Il lavoro ieri, oggi e nel mondo che verrà per quelli che lavorano seduti su una sedia o sul sedile di una automobile

Un ingorgo a croce uncinata, affascinante da guardare ma meno quando si contribuisce a realizzarlo

E’ da un po’ che lavoro da casa. Mi hanno detto da poco però che a breve si debba rientrare a farsi vedere almeno un po’ dai capi e da quelli che a casa a lavorare non ci sono mai stati. Questo perché va bene tutto, ma la videoconferenza non è la stessa cosa di condividere la stanza e le infezioni con i propri colleghi. L’idea di tornare ad indossare pantaloni e scarpe già mi manda un po’ nel panico, figuriamoci quella di lavorare con guanti, mascherina e colleghi poco rispettosi degli spazi altrui.

In questi mesi di telelavoro abbiamo continuato a scriverci, telefonarci e a videovederci, almeno tra colleghi simpatici: eravamo tutti d’accordo nel dire che a casa si lavora un gran bene, e quindi implicitamente contenti di avere schermi e telecamere a separarci. Forse che in telelavoro ci si fa più riguardo a disturbare un collega a casa sua, ma il lavoro fila via più liscio che non in ufficio, dove spesso le giornate finiscono con quella strana sensazione di aver corso come un matto tutto il giorno e di non aver fatto assolutamente niente. Come è che quando la gente lavora da casa è meno fastidiosa? Vallo a capire. Per me quando si condivide un ufficio ci sentiamo il diritto e il dovere di condividere anche tutte le nostre questioni, ma questo porta da sè la conclusione che chiunque nelle stesse condizioni si senta autorizzato a fare lo stesso.

L’altro giorno però è successa una cosa particolare: per la prima volta sono stato invitato ad una videoconferenza che includeva praticamente tutti i rappresentanti e i colleghi dell’ufficio vendite. Questi ultimi sono quelli con cui comnunico di solito, e so come la pensano sul telelavoro: ne sono innamorati almeno quanto lo sono io e fosse per loro lo terrebbero almeno fino al giorno della pensione, limitando forse le visite in azienda a quei giorni in cui è prevista una partita di basket in pausa pranzo. I rappresentanti però sono un popolo diverso: a loro piace stare in macchina e andare in giro nella aziende degli altri, e se proprio mentre stanno guidando ci sono momenti in cui si annoiano o si sentono in po’ soli ecco che sollevano il telefono, chiamano qualcuno degli uffici e a quel punto inventano un motivo plausibile per aver telefonato. Molti di loro poi mi confessano proprio che il rinchiudersi nei loro accessoriati scatolotti di metallo gli dà un irrinunciabile senso di libertà che solo l’idea di passare un giorno in ufficio li fa soffrire di claustrofobia. Vai a capire quanto siamo diversi.

Nonostante sapessero tutti che alla tal ora era previsto un incontro via Internet con il capo e i colleghi, ben cinque di loro non hanno saputo comunque organizzarsi per farsi trovare seduti su una sedia o un divano, ma che era preferibile tenere la conferenza in un parcheggio al volante della loro vettura. Magari era per dimostrare al capo che loro non smettono mai di lavorare secondo il loro concetto di lavoro, chi lo sa. resta il fatto che a me davano l’impressione di essere dei poveretti a cui le mogli esasperate hanno tolto le chiavi di casa e che in automobile ci dormivano anche.

Ed ecco la parte interessante: molti di loro, non solo i cinque in automobile ma loro in particolare, si lamentavano che molti clienti non li fanno entrare! Soprattutto i clienti grossi, pensa un po’. Chi non vorrebbe avere un tizio dall’aria stropicciata che gironzola per l’azienda dopo che ne ha girate chissà quante altre? Per i clienti piccoli invece pare che la visita di cortesia, con o senza mascherina, sia ancora più che gradita. Forse vale pure la considerazione che se sei venuto a trovarmi nonostante sono mesi che il virus e il governo ti invitano a non farlo devi essere proprio una brava persona e un amico fidato, e quindi ordinerò i tuoi prodotti e non quelli dei concorrenti che al massimo si sono presi il disturbo di telefonare con il culo al sicuro nel divano di casa mentre io sono qui a lavorare. Per non parlare poi di quelli che mandano le email!

Alcuni rappresentanti facevano notare che con la tecnologia fornita dall’azienda si possono comunque fare cose affascinanti, dove il cliente lo permette o lo pretende. Ad esempio si può fissare un appuntamento via Internet e poi farci una videochiaccierata. E’ una cosa pure facilissima che funziona senza problemi pure con il telefono, strumento a cui i rappresentanti sono tanto affezionati.

Altri di contro facevano notare che col fatto che molti clienti non ti aprono nemmeno il cancello e ti lasciano miseramente fuori nel piazzale, i giri giornalieri sono più brevi e non si riesce a riempire la giornata. Se poi dopo una serie di visite inutili i nostri rappresentanti hanno capito che era il caso di abbandonare il metodo della visita non annunciata per concordare prima un appuntamento per telefono, magari è pure finita che da Paspardo a Zurlengo in macchina non ci sono proprio andati e quindi il tempo risparmiato non è stato solo quello dei tentativi di visita dal parcheggio dell’azienda, ma anche tutto il viaggio. Certo che la giornata lavorativa si svuota!

E qui ho avuto la mia pensata: se dovessi dividere la giornata del rappresentante prima della crisi del virus in base a quello che facevano, quanto tempo passavano a:

  • andare dai clienti?
  • visitare i clienti?
  • parlare di calcio o di altre cose secondo il piacere e i gusti di clienti visitati?
  • spostarsi per cambiare cliente?
  • scambiare informazioni di lavoro al telefono o in casi estremi per email con l’ufficio vendite, la produzione o altri clienti?
  • tornare a casa?

Risposta: non ne ho proprio idea, ma sospetto che passino almeno tre quarti del tempo ad ingombrare le strade con i loro veicoli grossi e poco ecosostenibili. Nessuno di loro usa la bicicletta o i mezzi pubblici per visitare i clienti, giusto per capire, anche se questo li aiuterebbe a riempire di più la giornata in questi tempi di clienti ostili. Quando poi in azienda mi capitava di incrociare due o più di loro in un corridoio, li sentivo sempre presi da discorsi tutti particolari, legati al possesso di un certo tipo di veicolo rispetto ad un altro o di come uno sia preferibile per raggiungere nel modo migliore una ambita soglia di chilometri percorsi in un anno. Per loro il chilometraggio annuale è oggetto di vanto quanto le dimensioni del pene per un pornodivo, a prescindere dell’uso che viene fatto di entrambi. Non è un caso che tutti i rappresentanti della mia azienda, del presente e del passato, in Italia e nel mondo, sono maschietti e non femminucce. Non oso immaginare che faccia farebbero se sapessero che io e il mio collega in due abbiamo fatto venti chilometri in un mese.

Da questo credo che chiedere ad un rappresentante di lavorare il più possibile senza automobile sia come pretentere che un attore porno lavori senza pene, oppure con un pene in affitto o in condivisione.

Se poi penso a quando mi capitava ancora di andare in giro per le strade, sono convinto che quasi tutte le grosse e potenti berline presenti contenessero un rappresentante intento a spostare il suo corpo da una azienda ad un’altra. Secondo una mia osservazione sono pure le automobili con un concetto distorto tutto loro sull’uso di strumenti oggettivi come frecce, abbaglianti, clacson, linee di mezzeria e marciapiedi, come se percorrendo una strada molte più volte di me questo gli dà il diritto a comportarsi come se la strada fosse la loro e io fossi una presenza a malapena tollerata. La mia opinione quindi è che dovremmo fare ogni sforzo per educare questi personaggi un po’ molesti a starsene a lavorare a casa propria: il mondo sarebbe meno inquinato, le strade più amichevoli e chi per fortuna o purtroppo si ritrova costretto a lavorare in azienda meno stressato dalla loro incombente presenza. In più avrebbero più tempo per compiacere le loro mogli, e non è una cosa da poco, visto che dovranno passarci insieme molto più tempo.