La religione ai tempi del virus

Questa bella foto non l’ho fatta io: l’ho presa qui

Quello che mi sconcerta di più di tutta questa cosa del virus è che i preti e tutta quella gente lì non sa bene cosa dire e cosa fare. E’ una cosa veramente strana perché di solito hanno una ricetta per tutto: crisi economica, immigrazione, come, perché e soprattutto con chi fare l’amore, ce ne è per tutti. Come se il loro ossequioso gregge di pecorelle non fosse in grado di avere un’opinione o di prendere una sola decisione autonoma e avesse sempre bisogno di qualcuno che lo faccia al posto loro. Adesso però che c’è un problema oggettivo che sembra fregarsene altamente dell’autorità religiosa, ecco che le cose cambiano un po’. Per la prima volta da che so io il fedele è invitato ufficialmente a non andare a messa, in spregio al terzo comandamento:

Ricordati di santificare le feste!

E’ una triste ammissione di impotenza per l’organizzazione più vecchia e potente del mondo: non solo l’amore del divino non può nulla di fronte al contagio: addirittura peggiora le cose! Abitudini antiche come mettere tutti le mani nella stessa boccia d’acqua dalle presunte proprietà divine, darsi la mano, parlare e cantare tutti insieme in uno spazio ristretto, ricevere del cibo per mano di un celebrante che poco prima ha toccacciato una serie di oggetti di dubbia igiene, tra vecchi libri e suppellettili varie, insomma sono tutte cose che vanno un po’ contro le indicazioni del ministero della sanità, oltre che del comune buon senso. Se un ristorante seguisse le stesse regole igieniche verrebbe chiuso dai NAS nel giro di una settimana.

Quello che rimane da tutto questo è una triste constatazione: dio onnipotente è stato sbaragliato senza poter opporre la minima resistenza da un invisibile pezzettino di codice genetico vagante.