Quando i preti e i loro amici parlano di ateismo alla radio

Per quelli di voi che hanno la fortuna di avere un bambino di un anno, potrà capitare di essere già operativi alle sette della domenica mattina. E se magari vi è anche capitato di fare colazione con la radio accesa, potreste aver goduto delle adamantine perle di saggezza di Culto Evangelico, ovvero una delle innumerevoli trasmissioni di indottrinamento cattolico presenti sui canali nazionali.

 

Culto Evangelico

 

La trasmissione è assolutamente insignificante in sè. Quando mi ci imbatto, l’ascolto senza prestare orecchio, se non per farmi ricordare distrattamente di non aver alcun rimpianto per questa bizzarra religione abbandonata anni fa.

 

Il finale della trasmissione però può rivelarsi più interessante con la rubrica parliamone insieme, in cui il conduttore Luca Baratto sceglie un argomento da affrontare per i suoi ascoltatori mattinieri. E questa volta era particolarmente interessante. Si parlava del professore Umberto Veronesi, che con l’uscita del suo libro lascia un estratto su Repubblica che parla delle ragioni del suo ateismo. Tanti si sono lamentati, pochi congratulati. Non so se devo congratularmi o no. Per conto mio mi sembra anche normale che una persona che ha fatto della scienza il suo campo di studi di una vita non creda a superstizioni e leggende popolari quali la religione cattolica. Anche il conduttore ci tiene a dire pure lui la sua, seguendo il rigoroso profilo del giornalista cattolico.

 

Se volete ascoltarlo, lo trovate qui; inizia a 16:40 se volete sentire anche la musichetta, nove secondi dopo senza.  Se invece preferite leggerlo, allora ho fatto lo sforzo pr voi, e l’ho riportato per intero qui sotto.


 

Questa settimana sono stato sollecitato da più parti a leggere l’estratto pubblicato da un quotidiano nazionale dell’ultimo libro di Umberto Veronesi, nel quale il famoso oncologo spiega il suo ateismo con l’impossibilità di coniugare l’esistenza di dio con la presenza del male. Quel male che egli quotidianamente sperimenta nel cancro che consuma gli esseri umani. Mi sono procurato il testo, l’ho letto e alla fine mi è venuto da dire, proprio dal cuore, che bella testimonianza! Perché, è vero, Veronesi dice di non credere in dio. Però se quest’uomo è senza dio, non è senza spiritualità. Una spiritualità laica, in cui l’amore per la scienza va insieme all’amore per l’essere umano, che impegna la vita di una persona a combattere il male. E poi ecco finalmente un ateo che non è eroso dal rancore verso la religione, che non sente la necessità di smascherare ovunque ingenuità e inganni nascosti nella fede di chi crede, ma che presenta una spiritualità positiva capace di lasciarsi coinvolgere in un progetto e in una missione. Nella mia formazione di credente, mi è stato insegnato dalla mia famiglia e dalla mia chiesa che una persona capace di questo slancio è sempre un buon compagno di viaggio, con il quale si può fare ben più di un pezzo di strada. E mi è stato anche insegnato a non stupirmi del fatto che una persona buona possa non credere in dio, perché tante possono essere le ragioni e le esperienze che conducono a questa convinzione. E infatti la ragione addotta da Veronesi è delle più serie. Forse è la più seria: come conciliare l’esistenza di un dio buono con li male? E non un male astratto, ma quello del tumore che consuma sotto gli occhi di familiari, amici e dottori il corpo di un bambino. Ci sono pagine e pagine di riflessioni teologiche, e nessuna ha mai rislto il problema. Come credente, so solo questo: che la vita è contraddittoria, e in essa il senso e il non senso sono intrecciati in modo tale che laddove si sperimenta l’insensatezza maggiore, e il male è insensato, si può anche scoprire uno spazio di senso della propria esistenza, un piccolo spazio di senso sufficiente ad illuminare l’esistenza intera. Così, per me, è la fede in Gesù Cristo. Piccolo frammento di senso nel mezzo di un mondo che testimonia tutto il contrario. Piccolo e tuttavia sufficiente ad illuminare tutta la mia esistenza. In questo come il professor Veronesi presumo, diversi. Ma la fede non è avere le rispote a tutte le domande. La fede è soprattutto camminare. Camminare con Gesù, seguirlo, e camminare anche con gli altri. E oggi, piuttosto che essermi imbattuto in un chirurgo senza dio, mi sembra di aver scoperto un compagno di viaggio. 

 

Perché ci tenevo a parlare di questa trasmissione di cui forse un italiano su diecimila avrà sentito parlare? Perché mi sono sentito chiamato in causa. Io sono uno di quegli atei erosi dal rancore verso la religione, che sentono la necessità di smascherare ovunque ingenuità e inganni nascosti nella fede di chi crede. In più aggiungerei che sono pure uno di quegli atei che è infastidito per tutto lo spazio riservato alla dottrina cattolica sulle reti di servizio pubblico, a fronte di un bel niente per gli atei, che pure non sono pochi. Pazienza per i pastafariani: di sicuro non ne troverai nessuno disposto a parlare alla radio la domenica mattina. Sono uno di quegli atei a cui dà fastidio essere considerati da un servizio pubblico come una anormalità della fede, come una specie di piccola percentuale di pecorelle per cui è statisticamente normale perdere il sentiero del buon pastore, magari per debolezza o deliberata cattiveria; oppure, come nel caso del professor Veronesi, per esperienze forti nella vita a cui sono state date le risposte sbagliate. Sono stanco che questo sia considerato normale. Non lo è. Normale è una radio pubblica al servizio di uno stato laico, in cui si fa informazione, cultura ed intrattenimento, non catechismo su larga scala. Chi ha voglia di prediche e di rosari cambia stazione e mette di Radio Maria o su qualunque stazione trasmetta privatamente quello che la sua religione vuol fargli credere. E sono pure stanco di abitare in una nazione in cui un povero giornalista col paraocchi possa permettersi in virtù di non so quale principio di analizzare e giudicare le scelte della vita di un uomo di scienza, come a porsi al suo pari se non ad un gradino superiore. Non è normale e non mi piace.

 

Che cos’altro mi erode di rancore verso la religione? Forse il solito, banale, trito e ritrito pregiudizio che se uno è ateo è con tutta probabilità una persona cattiva. Ricito:

 

mi è stato anche insegnato a non stupirmi del fatto che una persona buona possa non credere in dio, perché tante possono essere le ragioni e le esperienze che conducono a questa convinzione

Tipo una buona istruzione? La storia insegna che non sono gli atei ad uccidere per religione. Gli atei sono liberi dal controllo della moralità distorta della religione, e sono capaci da soli di capire cosa è giusto o sbagliato, senza la ridicola minaccia di inferno e paradiso. La frase citata dice che Veronesi è si ateo, però è bravo. Ed è solo colpa del fatto che fa l’oncologo che ha perso la fede: un rischio del mestiere in cui difficilmente si imbatte chi fa il giornalista cattolico per la Rai. Per me equivale alle più squallide affermazioni razziste che ho sentito mille e più volte, un po’ da tutte le parti. Tipo:

 

È meridionale, però lavora

 

oppure

 

Viene dall’Europa dell’Est, ma è onesto

E già il fatto di riconoscere delle qualità nascoste ed inaspettate nella persona, fa sentire chi le ha procunciate non come un razzista, ma come una specie di illiminato pensatore. Non è così, e non credo che debba stare qui a spiegarlo.

 

Finché queste cose le sento dire di altre categorie, mi dà fastidio. Ma quando non so come mi ritrovo dentro anch’io in una categoria, quella di quegli sbadati che hanno perso la fede, allora mi sento eroso dal rancore. E posso capire anche il rancore di tutti i meridionali lavoratori e degli est-europei onesti.

 

Il finale del monologo è classico: non ci sono risposte, ma solo domande. L”importante è camminare con Gesù, dietro a Gesù, eccetera. Che bello. Che bella questa vita in cui ci sono anche degli atei spirituali con cui poter parlare, e condividere un pezzo di cammino. Grazie signore grazie grazie. Magari arriverà un giorno in cui alla radio potranno parlare delle persone che hanno qualcosa da dire.

 

Le risposte in realtà ci sono da tempo. La prima è 42, lo sanno tutti ormai. Per chi invece vuole delle cose più concrete sul significato della vita, allora troverà quello che cerca qui.

 

Il senso della vita

I problemi dell’educazione religiosa dei figli per un padre ateo e pastafariano

E’ facile convertirsi al Pastafarianesimo: è una religione che offre tutte le agevolazioni, non è esigente, non richiede la frequenza a noiosi riti nei giorni di festa e non vede nella sofferenza e nel sacrificio un modo di avvicinarsi a dio.

 

Quello che però è meno facile è conciliare tutto questo con l’educazione di un figlio. Probabilmente perché nel frattempo ho conosciuto più a fondo questa religione, ed insieme ad essa anche tante questioni. Argomenti sottili, che arrivano a toccare anche altre religioni, prima fra tutte la negazione stessa della religione, l’ateismo. Tutti questi ragionamenti, spesso guidati dall’illuminazione di qualche birra consumata in compagnia di amici nella mia taverna preferita, non hanno mai fatto vacillare la mia fede nel Pastafarianesimo, anzi l’hanno rafforzata ed integrata di una forte dose di razionalità. Il risultato è che si è complicato l’approccio spensierato ed entusiasta dei primi tempi. Per altre religioni parlare di fede razionale è un controsenso se non addirittura una bestemmia: si sa che nelle religioni un po’ inconsistenti la ragione allontana dalla fede, e quindi il pensiero fine e autonomo viene scoraggiato fortemente. Ma nel Pastafarianesimo si può ragionare: da soli, in una euforica compagnia di amici, con degli sconosciuti rispettosi e non armati. E il ragionamento non può che portare nuovi argomenti a rafforzare questa religione: ecco uno dei punti che più amo e che più dà vento alle vele della mia fede razionale in questa religione.

 

Ma partiamo con ordine. Il Pastafarianesimo è una religione, ed io ne sono un devoto seguace. Secondo il modo di agire comune alle altre religioni, dovrei volere che pure mio figlio lo sia allo stesso modo. Da pastafariano, mi auguro che conduca sul pianeta una vita felice, rispettosa e ricca di soddisfazioni, e che giunto alla fine della stessa si meriti appieno il suo spumeggiante vulcano di birra fresca con annessa la fabbrica di conturbanti spogliarelliste. Ma ho già detto che il pastafarianesimo è una religione particolare, che accoglie a braccia aperte nella sua comunità anche persone che non credono alla lettera nell’esistenza del Flying Spaghetti Monster, ma che semplicemente scelgono di accettarne i consigli di comportamento. Questo rende automaticamente pastafariana qualunque persona del pianeta, a condizione che segua dei precetti morali coerenti con i nostri. Anche a sua insaputa, già. E soprattutto, anche se crede in una divinità concorrente. Il Flying Spaghetti Monster, a differenza di gran parte delle divinità monoteistiche moderne e passate, non è per niente geloso, e non minaccia mai di scatenare la sua collera contro chi crede in altri dei o non crede in lui. Diciamo pure che il Signore del Carboidrato in questo è una divinità controcorrente, perché non si limita a suggerire dei comportamenti, ma è il primo a dare il buon esempio seguendo lui stesso le sue indicazioni di tolleranza e rispetto.

Obama Pirata Pastafarriano
Il presidente degli Stati Uniti è a sua insaputa pastafariano, sebbene frequenti anche una chiesa di una divinità alternativa

Grazie a questo sano principio posso stare tranquillo che se anche mio figlio non abbraccerà mai la fede pastafariana, basta che si comporti in modo moralmente accettabile e avrà comunque diritto a vulcano e spogliarelliste, e quando giungerà il suo momento sarà per lui una piacevolissima sorpresa, ne sono certo. Sarà quindi sufficiente che io lo formi secondo i principi etici in cui credo. Considerando che i principi morali sono innati in ogni essere umano, non dovrò imporgli proprio niente, casomai evitare che qualche altro principio distorto preso da altre religioni non finisca per intrufolarsi.

 

E perché dovrei fare tutto questo? Non potrei semplicemente condurre mio figlio sulla strada del Pastafarianesimo? Ci ho pensato a lungo. E alla fine ho deciso di no. Per tre motivi.

 

Il motivo etico

L’ho appena detto: ogni persona ha da sé tutto quello che gli serve per capire che cosa è giusto o sbagliato, senza che questo gli venga spiegato da un prete in malafede o da un conoscente bigotto e zelante, senza che gli venga fatto credere che in base a come si comporta in questo universo ci saranno terribili punizioni o meravigliosi premi in una ipotetica e trascendentale vita futura. Il mondo, come dice il poeta, è fatto di buoni e cattivi. I primi si comportano bene e i secondi, manco a dirlo, si comportano male. La religione è il sistema più subdolo e raffinato per forzare le persone buone di comportarsi male o semplicemente in modo eticamente distorto, mantenendo però la coscienza pulita. Francamente, non voglio questo per mio figlio. Se mai si comporterà male, voglio che lo faccia per puro spirito di cattiveria volontaria, non certo per attendere ai secondi fini di chissà quale lunatica divinità.

Il motivo della libera scelta

Il secondo motivo è pure più semplice: non ho l’arroganza di pretendere che il mio dio sia quello giusto, e che debba essere io a decidere per mio figlio quale dio dovrà adorare. Non voglio fare l’errore tipico dei genitori religiosi di tutto il mondo che costringono i loro figli a seguire la propria religione, attraverso rituali di iniziazione ancestrali come circoncisioni o immersioni in acqua per perdonare loro dei reati che non hanno nemmeno avuto il tempo di commettere. Molta gente pensa che con questo mio comportamento io stia privando mio figlio di una cosa importante come la fede. In realtà è proprio il contrario: io comportandomi così non gli sto imponendo niente che vada contro la sua volontà, e se un giorno lo vorrà non avrà nessun pregiudizio e potrà scegliere la religione che preferisce. Voglio ricordare che nessun bambino nasce credente, ma che la religione viene in genere infilata nella testa contro la sua volontà in una età in cui la fiducia negli adulti è massima, unita alla totale incapacità di difendersi e di distinguere il vero dal falso. Basta provare a parlare di catechismo ad un figlio solo quando ha compiuto diciott’anni, per vedere cosa dice, e se sarà felice di dover confessare i suoi atti impuri ad un prete. Mio figlio avrà accesso ad una vasta letteratura per l’infanzia e magari, quando lo riterrò il momento adatto, insieme ai più celebri classici per bambini e ragazzi potrò anche fargli conoscere le storie più divertenti e singolari delle divinità del passato. I miti greci, sempre attualissimi nei loro concetti assoluti di esseri umani impavidi e curiosi che si scontrano con divinità imperfette e capricciose; quelli nordici, di respiro più catastrofico e grandioso nella lotta contro una natura avversa. Le favole degli indiani d’America secondo cui discendiamo dalle stelle; quelle dei popoli africani, piene di ancestrali animali parlanti. Ma anche le incredibili bizzarrie degli dei gelosi e truculenti del vicino Oriente, tutt’ora le più apprezzate da miliardi di persone al mondo. Starà a lui capire la differenza tra la letteratura classica e quella di matrice religiosa, e decidere se avrà bisogno credere nell’esistenza di qualcosa di tutto questo per sentirsi a posto con se stesso. Magari sceglierà il poderoso dio col martello Thor, o magari Bacco, generoso dispensatore di bevande alcoliche. Oppure stupirà tutti scegliendo come libro sacro un vero classico della letteratura quale l’Isola del Tesoro ed eleggendo il capitano Flint a dio pirata personale, degno di ogni venerazione. Se poi qualche dio sentirà il bisogno di manifestarsi presso mio figlio per far valere le sue ragioni, sarà libero di farlo. Basta che ci metta la faccia di persona: sono stanco di tutti questi dei che funzionano solo per sentito dire.

Il motivo concreto

Il terzo motivo varrebbe anche da solo, senza gli altri due: la mia amata arriva a condividere i miei sentimenti atei, ma non la mia passione pastafariana. Quindi ho carta bianca sull’ateismo, ma se solo provassi a spiegare ai mio figlio la Sugosa Via dello Spaghetto, vivrei nel terrore che li faccia battezzare di nascosto in chiesa alla prima occasione, giusto per farmi torto.

Di motivi ce ne sono abbastanza. In più ci vedo un ottimo punto di forza: quando un bambino cresce senza che la testa gli venga riempita di storielle religiose fatte passare per vere, maturerà una mentalità più scientifica e razionale. Sarà portato naturalmente a non credere a tutto quello che si dice, alle pseudoscienze, allo spiritismo, alle scie comiche, ai presidenti che si sono fatti da soli e alla lobby dei barbieri (grazie a Lega Nerd per la gustosa segnalazione, starò attento la prossima volta che mi faccio tagliare i capelli). Potrà vivere meglio, in pace con se stesso, senza che debba fare affidamento su interventi divini esterni ogni volta che ne ha bisogno, ma piuttosto contando consciamente sulle proprie capacità e sull’aiuto delle persone che lo circondano e che gli vogliono bene. Senza quell’angoscia generata da un dio onnipotente e guardone che non ha altro da fare che controllare ogni momento quello che pensa, dice o fa, per poi presentare poi il conto alla fine. Non ne avrà bisogno. Credo che nessuno ne abbia bisogno, serve solo il tempo di capirlo, e qualcuno deve pure iniziare.

 

Ma i preti credono in dio?

Forse non è la cosa più elegante parlare troppo spesso delle religioni altrui, ma non è certo colpa nostra: la religione altrui di cui si finisce sempre a discutere appassionatamente è terribilmente invasiva per la sua innata tendenza ad volersi occupare di faccende temporali che non la riguardano. Parlarne un poco va considerato come un tentativo di difesa.

 

E mentre tre amici timorati santificavano il venerdì sera con ingenti quantità di birra artigianale in una taverna del centro, emerge la fatidica domanda:

 

Ma i preti credono in dio

 

Intendendo ovviamente i preti cattolici. Quelli di cui l’Italia è piena, che girano impuniti e riveriti per le strade, che più salgono di grado più prendono la malsana tendenza di tenere comizi ed esprere opinioni personali fuori delle loro chiese e soprattutto su tutti i mezzi di informazione disponibili.

 


Perché i preti non dovrebbero credere in dio? Dicono a tutti che bisogna crederci, e che questo è il primo e fondamentale passo per la salvezza eterna dell’anima, una volta morti. Dovrebbero essere i primi a seguire questo semplice consiglio, e anche ringraziati che ce ne rendono partecipi. Che poi è la solita Scommessa di Pascal: è così semplice credere e costa così poco, che proprio non ha senso non farlo. A sentire loro, ovviamente.

 

Allora perché non dovrebbero crederci? Ma per una serie di piccole osservazioni che molti avranno già fatto. La più banale: basta essere persone di sufficiente istruzione e media cultura per porsi prima o poi una serie di domande sulla vita, l’universo e tutto quanto. Domande che contrastano con tutte quelle cose con cui ci hanno riempito la testa fin da bambini. Tipo che l’unica vera religione è sempre e solo la propria, mentre le altre sono false religioni che inneggiano a divinità inventate, o al massimo sono spiacevoli devianze dalla nostra causate dalla malafede e l’arroganza di individui del passato. Ma quando eravamo piccoli non ci hanno detto che se fossimo nati, che so, in Pakistan, il dio adorato in Italia sarebbe stato dipinto come un falso dio, mentre quello vero era un altro che a noi invece dicono che non va bene? E che quindi sono tanti i posti nel mondo, tra cui il nostro paese, in cui c’è un lavaggio sistematico del cervello messo in atto quando i destinatari non sono ancora in grado di difendersi a causa della tenera età? Non è questa una forma di disonestà che sfrutta l’innocenza dei bambini e la facilità con cui sono portati a prendere per vero tutto quello che gli si racconta? Se non fosse che i genitori che si comportano così, salvo rari casi di gravi traumi cerebrali, hanno subìto lo stesso trattamento quando erano piccoli, sarei portato a dire che è il modo più orribile di tradire la fiducia innata dei propri figli. Tutti i bambini nascono atei. Solo che spesso hanno la sfortuna di dover dipendere per i primi anni della loro vita da parenti più preoccupati di loro ipotetica vita futura che della loro salute mentale in quella presente.

 

Insomma, i preti sono del mestiere, e sono tutte persone che hanno studiato. Si renderanno sicuramente conto di queste cose, e se non ci sono arrivati da soli sono certo che qualcuno dei loro colleghi gli avrà accennato che il dio che predicano altro non è che una illusione di massa imposta dalle generazioni passate alle generazioni presenti in una fase della loro vita in cui la loro mente è particolarmente indifesa, il tutto con il tacito assenso di perpetuare quest’opera di indottrinamento forzato alle generazioni future.

 

Quindi l’unico motivo per cui la stragrande maggioranza dei cattolici è cattolica è che è nata da genitori cattolici in un paese cattolico. All’occhio di chi è cresciuto nel cattolicesimo può apparire irrispettoso e poco dignitoso il cornuto guerriero vichingo intento a violentare giovani vergini britanniche per onorare il dio del tuono, quanto un aruspice etrusco preso a sgozzare un bue in olocausto per leggere il futuro dal suo fegato caldo. Anche loro però potrebbero provare disgusto dall’abitudine del dio cristiano di prendere posto in tanti pezzettini di pane per farsi quindi divorare dai suoi fedeli ad ogni cerimonia religiosa. E se ancora vogliamo credere che un dio per essere tale debba esistere, allora per correttezza dovremmo pensare che esistano anche quelli degli altri. Vogliamo credere che ci siano tanti dei che combattono tra di loro ad un risiko della religione per ottenere più fedeli nelle proprie schiere? Forse è più facile pensare che in realtà un dio basti e avanzi, e che magari per motivi suoi si è manifestato in tanti modi differenti, dai più pittoreschi a base di terremoti, fulmini, statue piangenti e cespugli ardenti, a quelli più delicati come sogni particolarmente toccanti, macchie di muffa sulle pareti di casa o bruciature del pane tostato.

Una apparizione da tostapane del Flying Spaghetti Monster (a destra) e una di Gesù, il dio dei cristiani (a sinistra)

 

Io sono nato in Italia, il più classico dei contesti cattolici, per giunta onorato di essere l’unico stato confinante con la capitale religiosa del cattolicesimo: un privilegio ineguagliato. Ho frequentato ore su ore di religione e catechismo, più gli scout, pure cattolici, per una decina di anni. Sarei potuto diventare presidente del consiglio, ma invece sono arrivato un po’ alla volta a capire che le cose non dovevano andare così. Ho quindi intrapreso la normale trafila di abbandono totale di questa fede:

  1. critica alle gerarchie
  2. non frequentazione
  3. agnosticismo
  4. ateismo
  5. apostasia
  6. Pastafarianesimo

Per correttezza, devo dire che a parte le prime due fasi, i tempi della altre non sono così netti nel tempo, ma rimangono un po’ accavallati. Non è rilevante. Dicevo, ho ricevuto una forte educazione cattolica, ma nessuno strumento specifico per farla a pezzi. Ma ci sono arrivato lo stesso. Come me, ognuno per conto suo, la stragrande maggioranza dei miei amici. Tranne uno, molto devoto e a cui vogliamo molto bene, che anche se non glielo abbiamo mai chiesto prega costantemente per la salvezza delle nostre anime. Tutti i miei amici, lui compreso, abbiamo sostanzialmente ricevuto la stessa educazione scolastica, sociale e religiosa. Se penso ai preti, non vedo come delle persone che ancora più di noi hanno ricevuto una istruzione classica e specifica non possano aver messo in dubbio tutto il baraccone della loro fede.

 

Ma qui mi viene un dubbio: che istruzione specifica ricevono le gerarchie della chiesa? Hanno ricevuto un’istruzione appena sufficiente a dettare il dogma alle placide schiere dei loro fedeli creduloni, o invece si è andati più sul critico e profondo? Perché se così è, non posso accettare che una persona che ha affrontato la teologia in modo razionale possa credere nella pura ed esclusiva esistenza del proprio dio a scapito degli altri pari livello, o negare il funzionamento per pura eredità culturale della religione. E non mi vengano a dire che in fondo in fondo si crede negli insegnamenti del nuovo testamento, perché è ormai dimostrato da infinite circostanze che l’essere umano ha un senso etico innato che gli permette da solo di distinguere cosa è giusto o sbagliato, e che la religione non solo non lo migliora, ma anzi lo annebbia con sciocchezze senza senso che lo hanno portato a compiere in buona fede i più grandi orrori della storia dell’umanità.

 

Quindi o i preti sono solo dei poveri ignoranti a cui è stato fatto un ulteriore lavaggio del cervello da adulti dopo quello dell’infanzia, e si limitano a ripetere ad ogni messa lezioni su lezioni di vuote chiacchiere sospese tra una morale spiccia e la filosofia, oppure c’è sotto qualcos’altro, che io chiamo malafede. Magari da giovani si inizia a frequentare il seminario anche con un certo entusiasmo. Dopo qualche studio più approfondito ci si accorge che quel dio specifico in cui si credeva con tanto ingenuo ardore negli anni della spensierata fanciullezza si sgretola progressivamente, lasciando qualcosa come un forse-dio in coesistenza con tutti gli altri forse-dei che l’umanità ha creato nel corso della sua esistenza. La pigrizia tipicamente umana però mette l’uomo-prete di fronte ad un bivio: rinunciare a tutto e rifarsi da capo una vita da laico e miscredente, o chiudere un occhio sui propri princìpi morali e tenersi il lavoro sicuro nella chiesa, con tanto di agevolazioni fiscali, privilegi, protezione dalla legge e tutto il resto? Credo che pochi cambino strada seguendo la propria onestà morale. E’ molto più facile far finta di niente ed andare avanti: si è in buona compagnia, non sarà difficile.

Considerazioni del profeta su un fratello pirata in carcere

Due giorni fa è uscito un articolo del profeta sul sito ufficiale. Questo qui, se non lo avete ancora letto.

 

Per chi di voi non è pratico di inglese o non ha voglia di spendere quei cinque minuti per andare a vederlo, lo riassumo brevemente: un fratello pirata pastafariano è ospite suo malgrado di una prigione americana per reati non ben specificati, e gli viene negata la possibilità di esercitare la sua religione. In particolare di indossare i paramenti religiosi pirateschi e di praticare il culto del venerdì sera bevendo birra all’osteria in compagnia di fratelli correligiosi. In più chiede dei danni, nella misura di 5 milioni di dollari, per profonda sofferenza spirituale, emotiva e psicologica derivante proprio dalla negazione del permesso di esercitare la sua religione.

 

Il profeta è ovviamente scettico di chi chiede soldi in questo modo. E 5 milioni di dollari è una cifra forse un po’ sovradimensionata. Non so quale sia la quotazione delle sofferenze emotive negli Stati Uniti, ma il profeta la pensa come me. In più ritiene che buttare tutto sui soldi rovini un poco il caso, perché fa passare il detenuto per un profittatore invece che per una vittima religiosa.

 

Ciò non toglie, prosegue il profeta, che i motivi che hanno spinto le autorità a negare questi permessi si fondano su falsi dati, ovvero sul fatto che lo stesso Bobby Henderson avrebbe affermato che il Pastafarianesimo è una parodia di religione. E qui giustamente il profeta coglie l’occasione per fare un chiarimento: lui non ritiene che il Pastafarianesimo sia una parodia di religione e non ha mai affermato che lo sia, definendo molto bene quello che a mio avviso è uno dei veri capisaldi del pensiero pastafariano:

 

Quello che dico, qualche volta, è che c’è un buon numero di Pastafariani che non crede alla lettera nell’esistenza del Flying Spaghetti Monster o nella nostra storia della Creazione. E questo va bene: è cosa comune anche nelle religioni principali che qualcuno sia scettico nelle scritture. La differenza è che con il Pastafarianesimo, la nostra cultura è più aperta ad accettare persone più propense allo scetticismo, mentre nelle religioni principali il dubbio è visto come un affronto alla verità dei dogmi.

 

Il punto è che in generale ci sono dubbiosi in ogni religione, semplicemente perché tutte le scritture sono piene di cose senza senso. Nessuno direbbe mai che il Cristianesimo è una parodia solo perché qualcuno dei suoi membri non si beve la storia del mondo creato in sette giorni, del serpente parlante eccetera.

 

La religione è più di un insieme di credenze e rituali, è un modo di formare una comunità, e la trama che dà un senso al nostro ruolo nell’universo. E riguardo a questo, penso che che gli ufficiali carcerari hanno fatto un torto a Cavanaugh non permettendogli di praticare la sua fede. Voglio dire, Non chiedeva poi così tanto. Voleva solo comprarsi un costume da pirata con i suoi soldi e uscire con altri pastafariani una volta alla settimana.

 

Non voglio negare che io stesso a volte ho un po’ di problemi a conciliare il mio pensiero profondamente ateo con il mio cuore pastafariano. Credo che però la spiegazione di Bobby abbia veramente colto nel segno: non occorre credere in dio alla lettera, sia pure questo Sua Spaghettosità il Flying Spaghetti Monster, ma può anche bastare il voler aderire ad una comunità religiosa ben definita dalla comunione di intenti e di valori che la lega. E in questo mi sento profondamente Pastafariano, sono fiero di potermi definire fratello di tutti i pirati e le piratesse del mondo che ne fanno parte. E magari un venerdì potrò anche offrire una birra ad un fratello che ha avuto la sfortuna di inciampare nella giustizia. Purtroppo, ricordiamolo, molte forme di pirateria sono tutt’ora illegali in molti stati, tra cui l’Italia.

 

 

Ah, dimenticavo due cose. La prima è una nota per le autorità della prigione del Nebraska: chi definisce il Pastafarianesimo come una religione parodistica è la Wikipedia, che non è un organo ufficiale di divulgazione della fede pastafariana. La seconda è che la foto dei pirati in prigione col cane l’ho presa qui, e credo che venga dal set dei Pirati dei Caraibi di un qualche parco Disney. Probabilmente quello che ha ispirato i film con Jack Sparrow. Cercavo una foto del pirata incarcerato nei Corsari di Gardaland, per fare un po’ il provinciale, ma ho trovato solo questo video, terrificante in tutti i sensi. Vedrò di rimediare di persona alla prossima visita al mio parco giochi preferito.

Rinnovamento sì, rinnovamento no, rinnovamento do

Alcune settimane fa, un gran numero di anziani vestiti ed ingioiellati come ricche matrone dell’alta borghesia si sono incontrati dal loro superiore biancovestito in un grosso stanzone affrescato, in un palazzo di uno stato che confina solo con l’Italia. Il motivo dell’incontro straordinario era decidere se, come e quanto modernizzare la religione a cui loro fanno capo in intercessione del loro dio, che è assente ormai da millenni e non può farlo personalmente. A dispetto dell’aspetto lugubre ed un po’ imbarazzante dei citati personaggi, nel mondo ci sono moltissime persone che dipendono da questi e che non aspettano altro che sapere cosa viene detto e deciso in questi luoghi, per riformulare di conseguenza il rapporto intimo con il loro dio e quello spero meno intimo con il loro prete.

Luminari religiosi giungono da ogni dove

 

E qui iniziano i problemi. Pare infatti che questo genere di riunioni non sia aperto alla stampa come ci si aspetta per una conferenza di tale importanza e risonanza. O meglio: gli anziani si ritrovano di per conto loro, e probabilmente parlano tutto il giorno dei loro fatti. Ma solo alla fine dell’estenuante giornata c’è un delegato religioso degli stessi che ha il compito di riferire gli eventi occorsi alla corte di giornalisti assiepati al portone da ore, e questi rapidi riportano le preziose testimonianze di seconda mano ad uso del loro avido pubblico di lettori.


 

Che tipo di testimonianza ne fa il delegato religioso? Non possiamo lamentarci: quello che esce dalle sue parole non è uno sterile bollettino, ma un pittoresco racconto degli eventi, con tanto di osservazioni e considerazioni personali su argomenti, fatti e persone coinvolte. L’argomento principe, neanche a dirlo, è il rinnovamento della chiesa. Già, perché molta gente accusa questa chiesa di essere poco moderna. Come se per qualcuno non basta un papa molto buono e simpatico a modernizzarla automaticamente dall’alto medioevo in cui sembra rimasta. Insomma, capita che qualcuno voglia dei fatti concreti. E fatti sono stati. Uno su tutti: in questo grosso ed importante incontro non si è parlato in latino, ma in italiano. E ditemi se è poco. Un balzo in avanti di minimo un millennio: siamo passati dalla lingua di Costantino del 300 dopo Cristo al fiorentino di Dante Alighieri. Per il francese del Regno di Sardegna o l’inglese dell’Unione Europea dovremo ancora aspettare, ma diamo tempo a questi augusti vegliardi e vedrete che prima o poi ci arriveranno anche loro.

 

Poi: di cosa si è parlato? Ma di cose moderne! Per esempio se sia il caso o meno che dei divorziati possano fare la comunione nelle loro chiese. Che poi dico: i preti hanno forse nelle loro sagrestie un elenco di tutti i divorziati con foto segnaletica che viene ripassato prima di ogni messa, di modo da essere pronti ad impedire la comunione ai trasgressori? O a questo ci pensano le pie donne di supporto alla parrocchia, appostate come cecchini nei punti elevati dell’edificio, pronte ad interrompere la cerimonia in caso di infrazione? Pare che non ce ne sarà più bisogno: con un gran moto di modernità, forse verrà restituita la possibilità di comunicare con il divino agli sciagurati sfasciafamiglie, se questi si dimostreranno degni del perdono attraverso un corso di recupero. Un po’ come quello che si fa a quelli che hanno perso tutti i punti della patente. La differenza che con questo la patente viene restituita, mentre ai divorziati, fortuna loro, non verrà restituito il matrimonio, ma solo il diritto a fare la comunione. Dio sarà sicuramente d’accordo. D’altra parte è un po’ che non si fa sentire, ed è lui che ha deciso di fidarsi di questi personaggi, quindi non può certo lamentarsi.

 

Ma non hanno parlato solo i questo. Per esempio hanno parlato degli omosessuali. Argomento quanto mai attuale, visto che queste persone, nonostante l’ostilità della natura nei loro confronti, si ostinino a non estinguersi. Sempre più spesso chiedono, ma pensa un po’, di godere degli stessi diritti di cui godono le altre persone, gli eterosessuali. La questione è delicata: gli omosessuali vogliono sposarsi, o che perlomeno la società riconosca il loro stato civile di coppia. Per molti eterosessuali questo non va bene, perché secondo loro i diritti non sono estendibili: se riconosci il permesso a due persone dello stesso sesso di amarsi e di essere riconosciute come coppia, pensano che automaticamente neghi il permesso di fare la stessa cosa a quelli di sesso diverso. Quando delle pie persone fanno una fiaccolata contro le unioni omosessuali, non la chiamano fiaccolata contro le unioni omosessuali, ma fiaccolata a favore della famiglia tradizionale. Questo è un atteggiamento sbagliato. Ricordiamo che le famiglie non tradizionali hanno bisogno delle famiglie tradizionali, perché anche quando la società civile avrà riconosciuto loro tutti i diritti possibili ed immaginabili, anche allora dovranno rivolgersi ad altri per potere avere dei bambini. Ed in generale se avranno la fortuna di potere adottare un bambino, ci sono buone possibilità che questo bambino arrivi da una famiglia tradizionale in cui qualcosa non è andato come si aspettava, non da un’altra famiglia non tradizionale in cui a causa di problemi causati dall’eccesso o dal difetto di figure paterne o materne qualcosa è andato storto, e viene quindi fatto un reso al fornitore.

 

Insomma, si è parlato anche di questo al grosso incontro degli anziani religiosi. Pare ci siano state anche delle correnti contrapposte, diversi schieramenti a favore dell’una o dell’altra veduta, riporta il portavoce clericale. Dopo giorni di accese discussioni, dimostrazione di un grande interesse nelle questioni proposte, è uscita la risposta al problema: no. Non se ne parla. Dicono i presenti, ormai a piede libero dopo lo scioglimento della conferenza: non possiamo accettare che una coppia omosessuale sia unita dal sacro vincolo del matrimonio, che è fortemente votato alla natura intrinseca dell’unione di un uomo con una donna. Che poi, dico: probabilmente del riconoscimento da parte di dio del loro matrimonio alle coppie omosessuali interessa ben poco, a loro interessa che i loro diritti vengano riconosciuti dalla società civile al pari dei diritti delle coppie eterosessuali. Comunque il fatto è veramente straordinario: è sorprendente come la chiesa faccia appello ad un principio naturale, quello elementare secondo cui da due esseri umani dello stesso sesso non può essere generata nuova vita. Questo detto dalla stessa chiesa, che con la natura e la biologia ha molto poco a che fare. La stessa chiesa che crede nei miracoli, che altro non sono che delle interruzioni temporanee delle leggi della fisica, o che ci ha messo alcuni secoli a scusarsi del trattamento che ha riservato a Galileo Galilei, reo di aver osservato il mondo per capire da solo come funziona. La stessa chiesa che solo di recente ha fatto delle deboli aperture alle teorie scientifiche del Big Bang accostandole in pari dignità alla favola di Adamo, Eva e del serpente parlante, o che ritiene che sia possibile parlare con i morti o con degli esseri extradimensionali. La stessa chiesa che crede che il mondo sia diviso tra buoni e cattivi, e che per i primi verrà un giorno in cui dovranno tutti, vivi o morti che siano, salire in un luogo metafisico, portando però con sé il corpo materiale di cui, se morti, si erano privati. Voglio proprio vedere come e con che piacere lo faranno quelli morti da un po’ di tempo. Questa chiesa, per cui queste e molte altre cose non la pongono certo come la più attenta sostenitrice della scienza, si ritrova a fare appello alla biologia, per spiegarci come due uomini, per quanto si ostinino a provarci, non potranno mai avere dei bambini in modo naturale. Sono sicuro però che i diretti interessati già lo sapessero, anche senza che glielo dicesse il vescovo.

 

Quindi, se i nobili vegliardi riuniti hanno negato la possibilità che la chiesa riconosca la coppia omosessuale, forse implicitamente ne stanno passando l’incarico alle autorità civili dello stato italiano. Che già da tempo avrebbe dovuto accettare tale unione, visto che così ha deciso l’Unione Europea, di cui l’Italia fa parte, anche a dispetto del pensiero delle autorità religiose, a cui l’Italia non è formalmente assoggettata. E magari finalmente si potranno evitare quelle barzellette per cui il ministro del servilismo clericale ordina ai suoi sgherri delle prefetture di annullare dei documenti dei sindaci attestanti unioni omosessuali contratte all’estero. Ormai non fanno più tanto ridere, soprattutto a chi è coinvolto direttamente.

 

Adesso che ormai il clamore dell’evento eccezionale si è spento, volevo analizzare la cosa senza quella forte emozione che può prenderci di fronte ad un fatto così straordinariamente epocale. Per fare questo, ho deciso di scegliere dei campioni di persone a rappresentanza del popolo italiano, per capire come le decisioni prese durante la conferenza religiosa cambieranno profondamente le loro vite.

 

Ho scelto:

  1. il buon credente
  2. il medio credente mal frequentante
  3. il miscredente, o ateo, o pastafariano di turno che non si riconosce nella citata chiesa

 

1, Il buon credente

Conosco un po’ di buoni credenti. Persone che per essere tali vengono istruiti dai preti di riferimento sulle idee che devono avere riguardo ad ogni questione morale, anche che non riguardi direttamente dio o la chiesa. Sono persone straordinarie, perché classificano ogni prova lampante contro la loro credenza come una prova a cui il loro dio li sottopone per testare la loro fede. Quando si parla del male del mondo e di come il loro dio di amore non si comporta così bene come dice di essere, allora in questo caso ci si appella al famigerato inquilino del piano di sotto, soggetto poco raccomandabile, zoccoluto e sulfureo, sempre pronto a tentarci con false promesse e piaceri terreni.

 

Il buon credente per essere tale deve essere disinformato. Perché si sa che i giornali e tutti i mezzi di comunicazione che non dipendono direttamente dalla loro chiesa sono un covo di giornalisti atei o assoggettati al demonio, che si divertono a pubblicare in mala fede ogni sorta di notizia falsa o tendenziosa, ed il rischio che ci distolgano dalla vera fede è dietro l’angolo. Quindi se il buon credente sa che c’è stato il sinodo è perché glielo ha detto il loro prete, ma sicuramente non è andato a vedere in Internet o sul giornale che cosa è emerso. Meglio non correre rischi inutili. Avranno delle idee a riguardo quando il loro prete giudicherà giusto dargliele, o quando verrà scritto qualcosa sulla rivista o sul giornale autorizzato, sempre che giudichi il suo mite pubblico abbastanza preparato per questi argomenti un po’ forti.

 

Cosa succederà allora quando anche il buon credente accederà a queste informazioni? Magari cambierà un po’ l’idea sulle coppie omosessuali, se questa sarà la volontà dei suoi superiori. Ho avuto più discussioni allucinanti riguardo a queste cose con dei buoni credenti, ma non ne ho mai concluso niente: in me non è risbocciata alcuna fede nel loro dio, e nonostante prove a piene mani non sono riuscito a smuovere di un centimetro la loro fede. Perché se un buon pastafariano vuole combattere con le armi della ragione o della morale umana, di là sentirà di risposta sempre e solo la stessa musica:

  • sta scritto così nel nostro vecchio libro in cui le cose che ci fanno comodo vanno prese alla lettera, mentre altre o sono episodi che vanno contestualizzati storicamente, oppure metafore da interpretare
  • bisogna credere per fede
  • io con dio di parlo e lui mi risponde
  • è tutta colpa del diavolo

Niente da dire: chi ha creato tutto questo è stato proprio bravo.

 

Ma sono convinto che anche il buon credente abbia una parte della testa in cui i preti non entrano. Per esempio, dubito fortemente che la castità prematrimoniale richiesta dalla chiesa venga rispettata alla lettera, così come l’accoppiamento a fini puramente riproduttivi del dopo matrimonio. Perché va bene tutto, ma ci sono due cose importanti di cui tenere conto:

  1.  come dice il profeta di noi pastafariani, se dio non voleva che si facesse l’amore, allora non lo rendeva così piacevole. Ed è una delle poche cose veramente divertenti, che fanno bene al fisico e alla mente, gratuite (non sempre) e legali (anche qui non sempre). Se io fossi ministro della salute o qualcosa del genere, cercherei di fare dei programmi governativi per incentivare il più possibile la pratica sessuale, non di ostacolarla. I benefici per la nazione sarebbero numerosissimi.
  2. possono dirci quello che vogliono, ma la vita è una cosa, mentre quello che rimane nel preservativo è solo del liquido appiccicaticcio. Se tutti gli spermatozoi presenti si erano illusi di diventare miei figlio, allora mi spiace deluderli, perché anche se il amerei tutto allo stesso modo in cui amo l’unico che fino adesso ce l’ha fatta, non potrei permettermi di mantenerli tutti. E lo stato italiano fallirebbe se dovesse darmi 80 euro al mese per ognuno di loro.

Guardando la gente che entra a messa la domenica, non mi sembra che le famiglie abbiano poi tutti questi figli come cent’anni fa. Quindi credo proprio che anche per il buon credente valga la regola che i preti e le loro belle idee debbano rimanere fuori della camera da letto.

 

2, Il medio credente mal frequentante

Qui dentro io ci metto tutto quel gruppo di persone che non hanno dichiarato guerra alla religione mainstream, ma se non altro hanno deciso di pensare con la loro testa. E di passare la domenica mattina in un modo utile o semplicemente piacevole.

 

Cosa ne pensa una di queste persone di quanto hanno deciso i sommi vertici della chiesa anche ancora lo rappresenta? Credo proprio niente. Gli interesserà quanto interessa a me di sentire la telecronaca entusiasta di una partita di calcio di serie B alla radio mentre faccio la doccia: è un disturbo di fondo, ma non così fastidioso da costringermi a cambiare stazione per poi doverla ricercare il giorno dopo.

 

Credo che il medio credente mal frequentante se va a messa ogni tanto lo fa per motivi che non capisce bene nemmeno lui stesso. Probabilmente per proteggersi più o meno consciamente le terga secondo il principio ben definito dalla Scommessa di Pascal. Magari si aspetta, una volta morto, di scoprire se ha azzeccato il dio giusto, e di quindi di patteggiare una pena non troppo pesante conformemente ad un impegno in vita trascurato, ma comunque presente. In definitiva, non è una persona molto attenta a quello che accade agli alti vertici della sua religione. Credo che della citata conferenza gliene importi ben poco.

 

3, Il miscredente, o ateo, o pastafariano di turno che non si riconosce nella citata chiesa

La mia categoria preferita. E delle tre è sicuramente l’unica che è profondamente interessata a quanto accade tra gli anziani capi della chiesa imperante in Italia. Per vari motivi, qui elencati:

  1. Con l’esperienza del tempo, ho notato che ogni volta che questa chiesa impone dall’alto un precetto di cui non si capisce bene il motivo, questo va contro la morale elementare dell’umanità, e nel dubbio lo prendo come indicazione per fare esattamente il contrario.
  2. In Italia gli atei, i razionalisti, i liberi pensatori, gli umanisti, gli agnostici, i pastafariani e tutti gli altri appartenenti alla mia categoria numero 3 sono quelli che sanno bene come lo stato italiano è tenuto in ostaggio da un gruppo di ottusi politici microcefali il cui primo scopo è quello di compiacere ciecamente la chiesa. Troppo spesso quindi se vogliamo che i diritti di molte categorie deboli in Italia vengano rispettati, purtroppo dobbiamo passare da questi ridicoli concili religiosi, e possibilmente aspettare in grazia che queste persone la cui mentalità è ferma all’età della pietra un po’ alla volta capiscano che per ogni piccolo  e sbandierato passo di rinnovamento che fanno loro verso un modo di pensare semplicemente più normale, il resto dell’umanità ne fa quarantadue. E ne farebbe anche di più, se non fosse che ogni tanto si ferma per guardarsi indietro a farsi due risate a vedere quanto si prendono sul serio questi vecchi rimbambiti, per poi piangere a pensare a quanta gente ancora li sta ad ascoltare.

 

In conclusione

Dalla mia analisi risulta che delle conferenze dei vescovi le uniche persone a cui interessa qualcosa siano quelle della categoria 3, ovvero quelle a cui dovrebbe interessare meno e che apertamente sono i più ostili. E allora la domanda è:

 

– perché la stampa italiana si è sentita in dovere di sprecare pagine su pagine e ore di trasmissioni su questo argomento, ed i politici di commentare ogni voce?

 

Proprio non lo so. Questi prelati potevano trovarsi senza dire niente a nessuno. Magari in un posto meno vistoso che a Roma. Oppure fare una videoconferenza, che risparmiavano pure qualche soldo, con il costo degli alloggi a Roma e la tassa del turista. Se poi volevano una soluzione a costo zero, potevano anche fare tutto in un forum in Internet: nessuno spostamento, tutto ben documentato, tolleranza ai fusi orari, possibilità di traduzione al volo. Oppure non trovarsi del tutto che facevano prima: che cosa pensavano di combinare? Come se ad un gruppo di vecchi preti basta mettersi a discutere tra loro per cambiare tutti idea sulle nozze gay. Come se i politici italiani si mettessero a fare delle leggi nell’interesse della nazione. E’ più facile che se mai nel mucchio fumante di persone riunite ce n’era uno quel poco più liberale da pensarla già in modo normale, si sarà depresso e quindi arreso alla volontà della mandria. E forse il senso era proprio questo, alla fine.

 

E forse il senso di tutto era ancora lì: far vedere che l’umanità può anche cambiare per conto suo, seguendo logiche dettate dall’etica libera da religione del pensiero umano. Ma questa gente, finché ci sarà una massa di pecore credulone che gli va dietro ciecamente e molti miliardi di euro ad aiutarli, continuerà ad insistere con gli strumenti più potenti del controllo umano: l’ignoranza e la superstizione. E finché potrà darà spettacolo con queste baracconate, ridicole dimostrazioni di potenza per un pubblico di poche pretese. Ed insieme a loro tutti gli altri capi religiosi, sempre pronti a spiegare alle loro masse quello che devono dire, fare e pensare, ma mai troppo propensi ad applicare i loro concetti su loro stessi. Siamo lontani dall’atteggiamento illuminato del Pastafarianesimo, dove nessun dogma è imposto dall’alto e dove, da ateo pastafariano che sono mi sento di dirlo, il credere nell’esistenza stessa del proprio dio non è cosa strettamente necessaria per reputarsi dei degni fedeli.

 

Così sia. La chiesa si rinnova, ancora. E lentamente traccia un sentiero per le sue pecorelle che la gente che sa pensare con la sua testa ha percorso da anni, senza aspettare che gli venga indicato da qualcun’altro.

 

Fratelli, cantiamo insieme.

Breve storia di un sorpasso

Questa mattina ho caricato il mio giovane pirata di un anno in automobile per dirigermi verso il luogo di mercato, con lo scopo concordato con la mia amata di riapprovvigionare la cambusa dopo una vacanziera settimana di mare.

 

La giornata è conciliante, il sole scalda come sa fare e sono quasi tentato di mettere Radio Classica a tutto volume sull’autoradio, giusto nella vaga speranza di passare sotto casa e di svegliare uno di quegli idioti che facilmente stanno ancora dormendo visto che passano la notte ad ascoltare i loro rumori fortemente ritmici in automobile passando sotto le finestre di casa mia.

 

Ad un certo punto una piccola vettura davanti a me rallenta, tenendosi verso il centro della carreggiata. Vaghi ricordi mi portano alla memoria anche una accenno di frecce lampeggianti un po’ a destra ed un po’ a sinistra, ma sono già concentrato a portare rancore e risentimento ad un automobilista così poco attento al comportamento per strada. Osservo stizzito il tachimetro: accidenti, ha rallentato fino a scendere a venti chilometri all’ora! Si merita tutto il mio biasimo.

 

Rapido però subentra la mia etica di buon pirata pastafariano: insulti e gestacci aiuterebbero me o il cattivo automobilista qui davanti sul sentiero della felicità? Ho così fretta da considerare vitale ogni secondo in più trascorso sulla strada? Insomma, mi farebbe sentire meglio il pormi con spavalda superiorità ad impartire lezioni di codice della strada allo sciagurato automobilista? Mi astengo quindi da ogni manifestazione, chiudendomi in un ermetico nirvana stradale.

 

Nel frattempo la vettura rallenta ulteriormente fino a fermarsi, ovviamente senza accostare e senza mettere la freccia. Ho il tempo di notare chi la guida: un signore molto anziano, senza cappello ma chiaramente da tempo non nel pieno delle forze. Dalla portiera destra scende a fatica la probabile compagna di una vita: una signora che dopo essersi affidata al bastone tenta a più riprese di chiudere la portiera. Due anime nobili che sicuramente non vivono con serenità l’uso della loro piccola automobile, e che facilmente se prendono la macchina è solo perché costrette dalle circostanze della vita, magari perché fanno sempre più fatica a camminare per lunghi tratti, o perché non tutto quello di cui hanno bisogno si trova sotto casa loro. Probabilmente guidano pure con un certo timore ed imbarazzo, perché si renderanno entrambi conto di avere sempre più difficoltà ad affrontare la strada.

 

Un po’ mi sono sentito in colpa anche solo ad aver pensato male di queste persone. Quando sono dentro ad una automobile un po’ tendo a pensare di ogni altra macchina come alla personificazione di un mio misterioso nemico, un automobilista indefinito e malvagio il cui unico scopo è intralciare il mio viaggio con la sua arrogante e spudorata stupidità. Soprattutto se l’automobile è molto più potente e costosa della mia. Non è un sentimento di cui vado fiero, perché quando il mio sguardo d’odio riesce a vedere attraverso i due finestrini che ci separano, di là c’è sempre una persona normale al volante, con i suoi problemi e le sue questioni. Io stesso sono reduce da una settimana di turismo; colgo quindi l’occasione per scusarmi con tutti i comuni della maremma toscana per i continui intralci che ho dato ai suoi anziani guidatori di ape con la mia guida brusca ed incerta, nell’affrontare i tornanti con scandalosa lentezza, o cercando ossessivamente un parcheggio dove si sa che è impossibile trovarne.

 

Tornando al presente: l’altra corsia è libera, e vado di un agevole sorpasso, chiedendo in cuor mio al Nostro Spaghettoso Signore di benedire l’anziana coppia di amanti con tutta la serenità di cui è capace, nella vita e nella morte.

 

Neanche il tempo di dirlo e dietro di me sento il fatidico colpo di clacson, una sciabolata nel mio amorevole congedo: una golf sta pure sorpassando, ma pur avendo visto chi fosse al volante dell’incerta utilitaria mal parcheggiata ha deciso di calare tutto il suo disprezzo verso il vecchio guidatore con la sua pesante mano porcina schiacciata sul centro del volante. Ho il tempo di vedere chi è alla guida: incredibile a dirsi, è l’automobilista malvagio con tutta la sua carica di arrogante e spudorata stupidità. Lo vedo chiaramente nello specchietto: è proprio lui, sono sicuro. E lo odio, non di un odio vago ed indefinito, ma concentrato e conscio, lo odio come odio chi è troppo idiota e presuntuoso per capire quanto sia idiota e presuntuoso. Sento che se è così ottuso facilmente è anche una persona molto infelice, perché non vedo come l’insultare e mettere in imbarazzo un vecchio dalla guida incerta possa renderlo felice o farlo sentire una persona migliore. Ma non riesco a provare pena: chi tratta male un debole solo per il gusto di farlo merita solo il mio biasimo, e non certo la mia comprensione.

 

Quindi, se per caso a te che stai leggendo è capitato di suonare il clacson a sproposito, magari per poi pentirtene, ti voglio bene, perché l’importante è arrivarci. Ci si vuole bene tra pedoni sul marciapiede, e non vedo perché non ci si possa voler bene anche per strada. Se invece sei proprio quell’avanzo di immonda umanità che giusto oggi guidavi la tua golf dietro di me, e che magari fiero della tua prodezza ti sei pure lamentato al bar con i tuoi degni compari per certa gente che prende la macchina ma è talmente incapace che dovrebbe solo starsene a casa propria a morire, allora ti auguro con tutto il cuore di ritrovarti a breve nelle stesse condizioni di guida del sorpassato, perché forse solo allora la tua testa vuota potrà rendersi conto di cosa vuol dire guidare con fatica in un paese di bifolchi incivili. E spero che avrai comunque la lucidità per ricordarti quanto sei stato miope mille e più volte sulla strada comportandoti come altri tuoi pari si comporteranno con te ogni volta che non sarai in grado di parcheggiare fuori del tuo bar, regalando vigorose salve di clacson a te e ai tuoi amici già seduti ad aspettarti con il pirlo in mano.

 

Smokey and the Bandit

Calcio e chiesa, divinità a confronto

Forse non ci si rende conto, ma in Italia non solo alla religione cattolica viene data un po’ troppa importanza. Accade lo stesso per il Calcio. E se con la prima l’italiano medio apprezza o tollera l’invasività nei media nazionali, per il secondo invece ne richiede costantemente quante più informazioni possibili. Se un alieno si mettesse in orbita geostazionaria sopra il Bel Paese munito di pesce babele per captare i segnali radio e televisivi pubblici italiani, si stupirebbe scoprendo questo: sulle 24 ore della giornata dei 5 giorni feriali, impiego del tempo nell'informazione pubblica italianacirca il 2% del tempo viene trascorso a parlare di Calcio e di religione cattolica. A cui però va aggiunto un 12% di tempo speso a parlare di cose che sono in qualche modo riconducibili al Calcio e alla religione cattolica, come le relazioni amorose dei più mondani esponenti del mondo del calcio, o le scelte di vestiario dei ministri del culto cattolico più à la page. A queste due voci va aggiunto ancora un 28% del tempo in cui vengono fatti parlare esponenti del mondo del Calcio e della religione cattolica di cose che non gli competono minimamente. E fin qui stiamo parlando solo dei giorni feriali. Ma se prendiamo la domenica, ovvero il giorno tradizionalmente dedicato al dio dei cristiani e al dio del pallone, la percentuale totale sale drammaticamente all’88%. Questo perché in questo giorno avvengono tipicamente due grossi eventi che monopolizzano l’attenzione dei media statali tra mattina e pomeriggio.

 

La mattina è la parte propria della chiesa cattolica. È previsto che il capo supremo del vaticano comunichi alla piazza e all’intero mondo cattolico alcune sue opinioni riguardo a qualcosa. Questo evento mediatico dura di per sé pochi minuti, ma per antica tradizione i servizi dell’informazione pubblica italiana gli dedicano grande spazio con molti eventi di contorno.

Papa lancia monitor Da principio viene trasmessa alla radio e alla televisione la celebrazione di un rito religioso completo, in genere dalla parrocchia di un fortunato parroco di provincia ma non troppo, che finisce così agli onori della diretta nazionale. Le prime file di banchi sono riservate ad eminenti autorità laiche locali che danno mostra di sé e delle loro famiglie, intenti nello sforzo di far sembrare che se sono lì non è per la diretta nazionale o per le imminenti elezioni, quanto per una antica tradizione di famiglia. Dopo la cerimonia, i media cambiano contesto, e danno la parola ad alti prelati del mondo cattolico che commentano fatti di attualità mantenendo un distacco e un punto di vista straordinariamente fuori dal mondo. Tali fatti vengono decisi tra quelli che non riguardano mai scandali vergognosi o assurdi anacronismi della chiesa cattolica. Alcuni giornalisti ossequiosi e baciapile accompagnano la personalità cattolica con garbate domande concordate. Quando alla fine arriva il momento dell’annuncio sommo pontefice, i riverenti giornalisti ascoltano in silenzio l’evento con l’ansia e la trepidazione degne di uno sbarco umano su Marte. Solo alla fine sono autorizzati a respirare e a commentare a bruciapelo il brillante monologo del santo incarnato. Questo evento si verifica con puntualità da anni, ma non manca mai di stupire giornalisti e folla. I commenti sono sempre entusiastici. Mentre la folla non può far altro che sbracciarsi e strepitare mostrando bandiere o cartelli rispettosi approvati dalle forze dell’ordine, i giornalisti si sperticano in esuberanti apprezzamenti, con lo scopo di delineare al meglio le virtù morali e spirituali dell’oratore. Può accadere insomma che questo possa essere elogiato ad esempio per un paio di calzature sobrie, ma mai che venga criticato per il contrario, perché in tal caso si cercherà di trovare altri pregi.

 

Nel pomeriggio finalmente ha luogo la gran parte degli incontri sportivi del Calcio, e i giornalisti religiosi lasciano il campo a quelli sportivi. Alcuni di questi, figli della vecchia scuola, si prodigano sulle radio pubbliche a comunicare sensazioni visive a quegli sciagurati che ancora si ostinano a non volere la tv a pagamento. Per chi invece è abbonato invece c’è un esercito di giornalisti tv a commentare gli eventi che accadono sui diversi campi di gioco. La regola principale è una sola: urla quanto più forte possibile per il piacere delle orecchie dei telespettatori. Un giornalista sportivo contrariato per aver sbagliato lo stadioCosa incredibile, tali spettatori assistono loro stessi alle immagini commentate e quindi sarebbero in grado di commentarsele da soli. E se la presenza del commentatore può apparire come un piccolo mistero, la trama si infittisce ancora di più quando ci si accorge che se una volta, anni fa, il commentatore lavorava da solo, oramai questo è normalmente affiancato da altri due oscuri figuri. Uno di questi, detto opinionista, fa più o meno da spalla, con il compito di contraddire o di ripetere a pappagallo tutto quello che ha appena detto il commentatore principale. In genere viene selezionato tra gli allenatori falliti o gli ex calciatori più illetterati ancora in vita, e per loro già mettere insieme una frase di senso compiuto pure con parole usate dal collega è fonte di grande stress e fatica. Sono convinto che il vero scopo di tale individuo sia quello di far sentire più intelligenti per confronto tutti i telespettatori da casa. Il terzo personaggio è il misterioso inviato da bordo campo. È un giornalista che in attesa di diventare commentatore principale viene esiliato a tempo indeterminato all’ingrato compito di vedersi le partite, appunto da bordo campo. A differenza dell’opinionista che ha il dovere di intervenire sempre a sproposito, l’inviato da bordo campo in genere viene interpellato a chiamata. Ovvero, ogni tanto il commentatore si ricorda di avere questa possibilità e allora fa una domanda al disgraziato, da cui ci si aspetta una risposta pronta. Se possibile in suo tono deve essere quello di una persona che per sapere certe cose sta rischiando la vita in una guerra di trincea. In conclusione, l’inviato è quello che con sprezzo del pericolo recupera sul campo quel tipo di informazioni che il commentatore non può procurarsi di prima persona, ma che sono di vitale importanza per il pubblico da casa. Cose come le espressioni del volto dei due allenatori, gli scambi di facezie e di complimenti tra le panchine ed i giocatori in campo o quali giocatori si sono svestiti per fare il riscaldamento. Sta poi ai due commentatori trarre brillanti deduzioni in virtù dei dati raccolti.

 

Una delle cose che stupisce quando si ascoltano i commenti di una partita di Calcio sia alla radio che alla televisione è che la lingue usata non è italiano comune. Per certi versi può essere paragonato ad una specie di italiano tecnico, in cui c’è una sorta di piccola ricerca dell’aulico, come a voler fare bella figura. Stiamo parlando ovviamente del commentatore e dell’inviato; per l’opinionista vale la regola che la parole italiane intere non devono superare mai per numero la somma delle parole troncate a metà, di quelle dialettali e delle esclamazioni. Oltre alla ricerca dei due giornalisti di un linguaggio un po’ ricercato, viene d’obbligo un uso distorto sistematico di alcune parole. Tra queste il termine scarpini, che se nell’italiano comune potrebbe indicare le scarpe di un bambino di sei anni o quelle di una ballerina di danza classica, qui invece indica le comuni scarpe con i tacchetti dei calciatori. Che per quanto piccole che siano, voglio sperare che non scendano di molto sotto il numero 42. Vengono chiamati scarpini anche le scarpe di certi colossali giocatori nordici, le quali per dimensioni sarebbero più da considerare come valigie. Le calze, per contrapposizione, vengono chiamate calzettoni. Essendo che spesso arrivano appena sotto il ginocchio, possiamo prendere per buono questo termine. Oltre a queste ed altre sostituzioni di sostantivi, vige una regola aurea nelle telecronache di Calcio, quella per cui l’unico avverbio consentito è letteralmente. Ogni volta che uno dei cronisti sente il bisogno di usare un avverbio, tale avverbio deve essere sostituito con questo, dando luogo ad effetti di grande ilarità. L’avverbio quindi non mantiene più il significato originale di alla lettera, ovvero non metaforicamente, ma assume il ruolo di generico rafforzativo. Quelle che ne escono sono frasi divertentissime, roba da pisciarsi letteralmente addosso dal ridere, tipo:

 

  • L’arbitro è letteralmente impazzito (partita sospesa in attesa dello psichiatra?)
  • Un dribbling letteralmente ubriacante (preparate il resuscitamorti!)
  • Il terzino gli sta letteralmente incollato addosso (sporcaccione!)
  • Il portiere per parare questo tiro è letteralmente salito in cielo (Ironman?)
  • Per la gioia del gol, lo stadio è letteralmente esploso (30.000 morti. Unico sopravvissuto alla catastrofe: un giornalista sportivo con scarsa padronanza dell’italiano)

 

E questo è, alla fine, lo spettacolo offerto dai media nazionali e privati nella domenica pomeriggio italiana a base di Calcio. In base a quanto detto, sembra quasi che l’assistere ai più formali rituali cattolici nella mattina sia un modo per ingraziarsi la divinità ultraterrena, di modo che la stessa possa poi favorire la propria squadra del cuore nel pomeriggio. Tra questi due periodi avviene la metamorfosi dell’italiano medio, che da tranquillo e devoto frequentatore di banchi di chiesa e consumatore di particole benedette diventa un isterico contestatore da divano di decisioni arbitrali e tracannatore di forti dosi di alcolici a bassa gradazione. Tempio divino del secondo evento diventa il salotto di casa, in cui l’oggetto della venerazione non è più la sede dei lari degli antenati, ma un più moderno televisore ultrapiatto a megadefinizione, da cui è possibile osservare contemporaneamente i diversi luoghi di culto in cui avvengono gli incontri, mentre i giornalisti/sacerdoti fanno da tramite tra i praticanti ed il divino interpretando al meglio il veloce svolgersi degli eventi.

 

bar sport BenniI tifosi più devoti possono anche spostare la celebrazione in un luogo di culto intermedio, in genere chiamato Bar Sport. In tal modo viene liberato il salotto ad altri membri della famiglia non adepti al Calcio, spesso di genere femminile, e pure spesso infastiditi dalle crisi mistiche dei primi durante tali celebrazioni. Nel Bar Sport c’è tutto l’occorrente per onorare al meglio la divinità del Calcio: grandi teleschermi o proiettori disseminati in ogni stanza, più quantità di alcol e cibi fritti sostanzialmente illimitate servite da personale qualificato ed accondiscendente. Qui si assiste a circa due ore di celebrazione ininterrotta in cui i devoti presenti invocano le proprie divinità dentro e fuori del campo perché facciano del loro meglio per vincere la partita. Il sistema per appellarsi è quello di urlare quanto più forte possibile le proprie invocazioni, non necessariamente sensate o originali. Per esempio, urlare Gol! dopo un gol può apparire come inutilmente ridondante, e allo stesso modo negare l’evidenza clamorosa di un rigore regalato alla propria squadra è un atto che normalmente distruggerebbe quel poco di dignità di cui il fedele tifoso ancora gode, ma che in questo contesto è considerato la assoluta normalità, se non addirittura cosa necessaria a stimolare accesi e stimolanti dibattiti tra sordi durante e dopo l’evento.

 

I motivi per cui nel Bar Sport sia necessario urlare più forte possibile sono tanti. Lo scopo principale è quello di sovrastare le invocazioni dei presenti che sono devoti alle divinità rivali in campo. Un secondo aspetto è quello di cercare di superare la voce del sacerdote/giornalista che sbraita a più non posso anche per il più marginale degli episodi sul campo come se questo fosse determinante per il risultato. Da questi due motivi, delle persone normali giungerebbero presto ad un accordo molto semplice: abbassare o anche togliere del tutto il volume al televisore, e accordarsi per parlare sommessamente e solo quando è strettamente necessario, esattamente come già accade normalmente durante le celebrazioni mattutine.

 

Ma in realtà ci sono altri motivi. Il primo, ovvio, e che il bar è frequentato anche dagli accaniti giocatori di briscola, per cui si sa che urlare e bestemmiare a gran voce fa parte del gioco. L’altro motivo è più sottile: urlare più forte possibile può essere un retaggio antico dettato dalla volontà di raggiungere con la voce i giocatori in campo. E’ strano dirlo, perché in genere le partite si svolgono anche a centinaia di chilometri di distanza, ma ricordiamo che in tempi remoti, prima dell’invenzione della TV a pagamento, c’era l’usanza ormai deprecabile e pericolosa di recarsi ad assistere alla celebrazione direttamente allo Stadio, ovvero il luogo in cui si svolge nella realtà la partita di calcio, e dove le folle dei tifosi accorrevano in massa per urlare a più non posso la propria fede per una squadra o per l’altra. Al giorno d’oggi non ha più senso andare allo stadio, per vari motivi. tipica scena da Stadio di invernoPer esempio l’assenza della moviola, che costringe gli spettatori ad una attenzione costante abbastanza frustrante e a scarso ed approssimativo materiale di dibattito in caso di diverbio. Poi il dover volgere da soli lo sguardo a destra e a sinistra alla ricerca del pallone può essere faticoso, non disponendo di un registra professionista con decine di diverse inquadrature a decidere per noi le inquadrature migliori. Per non parlare poi dell’inclemenza del tempo, caldo d’estate, freddo d’inverno, pioggia nelle mezze stagioni: Andare allo Stadio è un affronto alla propria salute, e si rischia solamemente di far collezione di malanni stagionali. Come se tutto questo non bastasse, bisogna parlare anche dei recenti sistemi di prevenzione e sicurezza negli stadi, che hanno risolto la piaga della violenza scoraggiando definitivamente il tifoso normale ad andarci, lasciando così piede libero ai delinquenti. Questi vi si recano costantemente eludendo sistematicamente le misure di sicurezza, introducendo nel luogo dell’evento armi bianche, da fuoco ed esplosivi. Lo scopo di tali bande non è infatti quello di assistere alla partita, quanto di usare i loro armamenti sui delinquenti delle bande rivali in visita, ma anche con tifosi della stessa squadra con cui non ci si sente in totale sintonia. A cercare di impedire tutto ciò un esercito di membri delle forze dell’ordine di pessimo umore e pagati con soldi pubblici. Infine, l’ultimo gruppo di partecipanti all’evento è ovviamente quello dei giornalisti/sacerdoti: protetti da bunker di vetro infrangibile, commentano gli eventi sportivi sul campo e di guerriglia sugli spalti per il piacere del pubblico al sicuro a casa e nei bar.

 

Questa è la descrizione del tipico pomeriggio domenicale italiano. Breve nella sua durata di circa un paio d’ore, ma intenso al punto che i media nazionali si sentono in dovere di parlarne ancora per giorniitaliano, birra e partita, mostrando un costante deterioramento della qualità dei servizi. Dalla telecronaca in tempo reale, che richiede una certa capacità di parola e di osservazione, si passa al commenti di fine partita e alle interviste dagli spogliatoi. E’ il momento in cui si ascoltano le acute considerazioni dei giocatori che si sono distinti nel bene o nel male. Le domande sono sempre eccezionali e di grande profondità:

  • Come ci si sente ad aver perso il derby per 4 a 0?
  • Sei felice di aver segnato questo gol importante? A chi vuoi dedicarlo?
  • Cosa intendevi con quel gesto del braccio rivolto all’allenatore dopo la tua sostituzione?
  • Ora che la tua stagione è finita per colpa di un calcio volante sul menisco da parte dell’avversario e che sei stato espulso per turpiloquio nei confronti dell’arbitro, cosa ti senti di dire a freddo al tuo avversario? Te la senti di perdonarlo pubblicamente?

Di fronte a queste domande, anche il più abbruttito dei calciatori ha un moto di orgoglio, e tenta l’impervia strada dell’italiano aulico, anche se parlato secondo le regole sintattiche e l’accento del paese d’origine. Il buonismo la fa da padrone: non esiste offesa che non possa essere sanata durante un’intervista, anche se fino a pochi minuti prima ci si era minacciati di morte a gesti e parole per un nonnulla. Queste commoventi interviste sono significative non tanto per i contenuti, quanto per monitorare il degrado nell’uso della lingua nazionale da parte dei giocatori italiani rispetto a colleghi stranieri, che magari giocano nel nostro campionato da pochi anni, ma già sanno distinguere un condizionale da un congiuntivo.

 

Dopo le interviste arrivano alcune trasmissioni necessarie a creare un primo sottofondo di conoscenza per i telespettatori: risultati, classifica, gol, fatti salienti, quote di vincita per gli scommettitori e prossimo turno. Di ogni partita viene fatto un riassunto di pochi minuti da parte del giornalista che l’ha seguita dallo stadio accompagnato da filmati, con le uniche accortezze di omettere volutamente tutti i torti subiti dalla squadretta a favore dello squadrone di alta classifica, e di citare nomi e cognomi dei montatori del filmato come se fossero candidati a David di Donatello. Alcuni dicono che questo filmato potrebbe essere più che sufficiente, ma invece non è che l’aperitivo a tutto il carrozzone di trasmissioni più ruspanti imperniate esclusivamente sull’analisi delle malefatte di arbitri e guardalinee. Qui le decisioni che questi hanno preso durante la partita vengono esaminate una per una attraverso l’analisi alla moviola, per vedere quanti errori hanno fatto e di che entità, e alla fine deliberare il grado di colpevolezza. A condurre gli esami, una mandria di raffinati giornalisti lampadati accompagnati da ospiti fissi e occasionali, tutti uniti da un vivace gusto per la polemica sterile. Per far capire subito il livello di obiettività dei presenti, questi vengono schierati in base alla squadra per cui simpatizzano o che detestano, e quindi invitati ad urlare agli altri le proprie opinioni. Dopo queste trasmissioni, il telespettatore in genere ha già abbastanza informazioni per inalberare delle gustose discussioni il giorno dopo al lavoro o al bar. Ma non è ancora sufficiente. Per una cultura completa occorre guardare anche le trasmissioni del giorno dopo, dove persone ancora più incompetenti discutono delle discussioni avvenute nelle trasmissioni del giorno prima, forti dell’assenza di contraddittorio col passato. Il tutto ha fine solo quando si pensa che sia il caso di dedicarsi agli eventi successivi.

 

Forse che il rapporto tra il tempo in cui si può assistere ad una partita in diretta e quello in cui si può solo ascoltare esperti che ne parlano è troppo piccolo, allora per la gioia di tutti i tifosi si è deciso di arricchire la settimana dell’informazione sparpagliando più possibile gli eventi calcistici. E’ nato così il posticipo, l’anticipo, l’anticipo del posticipo e il posticipo dell’anticipo. I posticipi e gli anticipi, quando più di uno, sono stati distribuiti su più orari non sovrapposti, lasciando anche il tempo al telespettatore di liberare la vescica o di recuperare nuovi liquidi da ingerire dal frigorifero o al bancone del bar. Poi intere categorie di partite sono state spostate sul sabato, per permettere al buon tifoso di raddoppiare il numero delle celebrazioni, assistendo di sabato alla partita della squadra locale e di domenica a quella della squadra nazionale.

 

La settimana però sarebbe lunga senza i gustosi intermezzi delle coppe, ovvero dei tornei nazionali di poco conto e internazionali di grande conto. I primi sono eventi trascurabili creati per far giocare le numerose riserve delle squadre più forti, frustrate perché non giocano mai, contro i titolari delle squadre più scarse, frustrati perché non vincono mai. Le coppe internazionali invece sono seguitissime al punto che è giudicata buona cosa anche assistere a partite di squadre sconosciute solo per il fatto, adue di copped esempio, che la partita è di coppa dei campioni. L’importanza della coppa internazionale giustifica anche questo, ovvero guardare una partita in cui non c’è nessun coinvolgimento emotivo. Come se il fedele di una religione decidesse nel tempo libero di intrufolarsi nel tempio di qualcun altro per partecipare ad un culto. Così, giusto per passare il tempo, o magari per studiare meglio gli avversari.

 

Le coppe si giocano nei giorni in mezzo alla settimana. Così, se tra partite normali, anticipi e posticipi riusciamo a coprire la domenica e i due giorni intorno, grazie alle coppe possiamo arrivare alla quasi totale copertura del palinsesto dell’informazione. Insomma, un buon tifoso è in grado di passare le sue serate ininterrottamente di fronte alla televisione nutrendosi di puro Calcio, minimizzando il rischio di imbattersi in una serata senza trasmissioni sul pallone. Costringendolo magari (non sia mai!) a guardare una noiosa trasmissione culturale o, peggio ancora, a spegnere il televisore/totem ed uscire di casa con gli amici rimasti. La specie del homo tifosus ha tutta l’aria quindi di essere ben protetta nel suo habitat e di non non correre il rischio di estinzione a breve termine. Sempre che i suoi appartenenti trovino ancora il tempo di compiacere sessualmente le proprie partner, che di fronte all’eccessiva devozione dei loro compagni nei confronti del Dio Calcio si rischia che mostrino segni di acuta insofferenza, ed inizino a rivolgersi ad altri uomini meno devoti per la soddisfazione dei propri bisogni.

 

Ma come appare il panorama dell’informazione nazionale a chi, per suoi strani motivi, non dovesse riconoscersi in nessuna fede calcistica, o semplicemente non dovesse nutrire il minimo interesse nel Calcio? Probabilmente ci sarà anche abituato. Ma è presto detto: neanche a dirlo è il mio caso. Ed il mio primo pensiero è proprio il primo che faccio ogni mattina, ascoltando il giornale radio:

perché deve essere così importante che mi venga detto ad ogni radiogiornale l’orario delle prossime partite, insieme alle probabili formazioni, alle aspettative di allenatori, presidenti e giocatori, ai pronostici fiduciosi di tifosi presi a caso dalla strada con tanto di risultato e probabili marcatori, o ai motivi di salute, disciplinari o fiscali che impediranno ad alcuni campioni di parteciparvi?

Segue il secondo pensiero del giorno:

Perché nei giorni a seguire dovrò sentire le interpretazioni della partita giocata fatte dalle stesse persone dei giorni prima, basate però questa volta su fatti oggettivi, sui motivi lampanti che ha portato a tale risultato, e di come magari l’allenatore avrebbe potuto impedire una sconfitta se solo non fosse stato così ottuso, ma avesse ascoltato le considerazioni fatte in seguito dai giornalisti commentatori?

Quindi una ovvia considerazione:

Perché tutta questa mole di informazione pubblica di settore non viene presa e confinata in appositi spazi ben delimitati (Radio Calcio 1, 2 e 3 e Tele Calcio 1, 2 e 3, ad esempio) lasciando liberi i sensi dei non interessati?

Questo perché inizio seriamente a pensare che se esiste un piano per forzarci a credere che sia normale riempirsi la testa di quante più informazioni di calcio possibile, tale piano potrebbe essere orchestrato dalle stesse persone che vogliono farci credere che sia una cosa buona e giusta andare a messa tutte le domeniche per sentire le stesse letture vecchie di duemila anni, condite dalle stesse prediche ancora più vecchie.

 

Questo perché il Calcio va onorato e abbracciato in toto: non è ammessa una conoscenza parziale o lacunosa. Per arrivare a questo risultato, occorre rinunciare ad ogni altra forma di istruzione, cultura o passatempi alternativi. la roseaOltre ad usare il televisore/totem di casa come fonte primaria di informazione, ogni giorno va studiato uno di quei giornali che, incredibile a dirsi, da decenni riescono a scrivere pagine su pagine parlando solo che di Calcio, e questo anche d’estate quando per un paio di mesi non c’è nessuna partita. Le rinunce sono tante, ma si può arrivare al punto di poter sostenere conversazioni di Calcio con gli amici tifosi di squadre avversarie di lunghezza sostanzialmente infinita. Perché caratteristica fondamentale del Calcio è la soggettività più spudorata di fronte all’oggettività dei fatti: per lo stesso motivo per cui un ateo e un credente difficilmente potranno convincere l’altro delle proprie ragioni al punto da fare abbandonare o abbracciare all’altro la religione, così anche due tifosi di opposte fazioni adeguatamente preparati potrebbero litigare all’infinito senza arrivare a conciliarsi sul fatto che un gol fosse regolare o no, o convincere l’altro della convenienza a passare alla propria squadra.

 

Un’altra cosa che sorprende noi estranei a questo mondo è quando ci si possa perdere in fatti con poco valore oggettivo in sé, tipo

la squadra numero uno ha battuto la squadra numero due per alcuni gol rispetto a meno gol, e ora si aspetta l’esito del confronto tra la squadra numero tre e la squadra numero quattro per conoscere la nuova classifica”

quando questi fatti ne venga in tasca ben poco. Ovvero, al tifoso della squadra numero uno non viene riconosciuto nessun credito per la vittoria, che non verrà quindi esborsato dal tifoso della squadra numero due. A meno che questi non siano scommettitori, ed in tal caso bisognerebbe ricordare loro che anche se un giorno gli è andata bene, le scommesse sono una grande fonte di guadagno per organizzazioni come lo stato e la malavita, e che quindi giocare la schedina a lungo andare non è altro che un’autoimposizione di una tassa sulla propria stupidità. Da ciò, ne risulta che l’unico vantaggio che deriva dal tifare per la squadra numero uno potrebbe essere quello di poter sfottere i tifosi della squadra numero due per la vittoria non tanto loro, ma perlomeno della loro squadra. Il costo di questo è si verrà ovviamente sfottuti in caso di sconfitta. Se poi consideriamo che una sola squadra vince ogni competizione, ne segue che pochi sono i tifosi che festeggiano veramente, e molti sono quelli infelici che sperano in un futuro migliore, o che si gloriano di vittorie avvenute in un remoto passato, o peggio ancora che da vent’anni sperano invano che il presidente della loro società si decida a venderla per tornare ad occuparsi delle sue tavolette da cesso.

 

Tanto vale quindi abiurare pubblicamente il calcio. Se la vostra apostasia verrà riconosciuta ufficialmente da amici e colleghi, è possibile che verrà anche rispettata. Anche se verrete giudicati come dei deboli, degli ignavi o dei perdenti senza midollo spinale che rifuggono vigliaccamente cose da veri uomini come parlare delle gesta compiute da altri. Ma magicamente recupererete quel po’ di ore giornaliere ed un intero fine settimana da dedicare a voi stessi e alla vostra famiglia con attività come il giardinaggio, la lettura, la cucina, la produzione domestica di bevande alcoliche, la soddisfazione del proprio o della propria partner, la conseguente cura della prole, il turismo, la scrittura di articoli in un blog pastafariano, o addirittura lo sport. Tornando agli amici, facilmente dovrete cambiarli e trovare un nuovo locale in cui uscire, ma vi sorprenderete di quanta gente c’è a cui del Calcio proprio non gliene può fregare di meno, e con cui si può ritrovarsi in un pub senza maxischermi a chiacchierare di una miriade di argomenti possibili tra i più disparati ed interessanti. Giusto per citarne alcuni, si può parlare di sport minori, cinema, musica, politica, cucina, birre che si sta bevendo in quel momento, birre che si era bevuto la volta prima, birre preferite, birre che non ci sono più in quel locale, locali in cui si possono trovare le birre che non ci sono più in quel locale, locali in cui è meglio non andare a bere una birra se ci si vuole un po’ di bene, locali in cui non si è mai andati ma di cui si è sentito parlare bene, birrifici, visite a birrifici da organizzare, visite a birrifici organizzate in passato, vacanze, lavoro, hobby, serate, concerti, raduni, amici comuni assenti, cameriere del locale in cui si sta bevendo una birra, cameriere degli altri locali, classifica delle cameriere in base al locale, classifica dei locali in base alle cameriere, libri, fumetti, religione, filmati divertenti visti su Internet che a raccontarli non rendono bene ma per cui vale la pena provarci lo stesso, lamentele sul fatto che il Wifi del locale non vada e che quindi non si possa vedere dei filmati divertenti su Internet usando uno smartphone con uno schermo forse anche un po’ piccolo, considerazioni riguardo all’acquisto di un nuovo smartphone più performante, etica, epica, senso della vita, dell’universo e di tutto quanto, pirati famosi, scienza e cultura generale, donne, uomini, donne a cui piacciono gli uomini, donne a cui piacciono le donne, luoghi comuni su uomini e donne, considerazioni misogine sulle donne, considerazioni omofobiche sugli omosessuali, rettifiche sulle considerazioni misogine sulle donne e omofobiche sugli omosessuali, posizione della chiesa cattolica riguardo agli omosessuali, posizione della chiesa cattolica riguardo ai preti pedofili, posizione dei cattolici riguardo alla posizione della chiesa cattolica riguardo ai preti pedofili, considerazioni su come cambierebbe l’opinione di un cattolico riguardo alla posizione della chiesa cattolica riguardo ai preti pedofili se il prete pedofilo di turno avesse sodomizzato il suo di bambino e non quello di qualcun’altro, considerazioni su quante volte si è fatta questa discussione e su quanto ci si diverta a farla ogni volta di più, valutazioni se sia il caso o meno di pagare il conto e di rientrare nei ranghi delle proprie famiglie. L’elenco potrebbe proseguire ancora per molto, ma questi sono gli argomenti a titolo di esempio che vengono toccati più o meno approfonditamente in una normale serata al pub, o almeno in quelle mie con i miei amici.

 

La conclusione è comunque una sola e lampante: sembra incredibile, ma una volta rinunciato al calcio, si crea un enorme spazio temporale di gran lunga maggiore a quello conseguente all’abiura dalla fede cattolica. E che tale spazio può essere riempito in tantissimi modi, oltre a fornire un terreno sociale in cui si può discutere veramente di tutto. E forse col tempo, dopo che avremo abolito il concordato con la chiesa cattolica rendendo il cattolicesimo una religione senza privilegi, arriveremo anche modo di confinare il Calcio in dimensioni più adeguate. Tipo quelle di un qualsiasi altro sport. Un giorno in futuro si potrà tenere accesa la radio nazionale di domenica dalla mattina alla sera, e gli unici riferimenti al Calcio e alla chiesa cattolica saranno i due minuti dedicati ad elencare i risultati delle partite ed una notizia curiosa in coda al giornale radio, in cui si dà spazio all’appello curioso di una coppia di fidanzati cattolici alla ricerca di un prete ancora in vita per celebrare il loro matrimonio, purché tale matrimonio non debba celebrarsi in un carcere a causa di precedenti reati di pedofilia del sacerdote.

 

San Diego

Catechismo? No, grazie: come crescere un bambino senza dio in Italia

La nascita del primo figlio mette di fronte a nuovi, imprevisti problemi. Problemi che non c’erano quando semplicemente si era solo in due, quando la questione principale poteva essere dover scegliere quale birra bere tra le numerose spine del proprio locale preferito. E quando parlo di problemi, non mi riferisco nemmeno ai soliti problemi che usano i già genitori per terrorizzare i quelli che lo saranno di lì a poco, tipo

 

 

“dormi adesso fin che puoi, che dopo sarà un ricordo, con un bambino piccolo”

 

o anche

 

“col bimbo sì che sarà un problema uscire la sera”

 

Questo perché il nostro piccolo ci permette non solo di fare lunghe e saporite dormite notturne, ma anche di uscire la sera, meglio ancora se con lui presente. I problemi a cui mi riferisco e a cui non avevo pensato sono quelli di dover crescere un bambino secondo dei princìpi morali che considero normali in un paese sotto il giogo pesante di un’etica impostata su antiche e stravaganti superstizioni religiose.

 

Spanish inquisition

Già ho parlato di come può essere sufficiente girare l’angolo in una via di paese per imbattersi nella temuta figura della catechista bigotta, arrogante dispensatrice di benedizioni indesiderate. Ma questo è solo uno degli aspetti di una società che considera normale ciò che in realtà normale non è.

 

Nel mio caso, io voglio considerarmi un buon pastafariano: bevo birra, mangio cereali e derivati ogni giorno, cerco di seguire i suggerimenti sul comportamento dettati da Sua Spaghettosità al nostro profeta. E là dove la nostra religione ancora non ha definito bene i propri canoni di pensiero, trovo facile adeguarmi a correnti più note, quali l’ateismo o il pensiero scientifico. E’ però fondamentale che, come dice la mia stessa religione, io non imponga mai a nessuno, né men che meno a mio figlio, il mio credo. Pertanto, se devo crescerlo dovrò farlo secondo una moralità laica.

 

Alcuni pensano che senza religione l’uomo è destinato a crollare dietro a bestiali istinti primordiali, dandosi a pratiche mostruose di bruta prevaricazione reciproca, come la violenza sistematica, l’accoppiamento sessuale tra consanguinei, la sodomia e il cannibalismo. E che la religione è il solo strumento capace di mettere un freno a tali aberrazioni insite purtroppo in ogni essere umano. Stranamente, i dati dicono proprio il contrario: tutte le maggiori porcate della storia passata e presente sono dettate o giustificate dalla religione stessa. E se prendiamo singolarmente i credenti, sicuramente questi non si distinguono per bontà d’animo o illuminazione spirituale rispetto ai non credenti. if all the atheistsScott Hurst qualche tempo fa ha fatto notare che se un giorno tutti gli atei degli Stati Uniti dovessero andarsene di comune accordo dal paese, questo perderebbe il 93% dei membri dell’Accademia nazionale delle scienze, ma solo l’1% dei carcerati. Non so quanto siano attendibili questi dati, ma per conto mio non ho mai sentito nessuno tra parlamentari italiani, mafiosi, assassini psicopatici, genicida o appartenenti ad altre categorie simili inneggiare a principi di laicità o di ateismo, quanto piuttosto a presunte giustificazioni divine dei loro deprecabili modi di agire. La conclusione è che l’essere umano è in grado di gestire la propria moralità nel migliore dei modi senza le indicazioni di un prete su cosa fare o pensare, o le promesse di premi o le minacce di punizioni dopo la morte. E che se mai c’è un conflitto tra la moralità laica e quella religiosa, è molto difficile che sia la prima a voler imporre stranezze poco chiare o ingiustificate, quanto la seconda che portando motivi arcani arriva a pretendere comportamenti anormali, che vanno da cose innocue e personali come il mangiare o meno certi cibi o dall’astenersi da certe pratiche in alcuni periodi del giorno o dell’anno, fino a cose più gravi, come il tollerare o richiedere discriminazioni e violenze su vasta scala.


 

Da ciò, ho capito che crescere un bambino secondo una morale laica non solo è fattibile, ma è anche preferibile.

 

I problemi però ci sono. Il primo fra tutto sono proprio io: sono cresciuto a pane e catechismo per tutta la vita, e questo indottrinamento forzato mi porta spesso, come direbbe il poeta, a fare pensieri strani. Come se per quanto mi sforzi di prendere le distanze dal cattolicesimo, comunque dentro di me c’è sempre una vocina che mi fa capire che non basta sbattezzarsi, perché una volta che sei dentro, lo sei per sempre. Di fronte ad una questione etica importante, come può essere la morte di una persona, il mio pensiero va subito al povero estinto circondato da nuvolette ed angeli svolazzanti con la lira. Solo dopo mi viene in mente la versione pastafariana del vulcano di birra con spogliarelliste, o la versione atea dell’un bel niente. Tre modi spiegare uno stesso problema, ovvero tre modi di rispondere ad una domanda che sicuramente mio figlio avrà modo di farmi.

 

Proprio del problema della morte io e la mia dolce metà femminile ci siamo trovati a parlare gualche giorno fa. Una cuginetta del nostro piccolo stava disegnando i ritratti dei suoi parenti con la tecnica e la padronanza di pennarello che sono proprie di una bambina di due anni.capolavoro giovanile I parenti dicevano il nome di un conoscente e la piccola, dopo aver scelto il pennarello del colore più adatto, tracciava sul foglio la sua rappresentazione della persona richiesta con una serie di velocissimi zigzag, di trattini e di spirali spigolose. Il pubblico presente commentava entusiasta. Ad un certo punto una delle due nonne ha chiesto di disegnare il suo compagno nonché nonno della bambina, purtroppo venuto a mancare questo autunno. Dopo un silenzio di un secondo che è sembrato durare un’ora, la piccola risponde “non c’è!” con la semplicità tipica di chi ancora non è riuscito a complicarsi la testa con decenni di paranoie. L’imbarazzo rimane per un altro paio di lunghissimi secondi, quando interviene la madre della bimba, dicendo: “no che c’è: eccolo là, con in braccio tuo cugino!” Molto astuta: l’altro nonno era bello che presente sulla scena, con in braccio nostro figlio. Ed era intento ad apprezzare il suo nuovo ritratto eseguito dalla nipote con tecnica pennarello verde su foglio A4. Questa volta il problema è stato evitato in corner, ma la sera la mia amata me l’ha giustamente riproposto. Perché non sempre potremo cavarcela con un gioco di parole. Come si parla ad un bambino di chi non c’è più, senza usare parole come “paradiso”, “felice”, “angelo custode” e così via?

 

(l’opera qui sopra, pure pregevole, non è stata fatta dalla nostra nipotina, ma l’ho presa qui)

 

Detto così sembra una versione complicata del noto gioco da tavolo Tabù. Ed è solamente una delle numerose domande che un bambino può farci all’improvviso, magari stimolato da qualcosa di visto o sentito. Cercherò di considerare quelle che mi vengono in mente.

 

 

-°-°-° problema numero 1: la morte °-°-°-

 

the knight death and the devilOvvero il problema citato qui sopra. Quello per cui non c’è più la risposta facile, in cui il caro estinto lascia qui le spoglie terrene e mortali, per divenire puro spirito ed issarsi felice nel regno dei cieli, dove San Pietro sarà contento di accoglierlo tra le schiere di santi e beati in eterna adorazione estatica della bellezza di dio.raggi di luce Eh no, troppo comoda. E non si può nemmeno ricorrere alla più semplice e forse anche più desiderabile versione ruspante a base di caffettiere e nuvolette del noto duo Bonolis – Laurenti. La versione scientifica – atea è abbastanza chiara: quando la vita termina, non si è più: la serie di reazioni elettriche e biologiche che ha accompagnato quell’ammasso ordinato di cellule chiamato corpo umano ha smesso di funzionare, e come conseguenza il pensiero che lo conduceva si è spento. Scordatevi di questa persona viva. E possibilmente astenetevi anche dall’imbalsamarla per ostentarne le spoglie, anche se tale corpo durante la vita si dovesse essere distinto distinto per qualche merito particolare. Sicuramente il corpo non sarebbe d’accordo, e se così non fosse significa che quella persona non è così umile e retta come la volete ricordare.

 

Teniamo da parte per adesso il paradiso pastafariano a base di birrosi vulcani e di fabbriche di spogliarelliste. Magari gliene parlerò più avanti, se non ci arriverà da solo.

 

Come si fanno a spiegare queste cose ad un bambino? In realtà non credo che sia così difficile. Per esempio, nel mio caso non ho più nessun nonno vivente. Uno di questi non l’ho mai conosciuto, mentre gli altri tre sono morti qualche anno fa. Nonostante questo però non passa per me decisione importante sulla mia vita in cui non pensi ad almeno uno di loro. In particolare, non smetto mai di pensare a loro che guardano o tengono in braccio il loro neonato pronipotino, magari facendo gli stessi commenti che hanno fatto quando tenevano in braccio me. Non penso a loro come se mi stessero osservando da una nuvola in cielo con un potente telescopio, ma più come un

 

“cosa direbbero i miei nonni di quello che sto facendo della mia vita”?

 

o anche

 

“cosa farei adesso se la mia nonna fosse qui con me in questo momento?”

 

Da ciò la conclusione è che quando una persona muore, quello che era il suo modo di pensare e di comportarsi rimane vivo nelle persone che l’hanno conosciuta, soprattutto se tale persona era stimata e benvoluta. Quindi non serve essere una quintessenza eterna e spirituale per rimanere vivi: anche se tali non si è più, le persone vive ricordano e portano avanti gli insegnamenti del caro estinto. La cosa bella poi è che si tende spesso ad una rappresentazione ideale del defunto, spesso dimenticando con un pietismo abbastanza originale le eventuali nefandezze compiute in vita. Ne sono la prova lampante i coccodrilli redatti dai nostri amati giornalisti ad ogni morte di politico.uno strenuo difensore un brillante statistaOgni politico da morto si trasforma o in uno strenuo difensore dei valori patrii o in un brillante statista, a seconda che fosse un ottuso bigotto reazionario o un abile oratore con propensione alla corruzione sistematica. Nel peggiore dei casi, quando è proprio impossibile trovare una qualche caratteristica che può essere considerata un pregio, allora si parla di un fiero e valido avversario. Detto questo, figurarsi cosa diventa una persona cara a cui semplicemente volevamo molto bene. Un santo magari no, ma un ottimo esempio di comportamento e di ispirazione sicuramente sì.

 

Cosa risponderò quindi a mio figlio quando mi chiederà qualcosa del genere? Gli dirò che la persona morta non c’è più, ma che finché lui continuerà a ricordarla, la persona rimarrà viva in lui. E che lui dovrà sempre fare del suo meglio per ricordarla nel migliore dei modi, esattamente come se fosse ancora viva. E basta. Niente paradisi, inferni e compagnie cantanti. Che poi, dico: mai una volta che ad un funerale il prete ammetta la possibilità che il caro defunto sia finito all’inferno, o che semplicemente non ci mai fatto due parole in vita, e che quindi non se la sente di giudicarlo: sempre tutti carissimi conoscenti, persone limpide e devote che non possono che ambire direttamente ad un posto con vista in paradiso. Tranne forse quelli che hanno lasciato detto di non voler passare dalla chiesa durante il loro tragitto verso il cimitero.

 

 

 -°-°-° problema numero 2: i fortunati e gli sfortunati °-°-°-

 

Al mondo non partiamo tutti con le stesse possibilità. Facilmente chi legge questo articolo appartiene, per esempio, a quella piccola fascia di persone che detiene la maggior parte della ricchezza mondiale, e che tra i vari benefici gode dell’accesso ad Internet libero e a costi accessibili. Oltre alle disuguaglianze dettate da condizioni politiche, economiche e sociali, ci sono anche i problemi fisici. Per esempio non tutti hanno la fortuna di avere un corpo perfettamente funzionante. Ci sono dei bambini che nascono già con gravi problemi mentali o fisici. Così come questo può succedere a seguito di incidenti. Spesso i bambini chiedono del perché, per esempio, un loro compagno di classe non può giocare a calcio come gli altri perché sta sempre su una sedia a rotelle.

 

Come risponde la chiesa cattolica a questi problemi? Se dio ama tutti, perché quel bambino non può essere felice come gli altri? E qui la risposta standard del prete di turno va nella pura filosofia: dio ama tutti. Ama di un amore profondo e totale, molto più profondo di quello degli stessi genitori. Ma non può esercitare tale amore in modo diretto (non era onnipotente, questo dio, oltre che infinitamente amorevole?) e talvolta chiede dei sacrifici a delle persone, mettendole alla prova. Di modo che la loro sofferenza terrena sia uno strumento per dimostrare di ricambiare questo enorme amore di dio verso di loro, e che questi poi riceveranno un premio molto più grande nel regno dei cieli. Quindi un bambino in carrozzella è un privilegiato che ha molte facilitazioni per dimostrare l’amore verso dio, rispetto agli altri bambini che invece sono distratti e mentre giocano a pallone dio è l’ultimo dei loro pensieri. Tranne forse quando sbagliano un gol facile, ma la citazione che ne segue non è tra quelle autorizzate dalla chiesa.

 

Sarà, ma questa storia della sofferenza fa acqua da tutte le parti, e ci arriva anche un bambino. Ci sono poi mille versioni, una per ogni occasione, perché sulla Terra si soffre abbastanza spesso: si soffre quando si nasce, chi può quando partorisce, quando si sopportano soprusi e umiliazioni da delle gerarchie incompetenti ed arroganti, e credo che infine si soffra anche quando si muore. Sul primo ed ultimo caso ci sono solo supposizioni, ma sono fondate. Dare tutta la colpa al peccato originale è una storia che un po’ ha stancato, e ormai mi sa che non venga più usata molto nemmeno dai preti stessi. Meglio ricorrere alla filosofia spiccia dei giochi di parole sull’amore infinito di dio e sulle sue strane maniere di manifestarlo.

 

Non che questi siano argomenti facili, ma non è difficile trovare spiegazioni migliori di queste. Magari dicendo che non tutti siamo fortunati allo stesso modo. C’è chi nasce con più opportunità e chi con chi meno. L’importante è rispettarsi tutti. Ci si rispetta, magari ci sia aiuta e si evita di dare fastidio agli altri, siano essi più fortunati o più sfortunati di noi, come pure se hanno una macchina più piccola o più grossa della nostra, o se non ce l’hanno nemmeno. Se però la loro macchina è molto grande e ha la particolare tendenza a stare parcheggiata davanti al mio portone dove è ben visibile il cartello di divieto di sosta, allora che ti venga lo scorbuto, maleducato proprietario del SUV di turno, perché il possesso di questo costoso genere di veicolo non ti dà diritto a mancarmi di rispetto, e se ritieni necessario compensare la pochezza dei tuoi attributi virili con l’acquisto di un inutile quanto ingombrante veicolo, questo rimane un tuo problema, e non deve diventare il mio.

 

 

-°-°-° problema numero 3: l’origine del mondo °-°-°-

 

l'origine del mondo

Questo è il problema più classico tra i problemi classici. È quello che pochi anni fa ha fatto uscire allo scoperto una religione vecchia di millenni come quella pastafariana, a seguito della lettera aperta del nostro amato profeta Bobby Henderson. Rispondere a questa domanda pone più che altro l’imbarazzo della scelta.

 

Ci sono molte favole legate all’origine del pianeta, della vita o degli esseri umani, proprie delle religioni di tutto il mondo. Ogni popolo ha le sue, più o meno simili a quelle di popoli vicini o lontani. Una delle più pittoresche è l’origine biblica formalmente accettata dai cristiani di tutto il mondo. Si parla di un dio probabilmente stanco di pensare a se stesso pensante che decide di dedicarsi a qualcosa di costruttivo. Nonostante la sua natura dogmaticamente perfetta, riesce a superarsi creando una serie di cose volutamente imperfette, tra cui la terra, il mare con i fiumi, i laghi e tutto il resto. Poi le piante, gli animali ed infine l’eletto, l’essere uomo. Adamo ed EvaCreato ad immagine e somiglianza di dio al fine di avere qualcuno che lodasse la grandezza stessa del creatore, dio lo plasma da un poco di argilla, e con un soffio gli dona la vita. Poi, accorgendosi forse che l’uomo vedeva in ogni angolo del paradiso animali che si riproducevano in un modo che faceva pensare anche ad un certo coinvolgimento dei sensi, dio decide di evitare che la più alta delle sue creazioni ceda all’onanismo o alla zoofilia, e gli affianca una donna. Fin qui tutto bello. Ma dopo tante creazioni, anche dio ha il suo momento distruttivo. Crea quindi con un ultimo sforzo l’albero della conoscenza, e dopo averne mostrato chiaramente la posizione, chiede insistentemente all’uomo e alla donna di non mangiarne i frutti. Incredibile a dirsi, la donna ne mangia subito, e dopo coinvolge l’uomo nel suo peccato.Sir Biss Dio che sa e vede tutto se ne accorge, e li scaccia dal paradiso terrestre, fornendo in dote all’umanità discendente da questa coppia scellerata una vita fatta di sofferenze, di espiazione e di parti dolorosi, oltre a delle valide ragioni sessiste per considerare la donna moralmente più debole e quindi inferiore all’uomo. In tutta questa storia verrà coinvolto anche un povero serpente chiacchierone, che come punizione per aver partecipato perderà le zampe. Per l’ubriachezza molesta ed il razzismo occorrerà invece attendere l’arrivo di Noè ed il diluvio universale.

 

È una storiella molto divertente, ma forse un po’ imbarazzante. Credo che molti cristiani pure osservanti la considerino con un certo distacco, preferendo teorie scientifiche più moderne.

 

Come funziona l’evoluzione? Semplice: sopravvive l’essere vivente che è più efficiente nel garantirsi una discendenza. il cricetofante dai denti a sciabolaSe per esempio la tigre dai denti a sciabola è l’animale più forte e temuto di tutta la giungla, ma fa un unico cucciolo ogni cinque anni, e poi questo piccolo muore al primo raffreddore, allora alla tigre dai denti a sciabola non basta essere una poderosa macchina di morte, e soccomberà alla spietata legge della natura. Magari a vantaggio del criceto asiatico: un creatura di rara stupidità ma prolifico come pochi, della cui marea di figli nati ogni pochi mesi ce ne sarà sempre più di uno che in un modo o nell’altro riuscirà a sfuggire anche solo per caso alla morte per avere a sua volta dei figli molto prolifici.

 

E come si arriva a questo? Anche qui è abbastanza semplice: chi fa figli, si è dimostrato più efficiente di chi non li ha fatti o ne ha fatti di meno. Quindi chi fa figli porta avanti con questi il suo patrimonio genetico. A loro volta i figli saranno selezionati tra loro, e di nuovo solo quelli più efficienti potranno avere nuovi figli. Ed i nipoti dei primi quindi saranno frutto di una nuova selezione rispetto ai loro nonni. I ghepardi saranno sempre più veloci, e le gazzelle a loro volta dovranno cercare di essere pure sempre più veloci per sfuggire ai primi. E le tartarughe avranno il guscio sempre più resistente, se questa caratteristica dovesse rivelarsi utile alla loro sopravvivenza. Se invece per le tartarughe il guscio è ormai sufficientemente spesso per le loro necessità, allora magari saranno altri i criteri di miglioramento, tipo l’abilità nello scovare cibo migliore che non le intossichi, nel difendersi dall’inquinamento, o semplicemente nel compiacere di più le tartarughe di sesso opposto.

 

Tra genitori e figli la differenza di patrimonio genetico può essere minima, ma la natura di tempo ne ha avuto veramente tanto. La terra esiste da miliardi di anni, e quindi basta non usare l’anno o la vita di un essere umano come unità di misura per capire che queste cose possono funzionare, anche molto meglio della favola della creazione.

 

the Flying Spaghetti Monster creates allNon dimentichiamo però la terza spiegazione, ovvero quella pastafariana. E quella più semplice e anche più intuitiva e quindi, per il principio del Rasoio di Occam, è anche quella vera. Funziona così: all’origine di tutto, c’era il Flying Spaghetti Monster. Un giorno, a seguito probabilmente di una poderosa intossicazione alcolica, creò per sbaglio il mondo, e notò subito come non era un gran che, ma gli piacque lo stesso. Da essere superiore quale è, una delle Sue caratteristiche è quella dell’umiltà, e quindi decise subito di riempire ogni angolo del pianeta di false prove: ossa di dinosauro, deriva dei continenti e così via. Il tutto per far pensare all’umanità ad un origine naturale del cosmo e non ad una Sua creazione, ed evitare di essere adorato per quello che è, lasciando che l’umanità ed in particolare il suo popolo eletto, i pirati, vivessero in santa pace e divertirsi senza preoccuparsi troppo dell’aldilà o di divinità superbe da adorare. Solo sporadiche apparizioni nella vita di tutti i giorni testimoniano la Sua Divina Presenza.

 

Questa teoria assomiglia vagamente alla prima parte di quella biblica, ma è di gran lunga superiore. Come prima cosa non ha nessuna contraddizione: la teoria biblica infatti cade numerose volte di fronte a fatti scientifici che non è in grado di spiegare. La versione pastafariana, invece, giustifica appieno la ricerca scientifica, ricordando però che ogni nuova prova inconfutabile della veridicità di teorie scientifiche è solo il frutto dell’elaborato inganno procurato dallo stesso Flying Spaghetti Monster.

 

Cosa dovrò spiegare a mio figlio, quando mi chiederà qualcosa? Credo che non gli imporrò la versione pastafariana: la costrizione è un errore, e sicuramente va contro ai principi stessi della mia religione: non imporre niente a nessuno. Quindi, potrei limitargli a proporgli le altre due versioni, e lasciare che con il tempo arrivi da solo alla giusta soluzione.

 

Qualche tempo fa una nonna probabilmente non pastafariana ma di sicuro non cristiana, aveva scritto questo nella pagina di un gruppo di atei, agnostici, razionalisti e miscredenti vari:

 

Fine Arts Dinosaur Drawing“M. (my 5-yr old granddaughter): I understand that there were dinosaurs and they all died and then there were people, but where did the people come from?

B. (her Mom): That’s a really good question. Lots of grown people ask that same question. There are 2 ideas about that. One is called evolution. There were animals that looked kind of like big monkeys. They babies that looked a little more like people. Then when those had babies, they looked even more like people, and now we have people.

M. (looking a little skeptical): what’s the other idea?

B.: The other is called Creationism. This very powerful mystical being came to the earth and poof, poof, and then was a man and woman.

M.: WHAT!

She was so obviously indignant at having been told such a story that my daughter and her husband were laughing too much to talk about it.

B.: I tell you what. If you want to know more about evolution, ask your Grandma (me) and if you want to know more about Creationism, ask your N. (her other grandmother).

At 5 years old, she was a little skeptical about Evolution, but she knew Creationism couldn’t be right.”

 

(il disegno del dinosauro l’ho preso qui, onore al giovane artista) 

Che, tradotto per i non anglofoni, vuol dire:

 

“M. (la mia nipotina di cinque anni): ho capito che una volta c’erano i dinosauri, e che sono tutti morti e che dopo sono arrivati gli uomini, ma da dove sono venuti gli uomini?

B. (sua mamma): Questa è una bella domanda. Molte persone adulte se lo stanno chiedendo. Ci sono due teorie su questo. Una si chiama evoluzione. Una volta c’erano degli animali che assomigliavano a grosse scimmie. I loro piccoli assomigliavano un pochino di più a degli esseri umani. Poi, quando anche questi hanno avuto dei piccoli, questi assomigliavano ancora di più agli esseri umani, ed ora abbiamo gli esseri umani.

M. (guardandola un po’ scettica): e l’altra idea?

B.: L’altra si chiama creazionismo. C’è un essere mistico potentissimo che è venuto sulla Terra e puff, puff, ecco che dopo c’era un uomo ed una donna.

M.: COSA!?

Lei era così indignata che le si fosse stata raccontata questa storia, che mia figlia e suo marito facevano fatica a parlare dal ridere.

B.: Ti dico io cosa fare. Se vuoi saperne di più sull’evoluzione, allora chiedi a tua nonna (me) e se vuoi saperne di più sul Creazionismo chiedi alla tua N. (l’altra nonna).

A cinque anni, lei era un po’ scettica riguardo all’Evoluzione, ma sapeva che il Creazionismo non poteva essere giusto”

 

Questa storia mi piace, perché la madre è stata corretta nel riportare entrambe le teorie senza calcare la mano da una parte o dall’altra. Ed è stata la bambina di cinque anni a scegliere. Fa un po’ ridere che una bambina sia più attenta nell’accettare una storia, sia essa l’evoluzionismo come il creazionismo, con maggiore spirito critico di moltissimi adulti. Immagino però questo pensiero critico le sia stato insegnato da sempre, e ciò l’ha predisposta a prendere le distanze dalla teoria cristiana. Quindi, probabilmente non è il raccontare una storia: se mio figlio verrà cresciuto secondo i princìpi della critica e del ragionamento, non sarà un problema per lui capire da solo che tutta l’umanità non può discendere da una coppia di nudisti, così come i sensi di colpa del peccato originale e tanti altri trucchetti adoperati dalla chiesa cattolica non sono più uno strumenti sensati e credibili per condurre le persone ad una vita migliore.

il cardinale Lehmann

 

Credo che comunque tutte le informazioni sul cristianesimo sia meglio passargliele, se non altro per conoscenza e difesa. Non sai mai che brutta gente finirà per incontrare, ed è meglio che sia preparato, ma anche in considerazione delle scelte che intenderà fare in futuro. Non so se sia il caso che sia io stesso a spiegargli tutto quanto, o se sia meglio affidarlo a catechisti e preti. Categorie sociali che non amo particolarmente, ma che se non altro li ringrazio, perché è anche grazie alla loro ottusità e pochezza che adesso sono felice di essere quello che sono. Ma è anche vero che non sono sicuro che si possa iscrivere un bambino al catechismo se questo non ha ricevuto il battesimo. Nella peggiore delle ipotesi, mi limiterò all’ora di religione, anche se per come è gestita adesso è una di quelle inspiegabili assurdità nei rapporti tra stato e chiesa che più mi danno fastidio. Ma tant’è, le tasse le pago, tanto vale usufruire del pessimo servizio.

 

 

 -°-°-° problema numero 4: la fine del mondo °-°-°-

Dopo che ci si è chiesto come è iniziata la vita, l’universo e tutto quanto, non è lecito chiedersi anche come il tutto deve finire?

 

Durer beastPer i cristiani a rispondere a questa domanda ci ha pensato San Giovanni, importante figura religiosa nota anche per essere l’unico apostolo a non essere morto di morte violenta, oltre che l’unico evangelista che ha scritto le avventure di Gesù non per sentito dire da altri, ma dopo averlo conosciuto personalmente. Giovanni ha scritto alcuni libri che parlano della celebre apocalisse, ovvero il momento catastrofico in cui dio verrà a chiedere il conto a tutti i cristiani. Chi è già morto dovrà tornare in spirito sul pianeta a recuperare le sue spoglie mortali (auguri!!), mentre chi ancora le sta usando, semplicemente dovrà assurgere in cielo per recarsi al giudizio universale, dove verrà giudicato e quindi spedito nel luogo più adatto. In genere si parla di inferno (posto brutto) o di paradiso (posto bello). the raptureTutta la cerimonia sarà accompagnata da pirotecnici fenomeni sovrannaturali, tra cui il celebre drago dalle sette teste e undici corna che spazza con la codona un terzo delle stelle del cielo (ah, a parte il problema di distribuire equamente undici corna su sette teste, ricordatevi che le stelle sono solo dei pallini luminosi incollati sulla volta celeste, e che un poderoso colpo di coda può staccarle con grande facilità) e per finire i quattro cavalieri della, appunto, apocalisse. Più angeli strombazzanti e vergini che partoriscono. Di nuovo. È incredibile la facilità con cui le vergini rimangono incinte nel nuovo testamento. Insomma, decisamente un bello spettacolo, che per nulla andrebbe perso.

 

Cosa accade ai non credenti, in tutta questa confusione? A quanto pare niente. Semplicemente, non verranno chiamati a rispondere delle loro gesta di fronte al giudice universale, e assisteranno impotenti al più grande spettacolo del mondo. Alla fine di tutto, si ritroveranno magicamente ad abitare lo stesso pianeta di prima, solo senza i cristiani, e con la strana consapevolezza di essere sopravvissuti alla fine del mondo. Che a dirla tutta, come apocalittica fine del mondo non è poi questo gran che, a parte lo spettacolo. Sarebbe più opportuno definirla come “la fine dei cristiani”.

 

Purtroppo però, anche se in fondo un po’ ci spero, so già che difficilmente accadrà tutto questo. Probabilmente il pianeta Terra finirà in un modo più prevedibile, ovvero bruciacchiato o inghiottito da un vecchio sole, che il tempo avrà trasformato in una enorme stella gigante rossa. Non accadrà in tempi così rapidi da ricavarci la trama per un avvincente film catastrofico hollywoodiano, ma pare sia inevitabile: se nel giro di qualche miliardo di anni non riusciamo a racimolare una quantità sufficiente di idrogeno e ad iniettarla all’interno del sole, questo si vedrà costretto a cambiare il suo metabolismo, e a cercare di mangiarsi via via i pianeti che gli stanno più vicini. Siamo il terzo di una decina: questo ci dà un po’ di tempo, ma poteva anche andare meglio.

 

È brutto pensare che il pianeta Terra finisca distrutto dal sole che generosamente gli dà la vita. E solo in parte mi consola l’idea che comunque ci restano un po’ di miliardi di anni per spassarcela. Se non altro, sono quai certo che per allora l’Italia sia uscita dalla crisi, e che sia riuscita in tutto questo tempo ad aver un governo che abbia abolito l’otto per mille e tutti gli assurdi privilegi accordati alla curia cattolica italiana. Spero anche di non dover aspettare miliardi di anni per vedere queste cose realizzarsi. E se già adesso noi iniziamo a fare delle piccole scelte familiari che prendano nettamente le distanze dalle imperanti pratiche della chiesa, con il tempo le abitudini comuni cambieranno, e non ci sarà più bisogno che un premuroso padre pastafariano scriva in una pagina i suoi pensieri e le sue preoccupazioni riguardo all’educazione di suo figlio, ma sarà a volta di uno sconvolto padre cattolico, che farà un disperato appello per trovare un qualsiasi prete che possa battezzare suo figlio.

 

Ho finito.

Pirate daddy

Questo papà amorevole e piratesco l’ho preso qui.

A Caterpillar si parla del Flying Spaghetti Monster

Fying Spaghetti Monster a Caterplillar

 

Un paio di giorni fa a Caterpillar hanno intervistato un ministro del culto pastafariano. E’ bello quando accadono queste cose: da una parte una delle mie trasmissioni preferite sulla mia stazione radio preferita, dall’altra la mia religione preferita. Queste unioni hanno sempre qualcosa di mistico, come un rapporto amoroso tra due cari amici a cui voglio molto bene e che pensavo non si conoscessero, ma che scopro che hanno una relazione a mia insaputa. E’ successa una cosa simile circa un mese fa: Umberto Guidoni, il più celebre astrofisico e astronauta italiano, è venuto a parlare di cose nella chiesa (sconsacrata) attaccata a casa mia. Separato solo da un muro dal gabinetto di casa mia c’era una celebrità italiana, e non una celebrità effimera da televisione, ma una celebrità guadagnata sul campo della scienza, cosa rara.

 

Non divaghiamo e torniamo a Caterpillar e al ministro di culto pastafariano. L’evento scatenante è stato il giuramento a Pomfret Town di un nuovo membro del consilio, tale Christopher Schaffer, che in quanto pastafariano ha trovato giusto indossare uno scolapasta durante l’atto ufficiale. Nessuno ha fatto storie, ma anche questa volta c’è stata un po’ di curiosità per il gesto da parte di chi ancora non conosce le Sugose Vie del Divino Spaghetto. Tra questi i signori di Caterpillar. Che come loro solito hanno fatto appello al popolo della radio affinché qualcuno competente e magari credente si annunciasse a loro ed al popolo della radio per spiegare qualcosa di più.

 

E il ministro ha chiamato. Tale Adriano Ronco, gestore di un rifugio a Erto, credo sulle dolomiti friulane. Il ministro è stato molto ben preparato. Ha risposto alle domande e spiegato correttamente vari dettagli sulla Vera Religione, soffermandosi su alcune questioni importanti, come il fatto che tutti siamo Pastafariani, anche quelli che ancora non lo sanno, e che il pastafarianesimo è una religione che se per certi versi è di scarsa moralità, è altresì una delle più rispettose delle altre, come chiede che sia lo stesso Flying Spaghetti Monster nel suo primo condimento e come derivato dal fatto che non ha mai fatto nessuna crociata. Si è usata l’espressione Prodigioso Spaghetto Volante, che noi hastalapastafariani non amiamo particolarmente e che reputiamo sia solo il frutto di un imbarazzante traduzione editoriale, ma credo che sia il meno. In conclusione di tutto, mi è anche venuta voglia di visitare tale rifugio dove lavora il nostro fratello pastafariano, ma dopo una breve indagine virtuale sembra che nella zona di Erto ci sia più di un rifugio, e non vorrei trovarmi a vagare per giorni a casaccio per le dolomiti friulane, notoriamente molto piovose. Anche se si sa che l’altitudine, lo sfrozo fisico e l’isolamento facilita sempre il contatto col Divino, ed ogni esperienza montana rafforza le proprie convinzioni religiose.

 

Per chi si fosse perso la trasmissione, c’è sempre il podcast. Per quelli che sono in ritardo e non lo trovano più, l’ho scaricato io per loro. Eccolo qui. PEr chi è poi così pigro che non vuole sentirsi una serie di chiacchiere facete su altri argomenti meno interessanti, sappia che l’argomento Pastafarianesimo inizia a 15 e 42 dall’inizio.

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Bevi la Coca Cola, che ti fa bene! Per forza ti fa bene: è ricchissima di energie! Pensate, da una fonte ufficiale come può essere il retro di una lattina da 33, scopro che fornisce addirittura il 38% del fabbisogno energetico giornaliero! Praticamente se dopo aver aperto una lattina di Coca Cola intendo anche bermela tutta, posso fare a meno direttamente di mangiare, perché ho già abbastanza energie per arrivare al pasto successivo.

 

Certo, se si segue una dieta di soli zuccheri semplici senza il benché minimo apporto di quelle altre cose che sono le proteine, i grassi, i sali minerali, le fibre alimentari o le vitamine ci sono un po’ di effetti collaterali sul nostro organismo, ma non voglio star qui a descriverli. Qualcuno addirittura si è preso la briga di misurare e di riportare dettagliatamente quello che accade dentro al nostro corpo quando si beve una Coca Cola. Sono tutte cose un po’ particolari e alcune anche decisamente divertenti, in particolare quelle che causano un’occulta dipendenza. Leggete tutto, se vi va, io non voglio essere noioso a ripetermi.

 

Devo però fare una precisazione: per certi versi la Coca Cola può apparire come eccessivamente energetica o addirittura dannosa per noi pigri uomini e donne moderni, dato che ormai siamo poco avvezzi a consumare ingenti quantità di energie arrampicandosi sul sartiame di un’imbarcazione, assaltando all’arma bianca città della costa o praticando altre salubri attività all’aria aperta. Al giorno d’oggi anche la pirateria viene praticata seduti davanti ad un computer e di energie se ne consumano molte di meno. Da qui l’evidente proposta dell’azienda di bibite gassate: condividi la tua Coca Cola con qualcuno!

 

Condividila con un diabetico, per esempio: Condividi questa Coca Cola con un diabetico

 

O anche con un obeso:


Condividi questa Coca Cola con un obeso

 

O, meglio ancora, con il tuo peggior nemico: Condividi questa Coca Cola con il tuo peggior nemico

 

Per conto mio, dato che per quanto possibile cerco di evitare di rientrare in queste categorie sociali, mi asterrò completamente dal consumare Coca Cola. Anche perché la mia ferrea dieta pastafariana a base di birra e pasta un po’ me lo impedisce.

 

Sia chiaro che le immagini qui sopra sono elaborate al computer, e che tali versioni non sono al momento disponibili in commercio, e per quello che mi è dato di sapere non esistono proprio. Forse lo saranno più avanti, quando le stesse regole esistenti per i prodotti dell’industria del tabacco verranno applicate anche a quella delle bevande zuccherine, ma per adesso non se ne fe niente. Scrivo questo prima che i legali della multinazionale della citata bevanda analcolica, che ha risorse economiche più elevate delle mie, possa averne a male e decida di investire parte di queste risorse in un tribunale contro di me.