Sulla tassa sulla tassa sui rifiuti

Anche nella vita di un buon pirata timorato del Dio ci sono dei momenti in cui è necessario scontrarsi con la dura realtà della vita quotidiana. Non si vive di soli arrembaggi, birra e smargiassate. Siamo un popolo ospite, una minoranza, e a volte bisogna anche rispettare gli usi e costumi dell’altra gente. Non sia mai che si dica di me che sono un pirata maleducato o incivile.

 

Insomma, devo pagare una tassa sui rifiuti. Perché non siamo in mare, e non si può buttare ogni immondizia dall’oblò o facendola camminare sulla passerella.

 

Per pagare la tassa sui rifiuti devo però scontrarmi con una delle realtà più temute della deviata umanità moderna: l’ufficio postale. Questa aberrazione del genere umano è un non-luogo dove anime perdute trascinano il loro triste corpo mortale per svolgere una serie di discordanti operazioni, la cui stragrande maggioranza potrebbe essere tranquillamente svolta da casa, in un luogo più piacevole o addirittura automaticamente da delle macchine incoscienti, o non svolta del tutto. La terribile evidenza poi è la crudeltà del procedimento: per fare ogni cosa all’ufficio postale devo attendere umilmente il mio turno amalgamandomi nella massa infelice di gente già arrivata da tempo immemore, umiliata da una febbricitante attesa senza fine del proprio turno.

 

Coda all'ufficio postale
Tre miei concittadini in coda all’ufficio postale di Gussago (foto di archivio)

 

In teoria la coda alle poste dovrebbe mostrare una estrazione casuale di persone,  ma credo che non sia così. Un po’ la sofferenza del momento stesso, un po’ che forse molta gente si ritrova per sua disgrazia a frequentare questi luoghi più spesso di altre persone, e che ciò non giovi alla salute e al morale. L’impressione che si ha è sempre quella di sprofondare in un girone dantesco per espiare già in vita un qualche male commesso e dimenticato.


La gente in coda alle poste si incattivisce. Se al mercato tutti sono allegri e scherzosi, basta varcare le soglie dell’ufficio postale per precipitare nello sconforto più nero. Alcuni di questi poi hanno anche una certa età e facilmente hanno un numero di presenze in questi luoghi drammaticamente alto. Facilmente hanno anche superato la soglia del non ritorno, quella per cui il loro carattere ha subito mutazioni permanenti tali da cercare volontariamente di scaricare all’interno dell’ufficio postale una cattiveria immotivata contro dei poveri malcapitati. Tali individui, che potrei definire come i professionisti della coda all’ufficio postale, provano un gusto perverso nel passare gran parte del loro tempo in coda, ad infastidire noi poveri dilettanti. Essendo in genere ormai pensionati, possono permettersi il lusso negato ai più di scegliere l’orario di visita che più gli aggrada. Con chirurgica crudeltà andranno ovviamente a privilegiare largamente gli orari in cui la gente normale è costretta suo malgrado a frequentare l’ufficio postale, come ad esempio le pause pranzo. La descrizione manzoniana del Lazzaretto rende abbastanza bene l’idea dello spettacolo che ci si ritrova di fronte quando si è costretti a varcare i cancelli degli uffici postali in questi orari. Non paghi di aver trasformato l’attesa in un lebbrosario ed infastidito chiunque con una serie di comportamenti tali da far arrossire Edward Teach, tali individui, una volta giunto il loro turno, daranno prova di suprema padronanza del locale, impiegando tempi omerici per ogni operazione, quali cercare di recuperare un foglio in fondo alla borsa senza togliersi i guanti di pelo d’orso bianco, o cercare gli occhiali in tasca quando sono sulla testa. O, peggio ancora, lamentarsi che si stava meglio quando si stava peggio, chiedere la conversione in lire di otto centesimi di euro, o pretendere la lettura a voce alta di quelle scritte strane che compaiono un po’ ovunque sui vari bollettini. In un mondo felice e normale tutte queste operazioni potevano essere evitate, oppure fatte nel tempo perso in attesa, ma la loro perfidia li ha portati a svolgerle solamente di fronte al bancone. Perché adesso è il loro turno. Il loro momento di gloria. Hanno atteso per questo, e guai a chi gli dice qualcosa. Altro che warholliano quarto d’ora per ogni vita: qui si parla di mezzora ogni settimana.

 

Alcuni oscuri personaggi passano davanti a tutti. Sono i possessori della PrivilegioCard. Ottenere una PrivilegioCard è molto semplice: basta pagare il pizzo alle poste. È legale perché é una cosa volontaria. In cambio dei soldi che si danno alle poste, si passa davanti a tutti quelli che non hanno dato niente alle poste, come me. Praticamente tu paghi qualcosa alle poste, ed in cambio le poste rubano un po’ del tempo delle altre persone. Per chiudere il cerchio, queste persone augurano ogni sorta di malattia debilitante ai possessori di PrivilegioCard. Se poi un bel giorno tutti quanti dovessimo comprarci una bella PrivilegioCard ci accorgeremmo di dover fare la fila tutti insieme, e di essere nel contempo un po’ più poveri. E forse solo allora ci sentiremmo anche un po’ più stupidi.

 

Ma alle poste non c’è solo gente infelice senza PrivilegioCard e gente odiata che gli passa davanti. Dall’altro lato di un enorme bancone antisfondamento ci sono una serie di garruli individui intenti ad assecondare noi poveri questuanti. Questi svolgono operazioni e misurano ogni gesto e movimento con studiata precisione tale da far pensare ai più che vogliano prendere in giro la lunga fila in attesa con la loro lentezza esasperante. Si relazionano con una persona alla volta dopo averla chiamata stancamente con un numero seriale. Un tabellone dai colori aggressivi chiama senza voce il prossimo della fila, e tutte le persone in coda controllano meccanicamente il proprio numero seriale stampato su un fogliettino di carta dalla macchina vomitratrice. Quello che l’ha già guardato più volte vince, e si avvicina trionfante al bancone. Sempre che lo sventurato abbia abbandonato nel frattempo. Cosa che accade molto spesso: per mia personale statistica, ogni dieci numeri che vengono chiamati ce ne sono almeno due che non rispondono all’appello. Sono quelle persone che o sono svenute a causa della lunga attesa, o sono scappate a metà, o non ci hanno nemmeno provato, e si sono limitate ad osservare sconcertate la coda di materiale umano già accampato nella sala e la distanza tra il numero seriale appena ritirato dalla macchinetta e quello scritto ad enormi caratteri luminosi sul muro di fronte.

 

Quando è il proprio turno, può accadere che la persona abbia la fortuna di avere con sé tutte le carte necessarie al suo scopo. Allora non ci saranno intoppi, e alla fine verrà congedata senza problemi. Ma se invece qualcosa va storto, come ad esempio l’espositore dei bollettini da compilare che non ha quelli giusti, allora il povero utente è destinato a precipitare in una deviazione della curva spaziotemporale. Questo perché quando si chiede il bollettino giusto al Sacerdote Postale, o ci si rende conto dal suo sguardo maligno e compiaciuto di averne appena compilato uno sbagliato, il Ministro delle Funzioni Postali con un gesto perentorio del dito indice spedisce il reo al banco della punizione, dopo avere consegnato il bollettino corretto, estratto da un luogo che deve restare inaccessibile alla gente comune. Quindi il bollettino va compilato usando la penna dell’ufficio postale. Per aumentare il senso di umiliazione e sconforto questa penna è tenuta incatenata con un filo di spago del salame logorato dai secoli, che è sistematicamente più corto della penna stessa, per impedire a chi sta subendo la punizione di poter scrivere normalmente. La penna stessa appare alla vista e al tatto tutta ricoperta da graffi e morsi, a testimonianza delle generazioni intere di dannati che si sono trovati costretti a ricorrere a questo strumento di tortura. L’idea stessa dello spago credo serva a scoraggiare il furto della penna, ma a parer mio bisognerebbe essere dei pervertiti anche solo a pensare di voler portare via con sé un simile focolaio di microrganismi. Quando poi finalmente si è finito di compilare tutto quanto, si può cercare di reinserirsi nel continuum spaziotemporale. Ma ovviamente la fila è andata avanti, e se si vuole pretendere di venire servito violerebbe la Prima Legge Aurea dell’Ufficio Postale: serviamo uno sfortunato alla volta. Il Sacerdote Postale sembra sempre intento a farsi i cavolacci suoi, ma in realtà tiene tutto sotto controllo. Dopo un tempo che giudicherà giusto, finalmente farà in modo che il suo sguardo trovi il quello del penitente. Con un rapido cenno fa capire che potrà ritornare tra i vivi, e con un secondo cenno individua colui che già si apprestava a venire servito, facendogli capire che il suo momento non è ancora giunto.

 

Una volta ho avuto l’ardire di fare una domanda volgare e aggressiva: ho chiesto se potevo ricaricare la mia PostePay usando il mio bancomat della banca direttamente all’ufficio postale. Non credo di aver mai visto uno sguardo così schifato in vita mia. Dopo aver aggrottato le sopracciglia e avermi mostrato i canini, la ministra dello sportello mi ha fatto notare con voce cavernosa e recitando le parole alla rovescia quanto fosse stupida ed inutile la mia domanda: sono due circuiti diversi! Giovane deficiente: l’unica cosa che ha senso che tu faccia se vuoi caricare mille euro sulla tua PostePay è che frequenti per quattro volte di fila in quattro giorni un bancomat. Tiri giù i tuoi duecentocinquanta euro alla volta, ed il quinto giorno ti presenti qui con la tua mazzetta di soldi, e noi carichiamo novecentonovantanove euro sul tuo pezzo di plastica. E un euro ce lo teniamo noi, per fare in modo che il tuo numero risulti un po’ più satanico. Oppure estingui il tuo conto nella tua stupida banca e apri un conto BancoPosta qui da noi, per provare l’ebbrezza di una coda all’ufficio postale molto più di frequente. Ho capito.

 

Perché scrivo tutto questo? Perché giusto ieri ho avuto l’ardire di vedere se si poteva evitare tutta questa sofferenza. Magari facendo una cosa moderna, come pagare il mio bollettino della tassa sui rifiuti con Internet. Chi lo sa. Pensa un po’, pare che si possa. Il sito è questo qui:

 

bollettino.poste.it

 

Anche semplice come nome. Chiede l’utente e la password. Misteriosamente sono già compilate, e non devo andare a cercarmele chissà dove. Un buon segno. Quindi una pagina mi fa due domande facili e poi mi mostra un bollettino digitale, ma fatto uguale a quello di carta. E un po’ più rosso.

 

Il bollettino postale online. A parte i colori accattivanti, assomiglia molto al suo nonno cartaceo

Prendo il cartaceo e copio tutti i numerini nei vari campi. Schiaccio CONTINUA e avviene la magia: una serie di altri campi vanno a riempirsi con il nome dell’ufficio del mio comune che sarà più contento di tutti nel vedere che sto pagando in tempo la mia imposta.

 

Ovviamente non va tutto bene. O meglio, non può andare tutto bene: sicuramente devo aspettarmi che dietro l’angolo si annidi la fregatura, o il problema bloccante. E infatti è celato in un innocuo menù a tendina, con il valore preimpostato di carta PostePay. Non ho una PostePay. O meglio, ce l’ho, ma ha sopra meno di un euro, e per ricaricarla dovrei spendere un euro di soldi e minimo mezz’ora del mio tempo nel sopra menzionato ufficio postale. Non ha molto senso voler usare una PostePay per pagare un bollettino online, ma dover andare alle poste per ricaricarla. Cambio quindi il valore in quello a me più congeniale, ovvero Carta di Credito Mastercard.

 

La pagina con il mio carrello della spesa sul sito delle poste italiane.

Ed ecco il fattaccio: il valore della commissione mi cambia da uno a due euro. Bene. Grazie. Proprio il modo migliore per invogliarmi a non intasare i vostri uffici e far perdere del tempo ai vostri funzionari. Invece di farmi pagare di meno, mi fate pagare di più. Della serie: il bollettino lo devo pagare per forza. Voglio rimanere padrone del mio tempo e non fare la coda nei loro uffici? Benissimo. Però li pago. Di più. Per avere indietro il mio tempo. Voglio pagare di meno perché ho poca considerazione del mio tempo libero, oppure sono un povero disoccupato o pensionato che non ha niente di meglio da fare che passare il tempo in coda da loro? Allora siamo tutti d’accordo: tutti gli uffici postali d’Italia non aspettano altro che me, e saranno felicissimi che io faccia perdere tempo al loro personale scocciato, che consumi l’inchiostro della loro penna millenaria, che sprechi la carta con i miei errori di compilazione, che usuri le loro sedie con la mia mania di non voler stare in piedi per più di mezz’ora.

 

Qui finisce la mia storia. Avrei preferito finirla con l’avvenuto pagamento, ma anche se ho accettato il balzello di due euro, mi sono poi miseramente arenato di fronte alla terza domanda di supersicurezza della mia carta di credito, a cui proprio non ho saputo rispondere. Anzi: credo di aver fatto saltare tutto il sistema informatico bancario, perché dopo il millesimo tentativo di azzeccare la password e il conseguente cambiamento della stessa nel sito della banca, è uscito il messaggio che c’erano problemi tecnici, e che il sistema non funzionava correttamente. Ho come l’impressione domani in pausa pranzo dovrò farmi un po’ di coda. Devo decidere se il posta o in banca.

 

Grazie, ci si vede alle poste.