Quando i preti e i loro amici parlano di ateismo alla radio

Per quelli di voi che hanno la fortuna di avere un bambino di un anno, potrà capitare di essere già operativi alle sette della domenica mattina. E se magari vi è anche capitato di fare colazione con la radio accesa, potreste aver goduto delle adamantine perle di saggezza di Culto Evangelico, ovvero una delle innumerevoli trasmissioni di indottrinamento cattolico presenti sui canali nazionali.

 

Culto Evangelico

 

La trasmissione è assolutamente insignificante in sè. Quando mi ci imbatto, l’ascolto senza prestare orecchio, se non per farmi ricordare distrattamente di non aver alcun rimpianto per questa bizzarra religione abbandonata anni fa.

 

Il finale della trasmissione però può rivelarsi più interessante con la rubrica parliamone insieme, in cui il conduttore Luca Baratto sceglie un argomento da affrontare per i suoi ascoltatori mattinieri. E questa volta era particolarmente interessante. Si parlava del professore Umberto Veronesi, che con l’uscita del suo libro lascia un estratto su Repubblica che parla delle ragioni del suo ateismo. Tanti si sono lamentati, pochi congratulati. Non so se devo congratularmi o no. Per conto mio mi sembra anche normale che una persona che ha fatto della scienza il suo campo di studi di una vita non creda a superstizioni e leggende popolari quali la religione cattolica. Anche il conduttore ci tiene a dire pure lui la sua, seguendo il rigoroso profilo del giornalista cattolico.

 

Se volete ascoltarlo, lo trovate qui; inizia a 16:40 se volete sentire anche la musichetta, nove secondi dopo senza.  Se invece preferite leggerlo, allora ho fatto lo sforzo pr voi, e l’ho riportato per intero qui sotto.


 

Questa settimana sono stato sollecitato da più parti a leggere l’estratto pubblicato da un quotidiano nazionale dell’ultimo libro di Umberto Veronesi, nel quale il famoso oncologo spiega il suo ateismo con l’impossibilità di coniugare l’esistenza di dio con la presenza del male. Quel male che egli quotidianamente sperimenta nel cancro che consuma gli esseri umani. Mi sono procurato il testo, l’ho letto e alla fine mi è venuto da dire, proprio dal cuore, che bella testimonianza! Perché, è vero, Veronesi dice di non credere in dio. Però se quest’uomo è senza dio, non è senza spiritualità. Una spiritualità laica, in cui l’amore per la scienza va insieme all’amore per l’essere umano, che impegna la vita di una persona a combattere il male. E poi ecco finalmente un ateo che non è eroso dal rancore verso la religione, che non sente la necessità di smascherare ovunque ingenuità e inganni nascosti nella fede di chi crede, ma che presenta una spiritualità positiva capace di lasciarsi coinvolgere in un progetto e in una missione. Nella mia formazione di credente, mi è stato insegnato dalla mia famiglia e dalla mia chiesa che una persona capace di questo slancio è sempre un buon compagno di viaggio, con il quale si può fare ben più di un pezzo di strada. E mi è stato anche insegnato a non stupirmi del fatto che una persona buona possa non credere in dio, perché tante possono essere le ragioni e le esperienze che conducono a questa convinzione. E infatti la ragione addotta da Veronesi è delle più serie. Forse è la più seria: come conciliare l’esistenza di un dio buono con li male? E non un male astratto, ma quello del tumore che consuma sotto gli occhi di familiari, amici e dottori il corpo di un bambino. Ci sono pagine e pagine di riflessioni teologiche, e nessuna ha mai rislto il problema. Come credente, so solo questo: che la vita è contraddittoria, e in essa il senso e il non senso sono intrecciati in modo tale che laddove si sperimenta l’insensatezza maggiore, e il male è insensato, si può anche scoprire uno spazio di senso della propria esistenza, un piccolo spazio di senso sufficiente ad illuminare l’esistenza intera. Così, per me, è la fede in Gesù Cristo. Piccolo frammento di senso nel mezzo di un mondo che testimonia tutto il contrario. Piccolo e tuttavia sufficiente ad illuminare tutta la mia esistenza. In questo come il professor Veronesi presumo, diversi. Ma la fede non è avere le rispote a tutte le domande. La fede è soprattutto camminare. Camminare con Gesù, seguirlo, e camminare anche con gli altri. E oggi, piuttosto che essermi imbattuto in un chirurgo senza dio, mi sembra di aver scoperto un compagno di viaggio. 

 

Perché ci tenevo a parlare di questa trasmissione di cui forse un italiano su diecimila avrà sentito parlare? Perché mi sono sentito chiamato in causa. Io sono uno di quegli atei erosi dal rancore verso la religione, che sentono la necessità di smascherare ovunque ingenuità e inganni nascosti nella fede di chi crede. In più aggiungerei che sono pure uno di quegli atei che è infastidito per tutto lo spazio riservato alla dottrina cattolica sulle reti di servizio pubblico, a fronte di un bel niente per gli atei, che pure non sono pochi. Pazienza per i pastafariani: di sicuro non ne troverai nessuno disposto a parlare alla radio la domenica mattina. Sono uno di quegli atei a cui dà fastidio essere considerati da un servizio pubblico come una anormalità della fede, come una specie di piccola percentuale di pecorelle per cui è statisticamente normale perdere il sentiero del buon pastore, magari per debolezza o deliberata cattiveria; oppure, come nel caso del professor Veronesi, per esperienze forti nella vita a cui sono state date le risposte sbagliate. Sono stanco che questo sia considerato normale. Non lo è. Normale è una radio pubblica al servizio di uno stato laico, in cui si fa informazione, cultura ed intrattenimento, non catechismo su larga scala. Chi ha voglia di prediche e di rosari cambia stazione e mette di Radio Maria o su qualunque stazione trasmetta privatamente quello che la sua religione vuol fargli credere. E sono pure stanco di abitare in una nazione in cui un povero giornalista col paraocchi possa permettersi in virtù di non so quale principio di analizzare e giudicare le scelte della vita di un uomo di scienza, come a porsi al suo pari se non ad un gradino superiore. Non è normale e non mi piace.

 

Che cos’altro mi erode di rancore verso la religione? Forse il solito, banale, trito e ritrito pregiudizio che se uno è ateo è con tutta probabilità una persona cattiva. Ricito:

 

mi è stato anche insegnato a non stupirmi del fatto che una persona buona possa non credere in dio, perché tante possono essere le ragioni e le esperienze che conducono a questa convinzione

Tipo una buona istruzione? La storia insegna che non sono gli atei ad uccidere per religione. Gli atei sono liberi dal controllo della moralità distorta della religione, e sono capaci da soli di capire cosa è giusto o sbagliato, senza la ridicola minaccia di inferno e paradiso. La frase citata dice che Veronesi è si ateo, però è bravo. Ed è solo colpa del fatto che fa l’oncologo che ha perso la fede: un rischio del mestiere in cui difficilmente si imbatte chi fa il giornalista cattolico per la Rai. Per me equivale alle più squallide affermazioni razziste che ho sentito mille e più volte, un po’ da tutte le parti. Tipo:

 

È meridionale, però lavora

 

oppure

 

Viene dall’Europa dell’Est, ma è onesto

E già il fatto di riconoscere delle qualità nascoste ed inaspettate nella persona, fa sentire chi le ha procunciate non come un razzista, ma come una specie di illiminato pensatore. Non è così, e non credo che debba stare qui a spiegarlo.

 

Finché queste cose le sento dire di altre categorie, mi dà fastidio. Ma quando non so come mi ritrovo dentro anch’io in una categoria, quella di quegli sbadati che hanno perso la fede, allora mi sento eroso dal rancore. E posso capire anche il rancore di tutti i meridionali lavoratori e degli est-europei onesti.

 

Il finale del monologo è classico: non ci sono risposte, ma solo domande. L”importante è camminare con Gesù, dietro a Gesù, eccetera. Che bello. Che bella questa vita in cui ci sono anche degli atei spirituali con cui poter parlare, e condividere un pezzo di cammino. Grazie signore grazie grazie. Magari arriverà un giorno in cui alla radio potranno parlare delle persone che hanno qualcosa da dire.

 

Le risposte in realtà ci sono da tempo. La prima è 42, lo sanno tutti ormai. Per chi invece vuole delle cose più concrete sul significato della vita, allora troverà quello che cerca qui.

 

Il senso della vita