lei ha poi distribuito in parte agli amici polentoni; per una volta posso dire di avere la coscienza a posto: la mia bruschetta è pulita. Ma tutte quelle volte che sono andato semplicemente al supermercato a fare la spesa per comprare una bella vaschetta di pomodorini, allora non ho fatto altro che incoraggiare un mercato orribile che si appoggia sul benestare di tutti, me compreso, in una situazione del tutto simile allo schiavismo.
Il problema è noto, perché fa parte di quei problemi stagionali che i nostri politici risolvono all’italiana, ovvero facendo un gran polverone di promesse fino alla fine della stagione, sperando che la situazione o si risolva da sola entro l’anno seguente, o al massimo ci sia stato un cambio di governo in tempo per poter incolpare qualcun altro dell’ennesima disgrazia.
Non voglio nemmeno stare qui a raccontare queste cose già dette e scritte da tutte le parti da gente pagata per farlo, se non per dire che trovo terribile come la vita e la dignità di un essere umano pesi di meno di un prezzo finale pagato al supermercato. Come se io che compro questi pomodorini non possa essere felice di pagarli un prezzo equo, a condizione che chi li raccoglie possa farlo nel rispetto dei suoi diritti e della sua dignità di essere umano.
E non è solo una questione di pomodorini: è anche il mobile della celebre multinazionale dell’arredamento, o il pacco consegnato dal gigante americano dell’e-commerce, o il succoso panino multistrato della nota catena alimentare, e così via. Ovunque si guardi c’è un grande sistema che fa di tutto per accontentare il consumatore a spese del dipendente. Magari non è così per chi raccoglie i pomodorini, che difficilmente arrederà la sua rovente baracca di lamiera con mobili svedesi o oggetti ordinati in Internet, ma normalmente i dipendenti di un’azienda sono i consumatori dei beni o dei servizi di un’altra; mi chiedo quindi che senso abbia fare questa gara assurda sulla pelle dei propri dipendenti, e se è normale che continuiamo a premiare questo sistema che ci piace tanto quando consumiamo, ma che ci massacra quando ne facciamo parte.
Uno dei drammi dell’estate per noi bresciani che non siamo andati in vacanza, oltre alle pantere vagabonde e ai regolamenti di conti tra gentiluomini, è trovare un film decente al cinema. Scorrendo l’elenco dei film proiettati nelle varie multisale speranzosamente aperte, trovo però un film che promette di essere veramente straordinario. E non può essere altrimenti, considerando l’argomento trattato: è la trasposizione hollywoodiana dell’Apocalisse dei cristiani.
Giusto per capirci per chi non ha un passato da frequentatore di chiese, l’apocalisse di Giovanni è la parte finale del nuovo testamento, nonché la più pittoresca. E’ quella con l’anticristo, con la vergine che partorirà (di nuovo? queste vergini partoriscono continuamente, nel vangelo) ma nello spazio, ma soprattutto con l’incredibile drago con undici corna distribuite su sette teste, e con una coda che userà per spazzare un terzo delle stelle del cielo. Numerologia a piene mani, insomma.
Draghi cabalistici e vergini prolifiche a parte, la cosa veramente interessante dell’apocalisse è che ci sarà il giorno del giudizio, ovvero quel momento in cui il dio dei cristiani richiamerà tutti i suoi fedeli, vivi o morti che siano, per tirare le somme del loro operato, per vedere se hanno seguito come si deve le sue regole. Quelli che sono già morti avranno in primo luogo la grana di dover recuperare il proprio cadavere, e davvero non voglio essere nei loro panni. Presentarmi con un aspetto trascurato di fronte a dio nel giorno del giudizio non è certo il miglior biglietto da visita.
Il film sembra trattare proprio questo: l’improvvisa scomparsa di tutti i cristiani, che si limiteranno ad abbandonare i vestiti sul posto, lasciando incredulo e perplesso un gran numero di non-cristiani.
Già, perché secondo l’apocalisse è proprio questo che accadrà: atei, agnostici e fedeli delle religioni sbagliate verranno semplicemente lasciati sul pianeta. Non verranno puniti per il loro rifiuto di aderire all’unica vera religione, semplicemente loro e la loro progenie verrà abbandonata in questa valle di lacrime. Va molto meglio a loro quindi che non ai cristiani cattivi, che invece si godranno un’eternità di fiamme infernali e via dicendo.
Non si dice cosa accadrà di preciso a tutti questi non-cristiani che rimangono sul pianeta. Credo che semplicemente non siano più interessanti ai fini divini, e quindi abbandonati a loro stessi ed alle regole della fisica. Per come la vedo io, questo era il vero spunto interessante per un film come si deve: far vedere che mondo sarebbe senza cristiani bigotti, ipocriti e arroganti ad intasare la politica, le istituzioni, gli strumenti di informazione, la morale e la vita di un pianeta. ironia della sorte, dopo anni di battaglie per una società migliore libera dalla religione, gli atei si ritroverebbero ad ottenere esattamente quello che volevano proprio per mano di quel dio in cui non credevano, e di cui comprenderebbero l’esistenza solo quando sarà troppo tardi. Da ateo che sono, magari sarei un po’ perplesso all’inizio, ma ci metterei poco ad accettare questo enorme regalo da un dio così ironico.
E come è questo film? Non lo so, non sono andato a vederlo. Mi è bastato vedere il trailer, come credo che possa bastare a chiunque. Si intitola Left Behind, che significa lasciati indietro, o abbandonati:
Veramente terribile.
Giusto per capirci:
Si parla dell’apocalisse di Giovanni, e non c’è nessun drago, anticristo o trombe del giudizio. Ed è un film di Hollywood. Se devi fare un film catastrofico a basso costo, si può anche fare a meno di farlo. Ci sono un po’ di vestiti sparsi un po’ ovunque, chiaramente quelli che cristiani. Credevo fossero molti di più. Come si chiama il pilota sparito del volo di Nicholas Cage? Chris, ovviamente, grande sforzo di fantasia.
Tutti i neonati sono scomparsi dal nido di un ospedale. Già, perché tutti i bambini appena nati sono già cristiani praticanti.
E’ presente l’attore premio Oscar Nicholas Cage, come viene ricordato dal testo in sovrimpressione. Non mi ricordo con precisione dove abbia vinto l’Oscar, ma sono certo che non glielo hanno dato in anticipo quando hanno saputo che aveva accettato di recitare in questo film.
Nessun ateo o pirata pastafariano che una volta capito il proprio madornale errore nella scelta della religione, decida di stappare una bottiglia e scendere in piazza a festeggiare con gli amici. Io farei così. Sarei sicuramente dispiaciuto per alcuni amici che avrei perso, chiaro, ma mi consolo pensando che alla fine è quello che hanno voluto loro, nel bene o nel male.
Siccome non è giusto solo criticare, ecco quindi la trama del mio film ideale sull’apocalisse:
Si inizia come credo che inizi anche il film qui sopra: si introducono un po’ di personaggi, che saranno quelli che seguiremo durante l’apocalisse. Sicuramente non ci saranno i soliti stereotipi Hollywoodiani dell’eroe per caso da ultimo minuto, o della figlia biondina e carina. Ci metterei piuttosto un po’ di gerarchie politiche ed ecclesiastiche di varie religioni, per approfondirne la reazione di fronte al previsto imprevisto, un insegnante di religione e qualche pirata pastafariano
Senza dilungarci troppo in preliminari noiosi, arriva la fine del mondo. Una cosa esagerata e spendacciona: i quattro cavalieri dell’apocalisse, il drago multicefalo, l’anticristo e tutto il circo divino, come richiesto dalle sacre scritture. Battaglie spaziali ben visibili in cielo a tutta l’umanità, in un tripudio di effetti speciali. In un suo racconto che ho trovato qui, Dino Buzzati ha pensato più ad una grossa mano spaziale, e già basta a gettare nel panico tutta la popolazione, credente e non, e ad inguaiare un giovane prete dalle cattive frequentazioni. Credo che ci si potrebbe ispirare più a questo che non a degli squallidissimi vestiti abbandonati. Siccome io poi sono certo che molte alte sfere della chiesa o vicine ad essa predichino bene ma razzolino male, e non sono nemmeno troppo certo che credano fino in fondo nell’esistenza del loro dio se non come ad uno strumento di manipolazione di massa, vorrei tanto vedere pure le loro di reazioni, una volta che davvero hanno la prova definitiva ed incontestabile che avevano ragione. Dedicherei poi uno spazio anche alla reazione di atei e pastafariani. Essendo che in genere sono categorie ben informate, si renderanno subito conto che l’apocalisse non è affar loro, e quindi coglieranno l’occasione per salire in un luogo elevato e a minimo rischio di catastrofi per godersi il più grande spettacolo della loro vita, offerto da un dio generoso seppur tanto disprezzato.
Si sa come finisce la battaglia, la vergine partorisce ma il drago rimane a bocca asciutta. Arriva il Cristo nella veste di Antianticristo, che sconfigge l’Anticristo e risolve tutto. il bene vince, e non credo che sia una sorpresa per nessuno: sta scritto così. Come trama è conforme agli standard di Hollywood, quindi siamo a posto senza doverci inventare niente.
A questo punto finisce la parte apocalittica e spettacolare ed inizia la parte più comica, ovvero la ricerca dei corpi da parte dei cristiani morti, ed insieme le preoccupazioni dei cristiani vivi chiamati al cospetto di dio. Molti di loro sono pure poco informati, magari perché a messa erano distratti, e ci sono molte perplessità sulle modalità del giudizio universale. Sicuramente c’è materiale per molti sketch piuttosto divertenti, come mettere vecchi cristiani del passato morti da secoli intenti a scavare nelle fosse dei cimiteri monumentali più famosi, alla ricerca di pezzi di loro stessi, o a contendersi le ossa di una mano. O i problemi tecnici di Giovanna d’Arco. per non parlare di tutti quei santi le cui salme sono state fatte a pezzi per riempire di reliquie non so quante chiese in giro per l’Italia. La convocazione selettiva di dio, che chiama a sé solo i credenti, potrebbe avvenire sfruttando tutti i mezzi di comunicazione: dio è dio, può tutto. Email, elenchi pubblici, SMS, giornali locali, tweet e lettere cartacee. Magari per i riottosi in cattiva fede anche alcuni stormi di angeli minacciosi, che non guastano e fanno un po’ di scena. Atei, pastafariani e credenti di altre religioni stanno a guardare divertiti. Vorrei anche cogliere l’occasione anche per mostrare le reazioni di tutti quei trogloditi che fino al giorno prima pensavano che l’unica cosa giusta da fare era di uccidere chi non credesse nel loro dio. Sicuramente si saranno resi conto di essersi sbagliati, e che di vergini in paradiso non ne vedranno nemmeno una. Ecco, credo sia giusto mostrare che non affronteranno l’apocalisse con la stessa serenità di atei e pastafariani.
Finalmente tutti i cristiani morti hanno trovato il loro cadavere, ed i cristiani vivi, volenti o nolenti, sono ascesi al giudice universale. Il mondo è libero, un po’ malandato, e condannato ad un’esistenza costruita su due certezze: dio c’era, e non c’è più. Si fa la conta degli assenti tra l’entusiasmo dei presenti, e si gettano le basi di una nuova società non laica, ma dichiaratamente atea. Magari si passa anche a controllare le maggiori istituzioni per vedere che sia tutto a posto, giusto per accorgersi che le carceri ed i mezzi di informazione sono quasi completamente vuoti, mentre le università sono quasi a pieno organico. Tutte le religioni rimaste vengono di comune accordo eliminate se inutilmente restrittive, vedasi in generale quelle monoteiste, o declassate a folklore tradizionale, in caso siano divertenti e pittoresche. Ebrei ortodossi si concedono a sontuosi piatti di linguine allo scoglio, insieme ai loro nuovi amici mussulmani intenti a bere birra e a mangiare pane e salame. E con questo messaggio di pace e di speranza finisce il film.
Ecco, questo per me è un modo più serio e maturo di affrontare un tema importante e delicato come il giorno del giudizio, e certamente più fedele all’idea dell’apostolo Giovanni che non quella boiata di Left Behind. Se così deve essere, accidenti, allora vorrei proprio esserci.
Buona apocalisse a tutti, ci si vede in piazza a bere una birra insieme, se non siete stati rapiti.
Per chi lavora il 15 agosto è Ferragosto, da circa duemila anni. E’ il giorno di vacanza per eccellenza. Per chi non lavora, come i preti o i papi cattolici, è invece l’ennesima occasione per impossessarsi di una festività laica e farla diventare cristiana, e farci quindi la solita predica nel caso dovessimo eccedere con i divertimenti. La festa usupatrice è quella dell’Assunta, e serve a ricordare ai suoi fedeli che quando presti l’utero a dio senza contestare dopo come ricompensa potrai portare il tuo cadavere in paradiso senza dover aspettare l’apocalisse.
Per chi come me ha la fortuna di abitare in centro al paese, il 15 agosto è una di quei giorni in cui è tradizione che il campanile della chiesa si metta a suonare all’impazzata in un orario in cui i pirati per bene sono già a letto da alcune ore e vogliono dormire, soprattutto se hanno un bambino piccolo e se credono di meritarsi il loro giorno di ferie di Ferragosto.
Per me questa mattina è stata l’occasione di portare avanti la mia questione personale con il caro prevosto del paese, che tanto ci tiene a non contrariare i suoi fedeli togliendogli questo rumoroso servizio tanto gradito a loro quanto sgradito a me. Prevedendo l’inizio del concerto molesto a 20 alle 7, mi sono alzato all’alba delle 6 e 20, armato di videocamera. Ho spostato un bucaniere di due anni vagamente contrariato nel lettone, fornendogli un biberon con mezza pinta di latte di vacca come silenziatore. In questo modo la camera di registrazione era libera. Ho quindi ho sistemato i miei strumenti e fatto partire la registrazione.
Risultato: niente.
Mezz’ora di niente, in cui il campanile si è limitato a stare fermo immobile, lui e le sue campane. Ho aspettato fino a pochi minuti alle sette, orario in cui normalmente partiva la seconda scampanata, quella molto meno molesta di richiamo ai ritardatari della messa delle sette. Non ha suonato nemmeno quella. Ne è uscito un filmato lunghissimo e decisamente noioso. Il momento più adrenalinico è quando si sentono i passi di alcuni anziani che vanno a messa, tanto per dire. Ho deciso quindi di non pubblicarlo, se non volevo battere il record di pollici versi su youtube.
Nel frattempo il piccolo filibustiere stava facendo colazione con la mamma, commentando con entusiasmo le prodezze della Pimpa e dei suoi elettrodomestici parlanti. Metto su il caffè e mi aggiungo perplesso al gruppo, tirando fuori l’argomento con la mia amata.
Ci abbiamo ragionato un po’. Tutto era nato qui, con la mie lettera al comune, ed era proseguito qui, con la risposta del prete al comune ed in copia a me. E’ passato più di un mese, e da allora non ho più ricevuto notizia. Mi veniva da pensar che niente era stato fatto, come se il marasma di commi e citazioni usati dal prevosto nella sua lettera per sostenere la propria arroganza avesse spaventato l’ufficio tecnico del comune al punto dal chiudere la questione senza nemmeno una risposta. Proprio per questo ho voluto registrare la scampanata dell’assunta, nonostante mi costasse una sveglia mattutina fuori programma.
Alla luce dei fatti, concerto non è stato. Anzi, in realtà c’è stato, ma posticipato alle 8. Orario già più decente per fare un po’ di rumore. Poi a seguire più o meno ad ogni ora, meno che durante l’ora del pisolino pomeridiano. L’ultima scampanata furibonda è quella di mezzogiorno. Ne ho registrato la fase finale qui, per il piacere delle vostre orecchie. non siete tenuti ad ascoltarlo, sono solo delle campane che suonano un po’ a caso:
Forse nell’ultimo mese qualcosa si sia mosso. Potrebbe essere che l’ufficio tecnico del comune non si sia fatto spaventare dal minaccioso rigurgito di citazioni del prete, e gli abbia semplicemente ricordato che la mattina non deve disturbare, e che i suoi congregotti se vogliono sentire le campane alle 6 di mattina possono registrarsele e spararsele dallo stereo di casa loro all’ora che vogliono, senza che per forza debba sentirle tutto il centro storico. Quindi avranno concordato un ora lecita, come le otto di mattina, come inizio lecito dei concerti.
Altra spiegazione, più probabile: nel pomeriggio incontro mia zia, attiva in municipio in un partito non di maggioranza e non vicino alle politiche pastafariane. Le chiedo se in comune ha sentito qualcosa, e mi dice quello che non volevo sentire: lei stessa ha partecipato ad una messa presso il palazzotto di una nostra vicina di casa, ha tirato fuori l’argomento col prevosto e gli ha confidato che è il suo nipote il fastidioso nemico dei privilegi cattolici che ha chiesto di zittire le sue amate campane. Quindi il prelato ha accordato così, per simpatia e rispetto a mia zia, ciò che a me è stato negato in quanto cittadino italiano non cattolico.
Già, un bello schifo di finale: ho ottenuto quello che volevo non perché ho seguito le procedure previste, ma perché ho conoscenze importanti in politica e in chiesa. Siamo proprio in Italia.
Quando si pensa ad un prete molesto, il pensiero corre ad un altro genere di molestia. Nel mio caso è sempre coinvolto un bambino piccolo, ma solo perché viene disturbato nel sonno dalle campane moleste che il prete molesto del mio paese pretende di avere il diritto di suonare, anche in orari improbabili, tipo la mattina a venti alle sette.
E così circa un mese fa, seguendo le istruzioni che ho trovato qui, ho scritto una lettera al sindaco e ne ho parlato qui, sollecitando un intervento da parte del comune.
E la risposta è arrivata. Incredibile a dirsi, la risposta del prete alla lettera del comune mi è arrivata quattro giorni prima della lettera del comune a cui ha risposto. Forse è che siamo già nell’anno del futuro di Ritorno al Futuro, ed iniziano i primi scombussolamenti temporali. Oppure la realtà è più semplice: abbiamo a che fare con le poste italiane, che ci mettono dieci giorni a consegnare la mia raccomandata al comune che sta dall’altra parte della strada, e già avevano dato grande prova di loro qualche anno fa, con la mia lettera di sbattezzo. Apprendo infatti del’esistenza di una lettera del comune prima ancora di riceverla solo perché il prevosto mi ha fatto al cortesia di inoltrarmela.
Il tutto è un bel pacco di 11 fogli fotocopiati (male) e graffettati. Li riporto qui di seguito, per il vostro piacere intellettuale.
La lettura è in linea di massima piacevole, a tratti esilarante, se non fosse che rappresentano la versione cartacea della prepotenza di un rappresentante delle gerarchie cattoliche. Molte parti sono però noiosi elenchi di citazioni burocratichesi di altri documenti che vogliono suffragare l’autorità del prete di scampanare a sua discrezione.
Siccome di mestiere non faccio il giurista, ho pensato che la prima cosa da fare fosse contattare l’ufficio SOS laicità dell’UAAR per aggiornarlo sul mio problema. Gli ho chiesto se sia il caso che io intervenga nello scambio epistolare tra chiesa e comune o se devo aspettare a vedere se quest’ultimo ha a cuore il mio problema ed intende portarlo avanti con la dovuta autorità.
Se dovessi intervenire io, magari non avrei la forma che ha il reverendo, ma sicuramente di cose da rispondergli ne avrei un bel po’. Potrei giusto elencarle qui di seguito.
Come prima cosa, non ho niente contro le campane che suonano di giorno. Certo non sono un grane amante della scampanata, a prescindere dal suo significato. Ma dal momento che porto sempre con me il telefono, sul telefono c’è l’orologio e quindi non considero vitale il servizio di segnale orario del campanile. Allo stesso modo, non essendo né un anziano né una comare di paese, poco mi interesso a chi è morto, e se mai la cosa dovesse riguardarmi, ho dei canali di informazione alternativi. Anche qui mi vengono incontro vari modernismi tecnologici che sono stati inventati dopo il campanile. Per citarne alcuni: i giornali, Whatsapp, ancora il telefono.
Non sapevo che le campane debbano o meno suonare durante i temporali. Mi chiedo che senso debba avere la cosa, anche se mi lascia abbastanza indifferente. Quasi mi dispiace che l’attuale prevosto si sia fatto capo di una revisione delle scampanate, e sia stato ripreso da un comitato di parrocchiani con tanto di avvocato che vigila sulle antiche tradizioni del paese. Forse il prevosto li ha citati anche a scopo intimidatorio, come a dire che se anche noi blasfemi dovessimo vincere il primo round contro le campane moleste, la cosa non passerebbe certo inosservata a questi signori. Vedremo.
La nota dolente è all’inizio di pagina due:
In alcune Solennità o feste e in alcune celebrazioni tradizionali alle ore 6,30 si vuole ripristinato il suono dei concerti che durano tre minuti. Trascrivo a seguire il calendario concordato. Circa le Solennità e feste sono state scelte: NATALE – EPIFANIA – MERCOLEDI DELLE CENERI – DOMENICA DELLE PALME – PASQUA – ASCENSIONE – PENTECOSTE – SS.MA TRINITA’ – CORPUS DOMINI – SANTI PIETRO E PAOLO – ASSUNTA – SOLENNITA’ DEI SANTI – COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI – SOLENNITA’ DELL’IMMACOLATA. Circa le celebrazioni tradizionali: si suonano le campane alle ore 6:30 durante la settimana eucaristica quella che va dalla SS.MA TRINITA’ al CORPUS DOMINI (da lunedì a Sabato) e durante l’OTTAVARIO DI PREGHIERA PER I DEFUNTI celebrato dal 1 all’8 novembre ( in questi giorni si suona il campanone dei morti).
Sembra che ogni occasione è buona per fare un concerto mattutino per un pubblico non pagante. Non ho ben chiaro per quale di queste feste abbiamo avuto l’onore ed il privilegio di essere svegliati per tre giorni di fila. Certamente so che l’Assunta è a ferragosto, quindi posso prevedere che se per allora la cosa non si sarà risolta come vorrei, saremo svegliati all’alba dal concerto.
Segue una breve considerazione sui temporali. Un’altra. Come se io mi fossi lamentato che durante i temporali non ho niente di meglio da fare che lamentarmi perché c’è un campanile che suona. Se credessi in Thor, Giove Tonante o altro dio dei tuoni e fulmini potrei lamentarmi con il mio sacerdote perché non lo prega abbastanza o nel modo corretto, al punto da provocare l’arrivo della temuta Sarneghera, calamità dei campi e delle vigne. Da amante del Franciacorta e devoto Pastafariano, mi guardo bene dal voler rimuovere un servizio tanto utile alla produzione di vino e cereali.
Ma questo era solo riscaldamento. Il bello arriva qui: le considerazioni di un prete bigotto ed in malafede riguardo a ciò che a me deve dar fastidio o no:
Ciò che mi sorprende è che dalle 6 del mattino in via Chiesa, in Piazza Morganti, in Via Pevvi transitano autoveicoli molto rumorosi e fino a mezzanotte il traffico su queste strade e sulla Piazza è molto intenso e l’inquinamento acustico giornaliero dal lunedì al sabato si protrae per ore e ore. Durante l’estate in Piazza Morganti all’aperto si tengono concerti, proiezioni di film, conferenze, manifestazioni culturali che iniziano alle ore 20,30 e durano fino alle 23 e spesso dalle 23 alle 24 si smontano le attrezzature provocando rumore. Oggi si arriva al punto di far tacere le campane (che suonano pochi minuti, massimo tre) per non disturbare la quiete pubblica, dopo essersi ingozzati dal mattino a sera di autoveicoli fracassoni e assordanti, di clacson sfrenati e violenti, di rumori televisivi e radiofonici. Un’armonia quieta e serena come quella delle campane sicuramente disturba, diventa sgradita, eccessiva ed irritante perché invita alla riflessione, alla poesia, alla preghiera, ma soprattutto fa pensare alla dimensione religiosa della vita
Mi piace pensare a quanto sia realmente sorpreso il prete di fronte alla mia richiesta di non fargli suonare le campane. Non credo che faccia fatica a ricordare il mio nome, visto che mi sono fatto sbattezzare da lui tre anni fa. Dovrebbe aspettarsi che io sia un po’ prevenuto nei suoi confronti, non essendo più ufficialmente parte del suo gregge di pecorelle.
Comunque è vero: via Pevvi è molto trafficata. Sarei contento se un giorno un sindaco illuminato dovesse decidere di trasformarla in una zona pedonale.
Voglio però far notare che chi si sveglia per il rumore non sono tanto io, quanto il mio bambino di due anni. Certo, questa informazione non gli è stata passata dall’ufficio tecnico del comune, ma sono certo che converrà che mio figlio, per quanto sia ateo come me e come tutti i bambini della sua età, sicuramente non è in cattiva fede come lo sono io nei confronti di un campanile molesto, e che se non si sveglia per il traffico ma lo fa per le campane, non lo fa in aperta contestazione con la chiesa cattolica.
Posso anche capirlo: il traffico rumoroso è giornaliero, e quindi anche se un camion dovesse passare sotto la finestra aperta di casa nostra e suonare il suo clacson sfrenato e violento durante la merenda, al massimo gli farà perdere una battuta della Pimpa impegnata in una delle sue straordinarie avventure.
Sarà poi forse che la sera è più stanco della mattina, ma mio figlio ignora anche tutti gli schiamazzi serali dei clienti della pizzeria di via Pevvi, come pure i motorini scoppiettanti dei ragazzetti dell’oratorio che non possono fare a meno di sgasare mentre decidono ad alta voce dove fare il secondo giro. Non dà peso nemmeno ai numerosi matti del paese, mattinieri o nottambuli che siano, quando vengono a cantare le loro canzoni improvvisate ad orari impossibili. Probabilmente il suo è un adattamento naturale ai rumori dell’ambiente più ricorrenti.
Ma è difficile non svegliarsi quando nel dormiveglia della mattina ci sono una decina di campane che fanno a gara a quella che fa più rumore fuori della propria finestra. Già, perché il nostro piacevole parroco lo definisce un’armonia quieta e serena. A me ricorda più il suono angelico che farebbe il carretto di un robivecchi che si rotola giù da una scarpata. Chissà perché lo stesso Dante Alighieri non fa mai riferimenti alle campane per descrivere le voci di angeli e santi della Divina Commedia, quanto piuttosto alle canne di un organo. Se i frequentatori di chiese di Gussago non la pensano come il Sommo Poeta, allora suggerisco di cambiare di posto tra loro l’organo che c’è nella chiesa con le campane, così che il prete e la sua assemblea possano apprezzare appieno ad ogni celebrazione la piacevolezza che invita alla riflessione, alla poesia, alla preghiera, ma soprattutto fa pensare alla dimensione religiosa della vita.
Grazie al calendario fornito premurosamente dal nostro prevosto posso premunirmi e registrare il prossimo concerto dell’Assunta a Ferragosto, di modo che chiunque possa valutarne la bellezza sublime. Magari a noi atei sfugge la poesia del suo concertino mattutino, ma gli garantisco che quando sento le sue campane di riflessioni ne faccio un bel po’, condite da numerosissime preghiere rivolte alla somma divinità suina ed al suo nutrito pantheon di semidei accessori.
A pagina tre iniziano le questioni tecniche burocratiche. Quelle per cui voglio sperare che l’ufficio tecnico abbia la forza e la volontà di prendere in mano, o che se non altro lo facciano spronati dall’intervento dell’ufficio SOS laicità dell’UAAR. Il prete, bontà sua, ammette che le campane, spesso situate in pieno centro abitato. possano rivelarsi fonte di disturbo per i residenti delle zone limitrofe. Dopo aver detto questo parte il lungo elenco di citazioni di casi a riguardo, nell’ordine:
Articolo 2 del concordato, 1984, quello per cui va bene suonare le campane, ma che questo non pregiudichi i beni e la salute degli italiani.
CEI, maggio 2002: si cerca di uniformare il disturbo alla quiete pubblica da scampanamento. Forse per evitare che il prete un po’ troppo solerte faccia fare delle figure meschine a tutta la chiesa cattolica.
13 maggio 2002, sempre la CEI decide che sono i vescovi a decidere l’entità dei disturbi alla quiete pubblica da campanile, il tutto distinguendo tra scopo liturgico o religioso (quale è la differenza?) , ed in base ad orari, intensità, modalità e durata del disturbo.
Finalmente una legge dello stato e non della chiesa: siamo nel 1985, e la legge 121 articolo 2 dice che bisogna guardare all’esercizio del culto. Credo significhi che c’è differenza dal suonare le campane alle sei e mezza perché il prete vuol far sapere a tutti che il suo dio è risorto anche quest’anno, e il suonare le campane perché è in corso una messa. L’impiego non liturgico per questa legge non gode di particolare tutela. Ma pensa un po’, significa che fuori delle messe un rumore è un rumore, a prescindere che a produrlo sia un campanile o una ambulanza.
L’articolo 844 del codice civile viene citato paragonando il suono delle campane ad altri fastidi quali fumo, calore, esalazioni, rumori e scuotimenti, tutti vincolati a certi limiti di legge. Chiaro. Non a caso per queste cose si fa intervenire l’ARPA. Mi metterò d’accordo col tecnico dell’ARPA per farlo assistere al concerto di Ferragosto direttamente da un posto in prima fila, quale la finestra della cameretta di mio figlio.
Purtroppo però il nostro prelato, attraverso la citazione di diversi casi di cassazione, ci fa sapere che non esistono criteri precisi per capire quando questi limiti vengano oltrepassati, e che vada valutato il caso ogni volta.
Il secondo comma dell’articolo 844 del codice civile ci parla però che in caso di necessità produttive il giudice può alzare la soglia del disturbo. sicuramente lo scampanamento non rientra in un caso di produzione, quindi dovrei essere a posto.
Purtroppo però il nostro ci fa notare che nel caso delle campane che annunciano la celebrazione, non vada conciliato l’aspetto produttivo delle stesse, quanto l’aspetto religioso, perché il tipo di disturbo non è modificabile. Certamente, se abitassi a Monza e mi stessi lamentando dei disturbi del Gran Premio, allora il patron della Formula 1 chiederebbe di valutare non tanto l’aspetto produttivo o religioso, quando automobilistico.
A questo punto inizia un rincorrersi tra appelli e cassazioni in giro per i tribunali di tutta Italia. La sensazione mia è che la legge non è chiara, e quindi sta al giudice interpretare quello che vuole, a seconda dei suoi sentimenti politico-religiosi o dalla distanza della sua camera da letto dal campanile del paese.
Da questa gran confusione tribunalistica ne esce però una conclusione chiara, all’inizio di pagina 6:
… la contravvenzione non è configurabile nei casi in cui siano offesi solamente i soggetti che si trovano in un luogo contiguo a quello da cui provengono i rumori …
Quindi una conclusione finale:
In linea generale, deve, tuttavia, escludersi che le campane costituiscano, di per sé, fonte rumorosa con riferimento al suono prodotto per richiamare i fedeli al culto. Lo scampanio, infatti, rientra nelle consuetudini della vita di comunità, e costituisce fatto periodico e di breve durata, normalmente privo di intensità da porre problemi inerenti al disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone a norma del citato articolo del codice penale. (Cass. n. 848/ 1995).
Tanto dovevo per dovere di chiarimento. Mi auguro che questa risposta possa costruire ponti e non muri. Rimango a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento, che condividerò in un dialogo mite, franco e determinato.
Firma e data.
Certo, se fossi io il prevosto non sarei tanto propenso ad accontentare al volo il primo ateo che brontola per una scampanata quando ha traffico, spettacoli e concerti sotto casa. Posso capire le sue idee, e ne va della sua dignità di prete e di tutta la forte organizzazione che ha alle spalle.
Da parte mia sento di dover far valere i diritti miei e della mia famiglia, a prescindere dalle sue considerazioni su cosa debba disturbare o no. Non essendo cattolico, perdo gran parte dei diritti che lo stato dà agli aderenti di questa religione tramite il concordato. Cercherò di farmi bastare i miei diritti civili.
Ponti e non muri. A noi amanti dei Pink Floyd quando ci si parla di muri ci mettiamo subito in preallarme. A dare ragione alle considerazioni del prevosto, sabato sera in piazza c’era un rumoroso spettacolo teatrale per bambini, a base di enormi conigli manovrati da attori con costumi un po’ retrò. A dare ragione a me, mio figlio ha deciso che lo spettacolo non era sufficientemente interessante, e ha dormito della grossa per tutta la sua durata. A darmi un segnale interessante, la scelta bizzarra per la musichetta di stacco dell spettacolo: nientemeno che la canzone Alan’s psychedelic breakfastdall’Album Atom Heart Mother, al netto dei rumori di Alan che frigge la pancetta e maneggia le stoviglie, chiaramente. Stiamo comunque parlando di Pink Floyd. Stiamo parlando di un segno: c’è un muro da abbattere.
La settimana scorsa, mentre un milione di persone si sono ritrovate a Roma a manifestare affinché i loro diritti non venissero estesi ad altre persone, quello che potrebbe essere giudicato come il padrone di casa ha deciso di cambiare aria, e ha colto l’occasione per andare a prendere il fresco sulle Alpi dei valdesi. Ne ha approfittato per chiedere scusa al loro capo per i piccoli screzi e le incomprensioni del passato, ovvero le persecuzioni sistematiche e le stragi di intere comunità operate contro la loro chiesa a partire dal 1184, quando il papato romano disponeva ancora di un esercito operativo. Tutti ad applaudire l’umiltà di questo papa. D’altra parte, si fa sempre bella figura a chiedere scusa per colpe di cui non si è responsabile, commesse fisicamente da altri in periodi storici remoti. Anch’io devo ricordarmi di chiedere scusa agli elefanti perché i miei antenati hanno sterminato i loro cugini mammut sul finire dell’ultima glaciazione. Si potrebbe intendere il gesto del papa come un brillante modo di distrarre l’attenzione dalle proprie magagne. Considerando che sono passati 831 anni dal 1184, significa che di questo passo nel 2846 d.C. ci sarà un papa particolarmente umile e comunicatore che chiederà scusa del trattamento che la chiesa ha riservato negli anni bui del ventunesimo secolo agli omosessuali ed alle vittime della pedofilia; magari farà questa pubblica ammenda per coprire qualche imbarazzante scandalo galattico o qualche discriminazione nei confronti di una razza aliena con un numero di genitali poco consono ai valori evangelici.
Ma alla fine ai valdesi importa poco di essere usati per distrarre l’attenzione da altro, o come strumento per far vedere a tutti quando è generoso e umile questo papa. I valdesi sono una comunità molto tranquilla e rispettosa, poco propensa a far sapere ogni volta al mondo intero di quello che pensano di questioni non di loro competenza. Se i valdesi balzano alle cronache è per quello che fanno silenziosamente, mai per quello che dicono di fare o che faranno urlandolo con ogni possibile mezzo stampa, o per quello che pretendono che gli altri facciano.
E quello che fanno i valdesi non è che sia poi così incredibile, ma diventa straordinario se paragonato a quello che fanno o non fanno i cattolici. Per esempio i valdesi non fanno tutte queste storie quando si tratta di riconoscere agli omosessuali il diritto di sposarsi, e questo già molto tempo prima di gran parte degli stati cosiddetti laici. Non hanno nemmeno tribunali speciali per giudicare i più orrendi reati del propri dipendenti col tacito benestare della giustizia italiana, per dirne un’altra. Un’altra cosa che fanno i valdesi è che danno l’8 per mille in beneficenza, tutto quanto. Non solo: hanno anche delle soglie, molto basse, per impedire che ne vada troppo ad associazioni di volontariato o beneficenza legate direttamente a loro. Non fanno come la chiesa cattolica, che lo fa solo a parole nei suoi bellissimi ed ingannevoli annunci pubblicitari, e che poi del miliardo di euro che riceve ogni anno più dell’ottanta per cento serve a coprire i costi e l’inefficienza mai documentati di una chiesa che non sa stare in piedi da sola e che richiede l’aiuto ingente di uno stato servile.
Un po’ di tempo fa stavo bevendo qualche birra al solito posto con una persona, che oltre che essere una carissima amica è anche una fedelissima della chiesa cattolica. Direi pure la loro cliente ideale. Cerco sempre di non finire sugli argomenti religiosi, perché so che non se ne esce mai. O meglio: io oppongo le mie inoppugnabili argomentazioni razionaliste volte a dimostrare che il loro dio non esiste, ma lei si difende con pazienza dicendo che dio va preso per fede, che a lei le parla e la aiuta e via dicendo. Il fatto poi che entrambi abbiamo delle pinte di birra in mano non aiuta certo chi ci vede a scambiarci per due intellettuali in dibattito, quanto piuttosto in due ubriachi sordi.
Non è un grande scenario, e non credo sia diverso da quello che accade in ogni bar d’Italia il venerdì sera. L’ultima volta però ho avuto un’idea: quella di proporle una visita ad un rito valdese, così, per provare un’alternativa. Mi sono offerto di accompagnarla io stesso. Già c’ero stato un po’ di volte un paio di anni fa, e mi ero trovato benissimo, sebbene fossi già un non credente senza speranze. L’idea della visita ai valdesi non era malvagia: sono cristiani come i cattolici, quindi non sto proponendo un’alternativa al suo dio permaloso nella forma di un vitello d’oro o di un serpente piumato, quanto un modo alternativo di adorarlo.
In più le elenco i motivi, tralasciando quelli citati qui sopra, che alla mia amica possono interessare di meno:
Hanno una bella comunità, molto partecipe. Probabilmente è proprio l’effetto di far parte di una chiesa di minoranza rispetto allo strapotere cattolico che aiuta a sentirsi un elemento attivo ed importante di una comunità e non una pecora impotente nelle mani di un vescovo distante ed intoccabile.
I lori riti sono divertenti ed interattivi, ma non solo per l’iniziativa di un parroco un po’ anarchico o anticonformista: sono proprio così. Se il cattolicesimo assomiglia al web 1.0, ovvero quello in cui c’erano dei siti Internet statici da cui si poteva al massimo recuperare il numero di telefono di un negozio e non c’era uno straccio di blog o social network, la chiesa valdese è il web 2.0, dove chiunque può dire la sua durante il rito, anzi è invitato a farlo. Non c’è un prete supponente a vomitarti addosso tutto quello in cui devi credere, senza possibilità di intervento o dibattito, ma una buona occasione per scambiare idee o discutere su una pagina del vangelo. Io ho partecipato a quattro o cinque funzioni, e non mi ricordo di che ce ne fossero state due uguali. La mia preferita rimane quella per cui si era stati invitati la volta prima a portare qualcosa da mangiare, e finito il rito ci si è spostati nel refettorio a pranzare e a divertirsi insieme.
Si vota per essere rappresentati nella gerarchia ecclesiastica. E se si è valdesi da abbastanza tempo, si può chiaramente anche essere votati. Senza per forza essere pastori. Con la chiesa cattolica è un po’ diverso: c’è un papa che nomina i cardinali ed i vescovi, e questi si preoccupano di votare per un nuovo papa quando questo incontra la morte o, caso più unico che raro, decide di dimettersi un po’ prima. Poi a cascata i vescovi nominano tutto il resto a scendere, fino ai preti, ai diaconi, alle catechiste e agli insegnanti di religione. Questi ultimi poi devono anche comportarsi in modo conforme, altrimenti possono essere licenziati senza giusta causa, e si ritrovano quindi a dover rispondere anche della propria vita privata solo per mantenere il posto di lavoro. Che però, incredibile a dirsi, non viene pagato dalla chiesa ma dallo stato. Siamo nel medioevo. Il fatto poi che i valdesi votino per i loro rappresentanti aiuta molto a tenere la chiesa vicina al senso della realtà: sono i fedeli a decidere la direzione della loro chiesa attraverso delle elezioni regolari, e non la chiesa a cercare di forzare la mano per imporre ai suoi fedeli il modo di pensare di un gruppo chiuso di vecchi dinosauri.
Le gerarchie sono laiche, ovvero una cosa è essere pastore, una cosa è rappresentare e decidere per la chiesa. Ovviamente un pastore può anche essere eletto ed è facile che sia portato a farlo, ma ad un certo livello della gerarchia i laici non possono scendere sotto una certa percentuale dell’assemblea.
I pastori hanno anche un altro lavoro. Già, non ci sono preti di professione. E fare il pastore quindi non è un lavoro, come non comporta carriere religiose.
Le donne possono fare il pastore (pastoressa? pastora?) al pari degli uomini, senza limitazioni. I maschietti del cattolicesimo hanno paura di non so cosa, e negano ogni forma di carriera ecclesiastica alle donne, che al massimo possono diventare badesse di un convento o caposala in un ospedale, sempre però indossando abiti talebaneschi.
Si impara l’inglese, perché gran parte dell’assemblea è formato da stranieri. Quindi da un lato gli stranieri imparano l’italiano, ma dall’altro gli italiani si beccano un po’ di parti del rito ripetute in inglese, ed un altro po’ solo in inglese. Male non fa di sicuro. Per i cattolici la lingua ufficiale è ancora il latino, figurati se sono pronti a far recitare la messa in inglese.
C’è chi ti tiene i bambini mentre vai al rito. Pensa un po’, una specie di nido aziendale o di Småland dell’Ikea, ma in chiesa. I valdesi sono più avanti pure delle aziende italiane o dello stato stesso, che se sei stato così arrogante da decidere di riprodurti e poi non hai né i genitori a portata di mano né i soldi per mettere il bambino in un nido, sono solo cavoli tuoi. Lasciando il bambino in una sala giochi, seguito ovviamente da una persona qualificata della comunità e non da un prete cattolico, non si costringe un bambino a fare cose che odia e non è in grado di capire, come stare seduto per un’ora su una panca scomoda ad ascoltare un sacerdote che sproloquia di cose un po’ distanti dalla realtà.
Se vuoi, puoi chiedere di tenere un sermone, anche se non sei un pastore. Questa poi è davvero sensazionale.
Non stanno ad incasinarsi troppo sui dogmi, come se avere una madonna vergine fa poi tanto la differenza. Quella dei dogmi l’ho sempre vista come una grossa tara per qualsiasi religione. Neanche a dirlo, l’unico dogma della religione pastafariana è il rifiuto di qualsiasi dogma, come sta scritto qui nella sezione Further. Un conto è che mi si dica di fare qualcosa di poco chiaro sulla fiducia, e se non è proprio una scemata o una terrificante violazione dei diritti degli altri, allora posso anche fare uno sforzo. Ma che mi si venga a dire che se non credo a delle assurdità totali va a finire che non sono un fedele esemplare e che magari verrò anche punito in un secondo momento, allora direi che è meglio lasciar stare. Anche perché voglio ricordare che i fedeli di una religione non sono tutti laureati in teologia, e che ogni dibattito con un qualsiasi ubriacone da bar sul fatto che la madre del loro dio abbia concepito e partorito da vergine, va sempre a cadere nell’ilarità generale del pubblico. Se poi il tipo religioso è permaloso ed è in grado di procurarsi delle armi, succedono anche dei bei casini, e la colpa è sempre tutta di questi dogmi strampalati.
Ci sono tanti motivi per cui per un cattolico di nascita può essere affascinante affacciarsi ad una cerimonia valdese. Poi, lo ripeto, il dio è lo stesso. Solo una versione aggiornata e corretta di quello che già adora. Per dirla in un altro modo: non gli ho chiesto di passare a Linux: è più un aggiornamento gratuito da Windows Millennium a Windows 7.
Ho ottenuto successo? No. Col senno di poi mi viene anche da dire ovviamente. Perché? Perché la mia amica, a cui voglio un mare di bene, vive in una religione che ha costruito tutta la sua fortuna sulla paura, o timore, come lo chiamano loro. Ad iniziare dalla mela di Adamo ed Eva, tutto quello che ne viene è sempre la paura a porsi delle domande, a provare a cambiare qualcosa. Per come la vedo io, sarei contento di avere un dio che mi porge tutto il sapere proibito concentrato in un unico frutto, e ne mangerei ogni giorno, seguendo la regola d’oro dell’ateo umanista:
una mela proibita al giorno toglie il dio molesto di torno
Ogni giorno mi sveglio e decido se voglio affrontare la mia giornata da ateo, da Pastafariano o da seguace di un qualche dio che non ho ancora avuto il tempo di inventare. Ma questo sono io, e così credo siano la gran parte degli atei, degli agnostici e dei liberi pensatori vari che abitano il mio pianeta. Ma questo modo di pensare che per me è tanto naturale, ricco e stimolante, tale non è per la mia amica. Lei, ogni volta che ha un dubbio, invece di sguinzagliare il suo pensiero ha imparato a rinchiuderlo dentro di sé, a cercare la risposta in una qualche frase sentita mille volte da un prete o da un’autorità riconosciuta. In questo contesto, anche solo il proporgli di andare ad assistere al rito di una chiesa protestante diventa un bestialità, qualcosa di assolutamente inconcepibile. Ma perché? Non me lo ha saputo nemmeno dire. Probabilmente non se ne rende conto nemmeno lei, ma per me è ancora la paura. Paura di una punizione divina o di doversi di colpo ricostruire da capo una nuova identità, come se non stiamo mettendo in dubbio il prete, ma dio stesso e tutto quello che siamo.
E che se pure dovessimo provare e poi non ci piace, il gesto sconsiderato vada comunque confessato al proprio prete, con chissà quale imbarazzo: “sono andato a messa dai valdesi, così, per provare a vedere se è bello come dicono…” ma stiamo scherzando? Guai! E se poi ci piace? A questo punto credo che abbiamo talmente paura di cambiare e di quello che potremmo diventare, cioè diversi da quello che siamo, da non ammettere che se cambiamo rimaniamo comunque noi stessi, solo con indosso un abito migliore che ci fa stare più comodi. Siamo pronti a rinunciare a noi stessi, a metterci in gioco? Evidentemente no. Come se dovessi morire per far rinascere un’altra persona nel mio corpo. Una persona valdese, probabilmente più felice e realizzata, ma pure sempre al posto di un me stesso, cattolico mortificato. Detto così sembra una bestialità, ma credo che sia proprio questo, la paura di cambiare, di ammettere di essersi sbagliati, di sbarazzarsi di quel cadavere imbarazzante che siamo diventati per evolverci in qualcosa di migliore.
Mi dispiace, ma non ne vedo altra spiegazione. A parte forse una, ben più pratica: la mia amica di lavoro fa l’insegnante di religione. Probabilmente se avesse deciso di seguire il mio consiglio e avesse poi pure deciso di cambiare parrocchia, avrebbe certamente perso il lavoro. E’ una cosa che capita abbastanza spesso in tutta Italia, da Palermo a Trento, da Fano a Firenze, ma fa parte dei rischi del mestiere quando si sceglie un lavoro come quello, con un datore di lavoro che predica la tolleranza ma che si comporta come un feudatario medievale.
Domenica un milione di omofobi è sceso in piazza a manifestare contro la pericolosa teoria teoria gender. E a ragione, ci sono un bel po’ di cose di cui preoccuparsi:
la teoria gender vuole promuovere l’omosessualità a discapito dell’eterosessualità
la teoria gender vuole sottoporre tutti i bambini dagli asili nido in poi a dimostrazioni pratiche di masturbazione individuale e collettiva
la teoria gender è subdola, e vuole accomunare un po’ di sana omofobia dettata da antichi princìpi morali e religiosi a concetti brutti come il bullismo. Come se un gruppo di maschietti non avesse più il sacrosanto diritto di schernire quel bambino un po’ effeminato che non si comporta come un vero maschietto
la teoria gender è mossa dalla potente lobby italiana dei gay, ovvero quei diabolici sovversivi in tacchi a spillo che anche se da un lato non sono in grado di ottenere nemmeno una cosa elementare come il diritto all’unione civile, dall’altro riescono a muovere una macchinazione perversa che coinvolge nientemeno che l’OMS e diversi ministeri italiani
Forse sto sbagliando ad usare la parola omofobi, che suona così male. Meglio dire difensori dei princìpi della famiglia naturale, che subito li fa passare dalla parte della ragione che è di chi si difende da una oppressione, e non li fa sembrare come gente che vuole negare ad altri i diritti che a loro sono concessi. Chi invece è discriminato diventa un pericoloso cospiratore da cui dobbiamo tutti difenderci.
Tutto questo però non tiene conto di una cosa di per sé anche abbastanza elementare: la teoria gender non esiste. Non esiste una cospirazione dei gay per prendere il controllo del genere umano, per trasformare l’umanità in un immenso gay pride permanente. Non esiste anche solo per il fatto che i gay non sono stupidi come gli omofobi che gli danno addosso, e sanno che se fossimo tutti gay, nessuno farebbe più figli e loro stessi non potrebbero più adottarne. L’umanità intera si estinguerebbe in una generazione sulle note di I will survive.
Quando vedo tutta quella gente riunita in uno stesso posto, mi sento triste per loro, per tutti gli sforzi ci mettono a manifestare contro una cosa che li spaventa veramente, ma che ha assunto i toni delle più note cospirazioni quali le scie comiche e l’uomo falena. Solo che in questo caso non abbiamo a che fare con cospirazionisti professionisti che si nascondono dietro a nickname ad effetto per muoversi esclusivamente in forum e blog a tema. Queste qui sono persone che sono andate fisicamente in piazza a protestare. Non si è mai vista una tale folla di sciachimichisti in piazza. A volte mi viene persino il dubbio che esistano davvero, e che in realtà non siano che dei bot programmati da qualche ente segreto per catturare ed isolare gli stupidi del paese; questa sì che sarebbe una bella cospirazione. I famiglianaturalisti invece esistono, e hanno paura di questa teoria gender di cui ne hanno sentito di tutti i colori al punto da ritrovarsi in piazza per confortarsi l’un l’altro e per manifestare le loro preoccupazioni. Peccato però che la teoria gender ricalchi in tutto e per tutto lo stile della megacospirazione universale:
poche fonti certe. Una è questa, peraltro promossa nientemeno che dall’OMS, e un’altra è il famoso opuscolo dell’UNAR che il Dipartimento della pari opportunità della presidenza del consiglio dei ministri ha fatto preparato per gli insegnanti delle scuole, contestato nientemeno che dai vescovi italiani perché giudicato destrutturante e persecutorio nei confronti della famiglia.
una marea di voci che riportano notizie false o travisate, ma prendendole per certe, seguendo la regola che più volte una menzogna viene pronunciata, più è facile che finisca per diventare una realtà. I due documenti ufficiali citati qui sopra non parlano certo di sedute di masturbazione di gruppo tra bambini, o inviti al cambio periodico del sesso, giusto per fare un esempio. Chiaramente siete invitati a controllare.
Ciò non toglie che queste persone, che magari sono solo un po’ credulone e poco informate, mi facciano pure un po’ pena. D’accordo che non saranno molto pratiche di cospirazioni, che magari non hanno nemmeno Internet per andare a vedere se tutte le sciocchezze che gli vengono dette sulla teoria gender sono vere, o che è gente non molto critica, abituata a bersi sempre tutto di quello che gli viene detto dalle loro sorgenti ufficiali di informazione religiosa. Ma questo non significa che non siano omofobi. E se non sono in grado di usare la loro testa per capire cosa sia veramente giusto o sbagliato e quale sia la differenza tra negare i diritti ad altri e mantenere i propri, allora sono anche persone sciocche e pericolose.
A volte penso a mio figlio, che ha quasi due anni. E’ un maschietto e gli piacciono le ruspe ed i trattori, anche se il suo bel faccino e la sua testa piena di riccioli lo fanno spesso confondere dai passanti per una bambina. Non gli ho imposto io di giocare con le ruspe, negandogli magari il permesso di giocare a vestire e pettinare delle bambole, ma non ha importanza. Se mai un giorno si renderà conto di essere omosessuale, sarei onorato e orgoglioso se non me lo nasconderà, come se fosse una cosa normale ed accettabile, e non qualcosa di peccaminoso o imbarazzante. Avrò motivo di essere triste per questa notizia solo se per allora non saremo ancora riusciti a far riconoscere agli omosessuali gli stessi diritti alla famiglia degli eterosessuali, perché significa che mio figlio ed il suo compagno dovranno ancora lottare per avere un diritto fondamentale riconosciuto dalla stessa unione europea.
Mi chiedo invece cosa dovesse accadere se non è mio figlio a rendersi conto di essere gay, ma quello del tipo che tiene lo striscione in mezzo alla foto in testa a questo articolo. Non credo che avrà molto voglia di dirlo al suo papà, come non credo che suo padre sarà felice di sentirselo dire, o si sia preoccupato troppo di questa terribile eventualità. Magari ha semplicemente confidato che queste cose accadono solo a chi abbassa la guardia con i gay, o magari a chi permette che il proprio bambino giochi al parco con uno che ha già contratto la malattia dell’omosessualità, prendendosi anche lui l’infezione. come i bambini che si sono ritrovati a vivere loro malgrado in una famiglia innaturale (artificiale? artefatta?) che si vedono alla fine di questi filmato: questi bimbi sono chiaramente condannati a diventare gay come i loro genitori e a propagare il virus gender.
Quello che credo poi è che una persona possa diventare omofoba per nascondere un’omosessualità latente. E non sono solo io a crederlo: ne ho trovato conferma qui, ad esempio. Quando sento il solito politico ottuso e nostalgico del bel ventennio andato che sbraita in difesa della famiglia naturale, mi viene subito da pensare a lui come ad un pover’uomo infelice e represso, costretto dalla sua educazione a comportarsi in un modo idiota, arrogante e contro la sua natura, per nascondere una condizione di omosessualità trattata da lui stesso come un mostro imbarazzante che si porta nella pancia con cui non riesce a confrontarsi e da cui non riesce a liberarsi. Un gay latente e omofobo, che facilmente si è trovato a sua volta nell’impossibilità di rivelare la propria condizione a dei genitori chiusi ed oppressivi, finirà per compiere gli stessi errori con i suoi figli. Purtroppo per loro, alzare la voce o striscioni scritti a caratteri cubitali non li proteggerà mai dal pericoloso contagio gay, e non farà altro che mettere a disagio un eventuale figlio omosessuale che si troverà costretto a convivere di nascosto con la sua condizione, alimentando di generazione in generazione una lunga serie di sensi di colpa irrisolti e magari arrivando a convincersi che sia davvero una malattia di cui vergognarsi e da cercare di curare, nel caso di nascosto. Forse è l’occasione di parlare un po’ ai propri figli invece di limitarsi ad indottrinarsi secondo il credo delle proprie paure, e seguire il consiglio di una che fa uno dei mestieri del futuro, l’ideologa del gender.
Che poi, l’omosessualità non è una malattia. Se siete degli scienziati disoccupati o pagati dalla CEI, smettetela di cercare il vaccino. Casomai vedete di trovare una cura contro l’omofobia.
Sbagliare, si sa, è umano, ma perseverare è divino! E così, per la seconda volta ci ritroviamo a fissare sullo schermo di uno strano televisore la trasmissione più interessante ed esclusiva del mondo: la visione in tempo reale delle prime immagini della nostra seconda creatura, nonché prima bambina! Certo, all’occhio del profano potrebbe apparire più come il trailer di Alien V, ma noi siamo contenti, ed il dottore dice che va tutto bene. Certo, lui è più attento alle misurazioni ed è meno emozionato nel sapere se sarà un principino o una fatina, ma alla fine ci chiede se lo vogliamo sapere, noi chiaramente sì, lui ce lo dice e sembra pure contento che siamo contenti. Visto poi che oltre ad essere una bimba è anche in perfetta salute, direi che ci va proprio benissimo.
Quello che ci va un po’ meno bene è che per avere un servizio fondamentale per una futura mamma come è la visita morfologica siamo dovuti ricorrere ad una clinica privata, come se fossimo una giovane coppia di viziosi che si divertono a pagare per avere un servizio che il ministero della salute passa a tutti gratuitamente. La cosa ha assunto pure un tono tragicomico quando abbiamo scoperto che le liste di attesa per le visite morfologiche presso gli enti pubblici sono così lunghe che andrebbero prenotate ancora prima di aver concepito la creatura. Se però si decide di ricorrere ad una clinica privata, allora di posto ce n’è in abbondanza, e possiamo addirittura scegliere il nome del medico. La mia amata decide per lo stesso medico della prima volta, quella gratuita, per una specie di paghi 1 / prendi 2.
Euforici per la trasmissione in tempo reale a cui abbiamo appena assistito, ci rechiamo a saldare il conto con l’austera segretaria della clinica. L’attesa si fa lunga, tra tutte le telefonate e visite improvvise di donne frettolose ed accaldate a cui la cara signora deve far fronte, e che ci passano bellamente davanti. Per passare il tempo in modo ameno inizio a tamburellare nervosamente sul bancone con il bancomat, sforzandomi di non osservare troppo le orripilanti opere d’arte moderna che troneggiano in giro per la stanza, il cui scopo sembra quello di voler mettere a disagio le persone o di indurre le gestanti ad un parto anticipato. Non appena tutti meno che noi sono stati esauditi ecco che torna ad essere in nostro turno, e la signora inizia a dedicarci la sua attenzio. Un po’ chiede ed un po’ scrive nel suo computer. Decide di uscirne con una frase interessante:
– Ma lei è assistita dalla dottoressa De Uteris?
Accidenti, sì! Penso io. E così risponde pure l’assistita. Quindi la segretaria si piega leggermente in avanti da dietro al bancone come a volerci confidare un segreto, e guardando la mia dolce metà le bisbiglia con fare complice:
– Senta, allora le posso fare 100 euro invece di 150, che ne dice?
Beh, grazie! Uno sconto non si rifiuta mai. Va a capire te per che motivo la nostra ginecologa dà diritto a sconti imprevisti in istituti che non sapevamo essere convenzionati. E soprattutto, senza chiederlo! Meglio che andare al cinema con la tessera dell’Ikea.
Definito il prezzo, le porgo il bancomat con cui stavo giocherellando da tempi immemori. Ma questo mio gesto, apparentemente banale, provoca un certo sgomento. La frase allarmata con cui reagisce la segretaria non aggiunge niente al contesto:
– Ah! Pagate col bancomat?
L’ha detto come se volessi pagare con delle perline o con dei buoni pasto. Già, paghiamo con il bancomat. Sarà che non credo di aver la faccia di un portavalori, o di uno che ama passare il tempo a ritirare pezzi di carta da un buco nel muro per poi essere rapinato, per perderli o per lavarli per sbaglio insieme alle mie mutande. A me i soldi arrivano direttamente in banca, belli che tassati. Non ho quindi molta simpatia per tutte quelle categorie sociali poco avvezze al pagamento delle tasse, e che invece hanno interesse a maneggiare questi pezzi di carta ad insaputa dello stato. Sto parlando di:
mafiosi che devono riciclare denaro sporco frutto di attività criminose
politici corrotti che devono farsi pagare per prestazioni illecite ad insaputa dei loro elettori
preti che chiedono offerte ai loro fedeli quando già ricevono fiumi di soldi dallo stato senza il minimo giustificativo
professionisti di ogni genere che storcono il naso di fronte alla richiesta di una fattura, facendo presente che così non verrà fatto lo sconto
Per religione amo definirmi comunque un pirata, e mi rendo conto che questo mio atteggiamento può danneggiare la categoria: è difficile chiedere un versamento tramite il POS al capitano della nave che si è appena abbordata. Ma tant’è: bisogna ammodernarsi, e per il bene di tutti occorre fare un piccolo sforzo, ed iniziare a pagare le tasse. Se poi si è mafiosi, politici o preti, allora forse è anche ora di trovarsi un lavoro onesto.
Il bello del bancomat è proprio che è uno strumento scomodo per le persone brutte. E se si è persone belle è meglio usarlo il più possibile, come fanno nei paesi più civilizzati e meno mafiosi/corrotti/religiosi/evasori del nostro. In questo modo si complica un po’ la vita alle categorie di persone che sono costrette a usare i contanti per scelta professionale. I cento euro che lo studio medico vorrebbe ricevere dalle mie tasche sarebbero scomparsi dalla contabilità dello studio, per finire in un posto lontano dagli sguardi del ministero delle finanze. Giudicando la quantità di persone in sala di attesa, sembra che di soldi ne girano un bel po’, a botte di centinaia di euro, quindi non penso che il nostro dottore si limiti a comprarsi le sigarette o a fare la spesa per ripulire il suo denaro. Deve forse usarne una parte per comprarsi una ventiquattr’ore e metterci delle ulteriori banconote, da consegnare ad un suo amico politico di Comunione e Liberazione? O deve comprarci una terza casa ai Caraibi, per parcheggiarci la sua costosa e esigente moglie? Non posso saperlo. Sicuramente non manderà la sua zelante segretaria a depositarli in banca sul suo conto o su quello dello studio.
Torniamo alla cariatide del nostro studio medico. Appreso che intendo pagare col bancomat, il generoso sconto che avevamo concordato è tacitamente sfumato. Come se lei sa che io so, e che sono un cretino perché mi faccio del male da solo a vantaggio di quell’esoso mostro mangiasoldi che è la comunità italiana, e che quindi non mi merito nessuna spiegazione. In una normale conversazione sarebbe stato carino rendermi partecipe dei motivi per cui non mi è stato negato uno sconto promesso senza limitazioni sul tipo di pagamento. Trattandosi invece di una proposta di truffa mal recepito, si è preferito far finta di non aver mai pronunciato la frase infelice.
Finalmente arriva una ricevuta, e da sotto il bancone compare il POS, nemmeno troppo impolverato. Mi viene in mente una scena simile del film Qualunquemente di Antonio Albanese, ambientata però questa volta nella ricca e onesta provincia di Brescia. Salta fuori che un piccolo sconto c’è stato: non paghiamo più la tariffa piena di 150 euro, ma 140. Forse ha applicato lo sconto simpatia, o forse ha tacitamente comprato il nostro silenzio sull’imbarazzante situazione. Silenzio che io ho deciso di rispettare, non parlandone a nessuno. Mi sono limitato a scriverne in questo articolo.
Il POS fa un po’ le bizze. Forse è un po’ che non viene usato, o forse saranno le continue telefonate a far cadere la linea. Finisce che ci mette un po’ a portare a buon fine la transazione. Non perdo la calma, anche se so che in tasca non ho che pochi spiccioli, non sufficienti a pagare la prestazione ricevuta nemmeno se mi venisse riproposta con lo speciale sconto evasore. Nell’attesa, l’anziana segretaria fa una domanda interessante:
– Ma avete un fondo sanitario aziendale?
Già, abbiamo un fondo sanitario aziendale. Questo un po’ ci fa apparire più normali. Non siamo né degli stupidi né dei paladini del rigore morale. Siamo solo una coppia che sa usare i propri strumenti, e che sa che non ha senso ricorrere ad uno sconto illegale quando può pagare molto di meno ed onestamente. La signora non si è dimostrata una osservatrice particolarmente attenta pochi minuti fa, quando mi ha proposto uno sconto dopo che le ho agitato sotto il naso il bancomat per 20 minuti prima di chiedere di usarlo. Spero si sia fatta un appunto a riguardo. Può farsene un altro adesso: chiedere sempre agli sconosciuti se dispongono di un fondo sanitario prima di proporgli una truffa.
Bene, alla fine sembra che il bancomat dello studio si sia ricordato come si fa, e decide di compiere il suo dovere fino alla fine. La nostra fattura è la 1111, datata 11 maggio 2015. Lo studio è aperto da lunedì a venerdì, dalle 15 alle 19. Questo se qualcuno vuol calcolare il numero medio di fatture all’ora, considerando che nello studio lavorano dieci dottori.
Ce ne andiamo comunque felici per la bella notizia della bimba in arrivo, e ci dimentichiamo in fretta di questa parentesi di Italia. Decidiamo di aspettare qualche minuto e di tenere la gioia solo per noi, prima di iniziare a chiamare parenti e amici. E poi si inizierà a pensare al nome.
Ci vediamo a settembre, Jolanda. E’ un mondo di merda, siamo sicuri che ti piacerà.