Scuole fredde e mamme surriscaldate

Mentre in un altro continente accadevano fatti sconvolgenti, tipo gentaglia che non vorrei nemmeno nella mia osteria che si aggirava senza invito e senza mascherina nelle aule del Campidoglio a Washington, anche nel nostro paesotto abbiamo vissuto un piccolo dramma su scala locale.

Premessa: il comune deve mettere a norma antisismica le scuole dove vanno i nostri bambini. Quelle facili da sistemare sono già state sistemate. Altre pare siano impossibili da mettere a posto e probabilmente dovranno essere ricostruite solo dopo essere rase al suolo, possibilmente prima che ci pensi un terremoto. Quella dove va mio figlio è di tipo intermedio: a quanto pare devono costruirci un nuovo scheletro, per tenere in piedi quello vecchio. E’ una cosa antipatica e complicata, anche perché mentre lo si fa la scuola è inagibile e tutte le classi dovranno essere smistate in giro per gli altri istituti. Ricordiamo che c’è ancora di mezzo ancora il virus, quindi non sarà semplice garantire le distanze e tutto il resto, con istituti più pieni del solito. Facilmente in giunta avranno pensato che è meglio perdere un po’ di consenso popolare in questo modo che non rischiare di essere ricordati come quelli che erano in carica quando una scuola è crollata sulla teste di alcune centinaia dei nostri figli.

Oltre quindi a dover pensare all’intervento antisismico, ci sarà da riorganizzare tante altre cose, come le mense e i trasporti. Può anche succedere che un genitore si ritrovi ad avere i figli temporaneamente smistati su scuole diverse e a dover fare un po’ di corse in macchina, proprio nel momento in cui tanti altri genitori pretendono di usare la loro macchina per fare lo stesso. Potrà capire o potrà brontolare, ma di certo sarà d’accordo che una scuola antisismica vale più di un fastidio temporaneo.

Ed eccoci a noi, il primo giorno di scuola dopo le vacanze e il primo nell’altra scuola. Mio figlio non è nemmeno troppo agitato. Il suo pensiero principale è che vedrà un vecchio amico dell’asilo, e non sa se potrà giocare con lui o no. Noi genitori siamo comprensibilmente preoccupati perché è una cosa delicata in un periodo difficile, e speriamo che vada tutto bene. Sui social network l’opposizione, che abbia figli o no, è già pronta con i fucili puntati.

Come è andata? Bene, mi dice la mia amata: c’era un po’ di confusione, ma alla fine nostro figlio è riuscito ad entrare in classe, con un lieve ma tollerabile ritardo. C’era un problema però: non andava il riscaldamento! Ma solo quello di alcune classi, tra cui la nostra, quindi ha fatto lezione col cappotto. Ah, pensa un po’. E per me la cosa finisce lì. Mio figlio per oggi pranza con noi e già ci racconta che cambiandolo di banco aveva la possibilità di tormentare con i suoi racconti una compagna di classe differente, ed è tutto sommato contento.

Ma non finisce qui! Perché non c’è niente di meglio di un bel disservizio per tirare le conclusioni drammatiche che ci fanno più comodo, addossandole al nostro nemico preferito. In primo luogo l’opposizione, che forte delle sue tremende opinioni sul sindaco, sottolineava a gran voce la sua incapacità nell’impostare le caldaie della scuola. Dove andremo a finire! Mi chiedo se la sua inadeguatezza fosse proprio quella di non avere letto il manuale di istruzioni dell’impianto e di essersi messo a schiacciare pulsanti e girare valvole a caso, o se magari non si sia ricordato il giorno prima di fare il giro della scuola a sfiatare i caloriferi delle varie aule. O forse è colpevole di avere delegato male, non avendo ricordato al preside della scuola che anche i bambini in arrivo, come gli altri, avevano bisogno delle aule riscaldate, e quest’ultimo ha pensato che non fosse necessario accenderne i termosifoni. Resta il fatto che la testa del responsabile veniva chiesta a gran voce, e la testa era quella del sindaco. Non so perché si sono fermati al sindaco e non si è arrivati, che so, al governatore. Forse perché il governatore è del loro stesso colore?

Ma non solo i leoni da tastiera dell’opposizione hanno avuto carne per i loro denti: anche le mamme del gruppo WhatsApp erano prese in una bella discussione. Una cosa ha aggravato il fatto del riscaldamento, già di per sè increscioso: è emerso subito che i bambini avevano passato l’intervallo all’aperto, e ne portavano addosso i segni evidenti! Scarpe infangate, braghe macchiate, cose così. Io stesso ho notato che con quello che ho tolto da sotto le suole degli scarponcini di mio figlio avrei potuto riempire un piccolo vaso di fiori. Ho concluso che dovevano essersi divertiti proprio tanto, nella nuova scuola. Sicuramente più degli addetti alle pulizie delle aule. Ma le mamme erano scatenate: su WhatsApp era tutto un proliferare di foto di abiti sudici e scarpe inzaccherate, in una gara a chi riusciva a dimostrare di avere il figlio più trasandato. Dal conto mio ho pensato che se le aule non erano riscaldate aveva ben poco senso tenere i bambini al chiuso: freddo per freddo tanto valeva farli correre un po’ all’aperto, che almeno si divertivano e c’era pure meno rischio di contagio. Non c’era neppure il problema di farli vestire, visto che erano già belli che pronti. Ma alcune mamme non la pensano così, e vedevano gli abiti sporchi come la beffa dopo il danno della scuola non riscaldata, e giù a chiedere giustificazioni o a minacciare interventi improbabili, questa volta non contro il sindaco, ma contro chissà quale responsabile scolastico. Le più bellicose, forti del consenso riscosso, avevano tutta l’aria di essere pronte a mettersi un copricapo cornuto e pellicciato per irrompere nella scuola e occupare un qualche ufficio dirigenziale. Come al solito i genitori a modo o sono silenziosi oppure hanno semplicemente altre cose a cui dedicarsi: bastano poche mamme infervorate con una buona dose di tempo libero a trascinarne altre meno critiche e a trasformare un gruppo di utilità in una deriva grottesca.

Io sono cresciuto in una scuola che già allora era talmente decadente che non penso ci siano molti edifici meno antisismici in paese. Ero pure al secondo piano: altro che le scuole di adesso, tutte a piano terra. Se non c’era un piano di evacuazione forse è perché erano altri tempi, ma forse anche perché era surreale anche solo pensarci. Forse per questo motivo era uno degli ultimi anni che sarebbe stata usata. Di terremoti grossi da noi non ce ne sono da un bel po’ di secoli, e alla fine l’edificio è ancora lì al suo posto, solo più triste e vuoto di prima. Essendo poi una specie di oratorio, il riscaldamento stesso era materia di fede. Le finestre erano del tipo che tremavano quando passava un camion per strada, quindi era abbastanza normale che in aula se non faceva freddo era perché faceva freddissimo. Ma non ci lamentavamo, perché tutti avevamo delle nonne che ci raccontavano delle loro stufe a legna o a carbone. Una delle mie nonne abitava in una località il cui nome, tradotto in italiano, significa “Sopra le nuvole”, giusto per dare l’idea di cose volesse dire per lei scendere in paese ogni mattina per andare a scuola. Lungo la strada aveva tutto il tempo di raccogliere la legna, di modo che la classe fosse giusto un po’ più calda dell’ambiente esterno. Probabilmente si considerava ancora fortunata, perché mi sa che il suo di nonno a scuola non ha nemmeno potuto andarci, e quando aveva l’età di mio figlio già lavorava nei campi o pascolava le pecore da un pezzo. A quanto pare nel giro di tre generazioni il nostro patrimonio genetico si è talmente deteriorato che anche solo una mattina al freddo può comprometterlo permanentemente. O forse è più una questione di abitudine: da che ho capito in questi giorni i nostri figli non sono più abituati a giocare all’aperto: anche una sola mattinata può rivelarsi fatale! Meglio non correre rischi e tenerli chiusi al caldo fino ai primi giorni di aprile. Sempre che il tetto della scuola non gli crolli sulla testa.