Ma come mai la chiesa è così piena di preti pedofili?

Ci sono tante domande, risposte ed interpretazioni sulla questione della pedofilia nella chiesa cattolica. Libri interi, film vincitori di Oscar e tutto il resto. Mai nessuno però, che io sappia, si è occupato di risalire al motivo originario sul perché la chiesta sia un covo brulicante di pedofili. Così ho deciso di occuparmene io, ovviamente senza alcuna qualifica se non quella aver visto il flim Spotlight, aver letto il libro Lussuria di Fittipaldi oltre che una serie di gustosi articoli in Internet sullo stesso argomento, e soprattutto di avere dei meravigliosi, fortissimi pregiudizi contro la chiesa cattolica ed in generale su tutte le grandi religioni monoteiste moderne, al punto di considerarle come i peggiori cancri dell’umanità.

Andiamo con ordine. Nel film Spotlight, che si occupa della sola diocesi di Boston, si parlava di un 6% di pedofili sul totale del clero, che si traduce banalmente in una settantina di pedofili accertati. Solo a Boston e dintorni. Nel libro Lussuria invece si parla se non sbaglio di un 2%, ma su scala mondiale, quindi circa 400.000 molestatori e stupratori di bambini. Percentuale inferiore, ma numero totale con quattro zeri in più. Che sia il 2% o il 6% è comunque un numerone, e non credo che sia in media con la popolazione maschile mondiale dei pedofili. Sono certo che i ranghi della chiesa cattolica attirano gli orchi.

Nel film Spotlight un ex prete pentito (scusate la parentesi, ma l’aggettivo pentito accanto alla parola prete prende un gusto tutto suo) dice che metà dei preti fa sesso, contravvenendo al voto di castità. Non è importante: sono fatti loro. Anzi: sono pure felice per loro: come dice il Flying Spaghetti Monster, fare sesso è divertente, e se non voleva che lo si facesse non lo avrebbe reso così piacevole. Lo stesso ex prete però dice che il voto di castita provoca frustrazione, a questo punto nell’altra metà dei preti, e quindi perversione. E qui non sono d’accordo, perché di uomini che non possono fare sesso ce ne sono un bel po’ al mondo e non è che siano tutti adescatori di bambini. Se fai una roba del genere, vuol dire proprio che ti piace, non che è un ripiego da qualcos’altro di più convenzionale.

Pensare ad un uomo che approfitta in questo modo di un bambino o di una bambina mi fa venire il voltastomaco, e se penso che ai miei figli dovesse accadere una cosa del genere, mi ritrovo a pensarmi capace di atti tanto violenti da lasciarmi stupito: sarà anche un malato ma il pedofilo, prete o laico che sia, sa benissimo che sta facendo del male e che sta rovinando la vita di un innocente e dell’adulto che diventerà, se ce la farà a diventarlo. Quindi per me si tratta di sadici consapevoli di avere un problema ma che comunque preferiscono fare quello che vogliono, e nel caso dei preti sapendo perfettamente di avere le spalle coperte dai superiori. E qui per me sta il primo problema: ai pedofili laici non va così bene. Anzi: va molto peggio. Credo che nella stragrande maggioranza dei casi debbano limitarsi a consumare pedopornografia online, rischiando comunque molto di più di qualsiasi prete pedofilo praticante. Il pedofilo laico si ritrova a vivere la sua malattia da solo, deve costruirsi da sé la sua rete di contatti, e non è certo detto che sia un mago dell’informatica tale da riuscire a coprire le sue tracce: i casi di cronaca nazionale degli ultimi anni insegnano. Sicuramente se c’è consumo di pedopornografia c’è anche offerta, quindi da qualche parte ci sono anche dei mostri laici che alimentano questo mercato dell’orrore. E qui, per non andare su incubi peggiori, mi limito a pensare al classico pedofilo che porta un cagnolino al parco giochi con l’intento di adescare il figlio di un genitore distratto da un qualche social network e di caricarlo sul suo furgone. Riflessione banale: se vuoi evitare i pedofili, è comunque molto meno pericoloso un parco giochi di un oratorio. Comunque: un pedofilo al parco con il cagnolino rischia il linciaccio prima della prigione, e so per certo che la categoria dei pedofili non gode del favore degli altri carcerati, soprattutto di quelli che non vedono i loro bambini se non una volta ogni tanto in una sala comune e per pochi minuti. Che io sappia, mai un prete pedofilo è stato linciato dai suoi parrocchiani, né tantomeno è finito in carcere. Già questo mi pare un ottimo motivo per un pedofilo di farsi prete: l’immunità di categoria per uno dei reati più odiati dall’opinione pubblica, e col bonus di non doversi procacciare i bambini al parco o su pericolosi siti Internet: saranno i bambini a cercare il suo affetto, direttamente in parrocchia. Praticamente il paradiso in terra! Intendo ovviamente per il pedofilo, non per i suoi piccoli fedeli.

Da questo punto di vista lo sbocco professionale naturale del pedofilo è il sacerdozio. Ma per me c’è dell’altro. Sempre in Spotlight, la giornalista Sacha Pfeiffer scopriva l’indirizzo di un vecchio prete pedofilo. Ovviamente va a suonare il campanello e gli apre lui stesso. Candidamente l’anziano parroco risponde senza nascondersi alle domande e ammette tutte le sue colpe, almeno finché non arriva la sorella che lo tira dentro bruscamente e sbatte la porta in faccia alla giornalista. Perché tanta onestà, da parte del prete pedofilo? Lo dice lui stesso: lui non ha mai violentato nessuno, ma solo molestato, e questo nonostante di violenze da giovane ne abbia subite un bel po’. Dal suo punto di vista è comunque a credito, quindi una brava persona. Dio sarà felice di lui, e i bambini che lui ha traumatizzato non hanno niente da rimproverargli, anzi dovrebbero essergli grati di non essere stati pure sodomizzati. Siccome non è la prima volta che sento storie del genere, ovvero che bambini violentati crescendo si trasformino poi in preti violentatori (o molestatori, per carità!), mi viene da pensare che siamo di fronte ad una bella catena di Sant’Antonio della violenza subita che diventa violenza restituita. Un po’ come il nonnismo delle caserme di una volta, solo con la protezione e la benedizione dall’alto. Quindi può essere che ci sia il pedofilo che decide di farsi seminarista per avere a portata di mano tutto quello di cui ha bisogno senza rischio alcuno, ma così come il ragazzino che ci entra per autentica vocazione divina, ma che finisce per imbattersi nelle voglie del suo superiore.

Ecco qui: tutte le volte che ho letto, visto o sentito parlare di bambini molestati o violentati da preti pedofili, non c’è mai stato un caso che poi sia diventato adulto senza portare con sé un groviglio di traumi indissolubili. Credo anzi che essere violentati in un’occasione da un pedofilo qualunque renda tutto estremamente più semplice, perché rimarrebbe nell’episodio isolato, quindi più facile da dimenticare. Nel caso di una violenza parrocchiale, come può essere anche il caso di una violenza domestica, tutto si complica. Perché non c’è l’adescamento da parco giochi, ma la fiducia nell’adulto di riferimento, sia questo il proprio parente o il prete. Quindi è una persona nota, rispettata e di cui si fida. Ci si rende conto sempre troppo tardi che non è il buon pastore evangelico ma il lupo cattivo, e ci si ritrova a dover frequentare il nostro aguzzino sempre e comunque, nella quotidianità, condividendone l’orribile segreto, come fosse una colpa sua prima che del suo carnefice. Dopo le violenze si ha paura a riferire a chiunque, ci si vergogna e si tiene tutto dentro di sé, e questo non aiuta certo a vivere un’infanzia serena. Più facilmente porta a tossicodipendenze, alcolismo e suicidio. Non è difficile crederlo, e comunque non sto inventando: ci sono numerosi casi documentati nel libro di Fittipaldi. C’è anche un’altra cosa: il prete, da predatore che è, va ovviamente a scegliere il bambino più debole, per il carattere del piccolo o anche per la sua situazione familiare. Dico: non è il pedofilo al parco, che prende il primo che gli passa a tiro di cane: qui abbiamo un’intera parrocchia a disposizione e tutto il tempo che serve: voglio vedere se non c’è un bambino bisognoso di affetto, magari con una famiglia disagiata o in difficoltà economiche che vede la predilizione del curato per il loro bambino come una benedizione dal cielo. Voglio vedere se quel bambino, già insicuro di suo, troverà mai il coraggio per dire a sua madre cosa gli fa in canonica quel prete tanto buono e generoso.

Ecco, la pedofilia applicata alla parrocchia genererà solo bambini terribilmente traumatizzati, che facilmente non avranno né un buon rapporto con il proprio corpo né una gran fiducia in se stessi o nelle istituzioni. Se però spostiamo la pedofilia in un seminario, ci sarà più una relazione di pedofilia tipo maestro – studente che non predatore e preda. Il chierichetto abusato dal prete non fa carriera diventando prete a sua volta: rimarrà un adulto disperato nella vergogna e nel suo senso di impotenza. Ma il seminario serve a diventare preti, e di sicuro c’è la coscienza che subendo le violenze in silenzio e con rassegnazione, prima o poi arriverà il proprio turno. Un adulto che ha avuto la fortuna di vivere la propria sessualità in modo naturale troverà queste violenze tanto disgustose da lasciarlo senza parole. Ma se uno le ha vissute sulla sua pelle fin da ragazzo per mano dei suoi stessi insegnanti di scuola e di vita, con ogni probabilità gli sembreranno una cosa quasi normale, seppur non certo piacevole. E sicuramente a corredo della violenza in sé ci si ritrova pure tutti i disgustosi motivi che vogliono giustificare l’abominevole atto sessuale, così che quando arriverà il proprio turno non ci sarà bisogno di inventare niente di nuovo. Insomma: non certo uno dei sistemi di formazione educativa pubblicamente più moderni e apprezzati, ma che sicuramente è stato molto efficace nel tempo a generare sempre nuove generazioni di violentatori di bambini, abbastanza gagliardi e sicuri di sé da potere esercitare la propria particolare sessualità con un certo piacevole trasporto e senza fastidiosi sensi di colpa.

Natale e antiche superstizioni

Che bello il Natale, la famiglia, i regali e tutto il resto. Come si fa a non amare queste cose? Se una persona odiasse il Natale, sempre che possa esistere un essere così meschino, credo che dovrebbe essere osservato dai servizi sociali, o dalla polizia di Babbo Natale.

A me il Natale piace perché non ci fornisce scuse: a Natale ci si incontra con tutta la famiglia. Che poi per chi di famiglia ne ha messa su una propria come me stesso, significa che bisogna incontrare le altre due: prima quella della mia amata, alla vigilia, e poi la mia, al pranzo seguente. Fortuna vuole che le due rispettive tradizioni familiari non pretendessero già di loro lo stesso momento familiare, altrimenti tutto sarebbe stato leggermente meno meraviglioso di come è.

Quest’anno poi ho avuto un’opportunità meravigliosa, perché i corrieri espressi di Babbo Natale non sarebbero riusciti a consegnarmi in tempo il regalo che volevo fare a mio cognato. Così mi sono dovuto trasformare nell’elfo di me stesso, trascorrendo alcune ore della vigilia nell’officina di mio padre per costruire da me il regalo scelto. E qui sta un po’ della magia del Natale: dovete sapere che quando si accende la ciabatta che dà energia alla lampada e ad alcuni strumenti del banco di lavoro, in automatico si accende anche la radio, e che la radio è sintonizzata su Radio 1, e che la vigilia era domenica, che sempre da antica tradizione è integralmente dedicata dallo stato italiano alla religione cattolica. Insomma, è andata a finire che mentre azionavo con pazienza ed attenzione il trapano a colonna, mi sono sentito uno spaccato di tradizione e di pii pensieri cristiani sul moderno senso del natale, più una messa con canti e lodi ed infine i commenti a caldo a cura  dello stesso giornalista ossequioso che aveva condotto il primo dibattito. Ho partecipato a questo inaspettato ora et labora a modo tutto mio, con le mie personali invocazioni a questo dio di amore e di pace. Un po’ speravo che la magia del Natale potesse aprire, anche solo che per pochi secondi, una faglia nella maglia spaziale dell’universo, e che le parole che giungevano dal mio cuore potessero arrivare all’orecchio di questo sacerdote, o magari al suo microfono, per deliziare tutto il suo devoto pubblico presente e l’intera platea radiofonica. Pazienza, si vede che se anche il loro dio è davvero onnipotente, certo non sa cogliere l’occasione per un po’ di inaspettato umorismo. A scanso di equivoci, non erano parole in linea con la fede cristiana, ma bestemmie, seppure tutte in rima con i testi originali. A mio parere il fatto oggettivo che non si è aperta una voragine sotto i miei piedi per sprofondarrmi all’infermo va preso come prova della non-esistenza di dio.

Ma perché tutto questo rancore contro la chiesa? Dico solo il motivo più recente. Giusto un paio di giorni prima un’amica mi passava questa notizia in pieno stile natalizio: il 20 dicembre è morto il cardinale Law, e il Vaticano si accingeva a seppellirlo con tutti i dovuti onori nella basilica romana di Santa Maria Maggiore. Tiene la cerimonia il cardinale Angelo Sodano, benedice la salma nientemeno che il pezzo più grosso di tutti tra i vivi: papa Francesco I. Se non vi sembra che ci sia niente di strano, allora dovete proprio guardare la cosa sotto un altro punto di vista, quello secondo cui un uomo che ha trascorso la vita a proteggere sistematicamente una settantina di preti intenti a predare i bambini da una diocesi ad un’altra forse non meritava tanti onori da morto. Ma tant’è: strano che su Radio 1 non abbiano accennato a questa storia, e sì che ci hanno fatto pure un film che ha vinto l’Oscar.

Ma l’Italia è un po’ questa, quella per cui i cattivi sono quelli che non credono in dio, e i buoni quelli che vanno a messa. Le azioni non contano poi così tanto, se vengono annegate in un mare di preghiere.

Finisco il mio lavoro artigianale, metto via tutto e spengo un po’ a malincuore la radio che mi ha tenuto tanta compagnia. Annoto mentalmente il fatto che la messa che ho sentito era sostanzialmente identica a tutte le altre a cui ho partecipato secoli fa. Un po’ mi rincuora sapere che in tutti questi anni questo papa rivoluzionario dalle scarpe marroni non abbia fatto niente per rinnovare un rito che mi sapeva di vecchio già quando avevo sei anni. Ma vedo che ai cattolici piace, forse è meglio tenerlo così.

La sera si va alla cena della vigilia. Tutto bene: qui non parlo mai di religione. O meglio: non parlo mai di religione con persone che hanno dichiarato di voler battezzare i miei figli di nascosto. In questa famiglia è normale che i bambini non vengano battezzati, perché c’è quella convinzione che spruzzare di acqua un bambino inconsapevole non serva a renderlo un adulto migliore o più fortunato, ma che assomigli più ad uno spettacolino di un vecchio sciamano sioux per deliziare e confondere la sua tribù. O di un druido celtico, o uno stregone boscimano, o vai a capire chi: in tema di riti e superstizioni c’è solo l’imbarazzo della scelta; quello che cambia tutto è il numero di persone che ci vanno dietro.

I miei problemi arrivano solo col pranzo di Natale, ovvero quello dei parenti miei. Qui pure si mangia benissimo, e pure ci si fanno un sacco di risate a parlare di questo e di quello. Dal mio punto di vista la differenza è che devo guardarmi dalle buone persone di cui sopra, quelle che sentono la missione della salvezza delle anime dei miei figli dalla mia miscredente malvagità. A condire questo concetto universale, paragonabile allo spirito che ha mosso i crociati in terra santa, c’è il fatto che i miei cugini di figli ancora non ne hanno, e che quindi l’intera popolazione dei nipotini è mia discendente e di conseguenza destinata alle pene eterne dell’inferno se nessuno osa opporsi alla mia cieca follia.

Se alla vigilia di nipotini ce ne sono sei, e quindi fanno gruppo a sé con al massimo un adulto o due che li sorveglia distrattamente chiacchierando con un bicchiere di vino in mano, al pranzo successivo ognuno dei miei bambini gode di ogni attenzione. Dal canto mio devo sorvegliare che nessuno degli adulti mossi da spirito santo improvvisi un rito di salvezza delle loro anime contro la mia volontà. Non è che tutti i presenti girino con delle fiale di acqua santa in tasca, ma un paio di persone hanno dichiarato anni fa le loro intenzioni, quindi non mi sento un paranoico se ci presto un po’ di attenzione almeno a loro due.

Che io sappia non è successo niente. Di sicuro non c’è stata l’ennesima, logorante discussione tra fede e ragione, e quando siamo risaliti in macchina ho buttato lì alla mia signora il pensiero che è stato un buon pranzo, divertente e piacevole. Per lei lo stesso, ma a quanto pare l’attacco c’è stato, solo che non ha colpito né me né i bimbi. E’ stata la mia amata ad essere stata avvicinata, in un dispetato tentativo di illuminarne la ragione. Perché evidentemente agli occhi delle mie pie zie, è evidente che la madre dei miei figli deve essere stata plagiata da me, e che una decisione tanto infausta non può essere il frutto di una decisione comune a due persone adulte e razionali, ma più la forzatura di un empio che piega la volontà della persona buona ma debole. La mia amata prova a spiegare con cortesia che nessuno di noi due ha voluto il battesimo, perché se da un lato io sono orgogliosamente ateo, lei non è certo una focorarina: al più potremmo definirla una ex cattolica non frequentante e soprattutto noncurante. In una parola direi agnostica. Che senso ha battezzare un bambino in queste condizioni? Ed ecco la risposta di chi in vita sua ha mangiato solo pane e catechismo: la salvezza dell’anima, Gesù, l’amore di dio e tutto il resto. Scusate se non riporto le parole esatte, ma già le ho sentite di seconda mano, ed anche in quel momento mi erano sembrate talmente inutili che le ho dimenticate all’istante catalogandole come vaniloqui da catechismo elementare. Non so se ridere o se piangere: se queste sono le argomentazioni per riaverci indietro, mi sembra di essere un guerrigliero addestrato per anni a combattere che si trova a fronteggiare un bambino armato di spazzolino da denti. Come faccio ad argomentare con una persona che mi parla di inferno e paradiso, anima e di peccato originale?

Ho detto un bel po’ di parole fa che i cattivi siamo noi che non crediamo in dio, mentre i buoni sono loro che pregano tanto, e che sicuramente pregano anche per la nostra salvezza e, chissà, per un ritorno nel gregge di pecore del Signore. Onestamente non mi sento così cattivo. Forse un po’ arrabbiato sì, ma cattivo no. Per esempio: io non giudico i miei figli degni dell’inferno solo perché in un remoto passato due ipotetici miei antenati hanno mangiato il frutto della conoscenza. Per le mie buone zie ed il loro dio d’amore invece sì: nelle condizioni attuali è giusto che mio figlio di quattro anni e sua sorella di due vadano all’inferno. Questo è il senso di giustizia che passa il loro dio, ed in cui esse credono. E lo chiamano un dio d’amore, pure.

Quello che trovo sconvolgente è queste persone hanno la presunzione di definirsi razionali ed equilibrate. Condannano con fermezza l’oroscopo, sbeffeggiano le credenze delle altre religioni come se fossero niente più che ridicole superstizioni, ma quando poi si tratta di dare un’occhiata alla religione della loro vita, quella che loro malgrado hanno infilato nella loro testa quanto ancora erano troppo piccole per distinguere la verità da una storiella per bambini, allora tutto diventa serio e obiettivo. Se Allah apparisse volando in piazza alla Mecca di fronte a milioni di musulmani sarebbe una chiara dimostrazione dei livelli di isteria collettiva a cui può arrivare l’islam. Per i cristiani basta citare un paio di miracoli di Lourdes approvati da una squadra di medici del Vaticano e abbiamo dimostrato quale è l’unico vero dio, o perlomeno quello più forte.

Quello poi che mi piacerebbe e che penso dovrebbe accadere in un mondo migliore, è che se una persona volesse convincermi della bontà della sua religione non lo facesse dietro le minacce della dannazione eterna della mia anima o due quella dei miei figli tra le fiamme dell’inferno, quanto su un piano più moderno. Qualcosa per esempio sul messaggio della loro religione e su come potrei essere più felice se ne facessi parte. Non è un gran che, lo so, visto che il senso principale del cattolicesimo è che se accetti la tua vita miserevole senza farti troppe domande, sarai infinitamente felice da morto. Questo messaggio non ha una gran presa su chi di domande se ne sta facendo da un bel po’ di tempo, e hai voglia di pregare o portare esempi di fede: queste pecorelle scappate non torneranno più all’ovile del buon pastore. E a dirla tutta, trovano il paragone con un gregge di pecore un po’ infelice, ma a suo modo calzante per definire chi ne fa ancora parte.

Resta poi da chiarire come mai questo papa tanto buono e simpatico a tutti decida di benedire il cadavere di un dimostrato protettore di orchi. Forse è che la chiesa può ancora permettersi il lusso di fregarsene dell’opinione pubblica. Tanto siamo tutti intenti a compiacerci di quanto è bello il Natale, anche se non troviamo mai parcheggio perché ci sono tutti quelli che vengono a messa solo quel giorno. Certo è che se non andiamo a leggere notizie in posti in cui non dovremmo, a leggere libri non consigliati dal nostro parroco o a vedere film non approvati dal vescovo, neanche sapremmo chi è questo arcivescovo di Boston, e perché molti e l’hanno con lui e non lo vorrebbero seppellito in una basilica di Roma, la stessa in cui si è stato pensionato dalla chiesa dopo le forzate dimissioni. Ma ragionandoci credo che il messaggio di questo gesto sia per tutta le gerarchie cattoliche nel mondo: andate avanti così, coprite ed insabbiate, e non vi faremo mai mancare il nostro appoggio. Fa un po’ paranoia detta così, ma non vorrei fermarmi su quella frase. Spotlight parlava di un 6% di preti pedofili sul totale, mentre il libro Lussuria di Fittipaldi si fermava, se non ricordo male, al 2%. Fanno comunque centinaia di migliaia di molestatori e stupratori di bambini nel mondo che godono di ogni protezione da parte del clero e dell’opinione pubblica, grazie al loro abito di buoni pastori di anime. Quanti ne ha presi questo papa, dopo i suoi infuocati proclami a base di tolleranza zero contro la pedofilia clericale? Credo uno, forse due, ma avendo un dubbio ho deciso di arrotondare per eccesso. E sì che i nomi ce li hanno tutti, anche se spesso, proprio per come è stato costruito il loro sistema, questi nomi ce li hanno solo loro.

E poi siamo noi quelli cattivi, perché non vogliamo affidare i nostri figli a queste persone.

I mancini spiegati a quegli altri

Si parla spesso di quanto siano discriminate certe categorie più alla moda, su tutte quella degli omosessuali. Questo solo perché c’è un’intera classe politica che li ha presi di mira, con la benedizione di tutti i più imponenti apparati religiosi del mondo. Ecco, a mio avviso questa è discriminazione da parte di questa categoria così discriminata, gli omosessuali, ai danni di altre categorie meno discriminate, e quindi più trascurate.

La discriminazione è strana, perché non è sempre frutto di una cattiveria esplicita, come accade per esempio col razzismo. Credo che il più delle volte nasca solo dall’ignoranza: chi non è discriminato non si rende conto che c’è qualcuno diverso da lui che non gode dei suoi privilegi. Certo, se poi questa persona è un politico che imposta tutta la sua campagna sul mantenimento dei privilegi della classe dominante a svantaggio della minoranza discriminata, allora no: quella è una persona cattiva. Come effetto secondario procura una certa visibilità alla categoria sociale che lui ha scelto di discriminare.

Pure io, senza rendermene conto, ho sempre discriminato alcune categorie sociali. Per esempio non ho mai fatto niente nella mia vita per aiutare i daltonici a vivere meglio. Quando ho scelto i colori per il mio sito Internet, non mi sono certo preoccupato che questi fossero graditi ai daltonici: li ho scelti semplicemente così perché il giallo e il marrone sono colori talmente brutti che nessuno li aveva ancora presi in questa accoppiata. Poi, ma solo per caso, credo che siano colori con cui i daltonici non hanno alcun problema, ma non voglio prendermi meriti che non ho. Giusto per informazione, pare che i daltonici siano il 10% dei maschi, quindi il 5% della popolazione mondiale. Significa che probabilmente a vostra insaputa tra i vostri 5000 amici su Facebook ci siano circa 250 daltonici.

Cosa straordinaria, anche gli omosessuali si dice siano il 10% della popolazione mondiale. Significa che se mai cento uomini leggeranno mai queste parole, è probabile che uno di questi sia un omosessuale daltonico, e che quindi si starà riconoscendo pienamente nelle mie parole.

Le donne sono la popolazione discriminata più grande: il 50%, pensa un po’. Vengono discriminate in mille modi diversi, espliciti, subdoli o canonizzati dalla religione. Su tutte ce ne è una che mi fa pensare particolarmente: più o meno una volta al mese ogni donna fertile deve ricorrere ad un bene di lusso chiamato assorbente. Perché per molti stati, tra cui quello italiano, non sporcarsi i vestiti di sangue è un lusso, e quindi va tassato di conseguenza.

Non ho scritto questo per uno spontaneo spirito di solidarietà verso le prime minoranze discriminate che mi sono venute in mente, ma perché anch’io lo sono, sebbene non daltonico, non donna e probabilmente nemmeno omossessuale. Io appartengo al popolo discriminato dei mancini.

Due parole per i destrimani: noi mancini siamo quella parte di popolazione che preferisce usare l’altra mano per fare molte cose che per voi è talmente scontato usare la destra che sicuramente non ci pensate nemmeno. La sinistra, o mancina, è quella mano che voi usate solo di supplemento all’altra per fare quelle cose che di mani ne servono due, tipo tagliare una bistecca, portare un pacco ingombrante o applaudire. In genere per inquadrare un mancino si pensa alla scrittura, ma ci sono tante altre cose, tipo usare una forchetta per mangiare degli spaghetti, o portare alla bocca una birra. Un destrimane subito penserà:

“che problema c’è? Questi oggetti nun funzionamo con la sinistra?”

Purtroppo no: c’è sempre qualcosa che non va. Il boccale di birra per esempio: tutte le volte che c’è un manico, il boccale è asimmetrico:

Certo, ci sono le litre tedesche che hanno la scritta opposta al manico, e che scontentano tutti. Ma negli altri casi, quando è un mancino a bere la marca della birra sta dalla parte sbagliata. Se voglio ricordarmi quello che sto bevendo devo girare il boccale, o bere a testa in giù.

La penna e la forchetta sono simmetriche, in genere. Mica sempre. Il problema però è che devono interagire in condizione di forte asimmetria: la penna impugnata dal mancino non viene trascinata gentilmente sul foglio, ma viene spinta verso di esso, a meno di torsioni assurde del polso. Se è una stilografica si rischia l’allagamento ad ogni parola. La forchetta impugnata con la sinistra tende ad andare addosso alla forchetta del destrimane alla nostra sinistra, che ci guarderà come dei petetici reietti ad ogni gomitata.

E così via: ogni volta che un oggetto non è perfettamente simmetrico o non opera in condizione di simmetria, significa che l’hanno studiato per i destrimani, alla faccia del 10% degli altri.

C’è un oggetto che è la personificazione di tutta la malvagità della discriminante classe dominante dei destrimani: le forbici. Le forbici hanno sempre la lama superiore a destra, quindi significa che se la impugno con la sinistra non vedo quello che sto tagliando. Non pago di questa malvagità, un bel giorno un ingegnere ha pensato bene di inventare le forbici sagomate, quelle per cui il buco grosso del pollice prevede un angolo di ingresso preciso, tipo che se sei mancino o ti trapianti il pollice al posto del mignolo, o ti rassegni ad usare la mano diritta.Alla fine cosa succede? Che noi mancini ci rassegnamo ad imparare ad usare anche l’altra mano e l’altro piede un po’ per tutto:

  • nutrirci
  • ritagliare
  • schiacciare bottoni su diaboliche impugnature ergonomiche
  • premere acceleratori
  • girare manopole del gas di moticiclette
  • suonare campanelli di biciclette, a meno di non voler sollevare tutta la mano dal manubrio per tirare la levetta
  • muovere e cliccare mouse
  • allacciarci bottoni
  • aprire scatolame di latta
  • suonare il piffero. Già: l’ultimo buco, quello per il mignolino, è spostato da un lato, per aiutare un po’ i destri

eccetera, più a fare male altre cose che proprio non si può usare la destra, come scrivere.

In un mondo ostile si affinano le capacità. Se ad un destro dovessero amputare la sua mano prediletta, probabilmente morirebbe di fame e di stenti nel giro di poco. Noi mancini ce la caviamo decentemente con tutte e due le mani a fare tutto. Ma non perché siamo dei geni, ma solo perché viviamo in un mondo costruito al contrario, e ci siamo adattati nostro malgrado.

A volte però girano un po’ le scatole, soprattutto se si ha appena finito di ritagliare un centinaio di cartoncini natalizi per dei regali di natale. Perché va bene tutto, ma ad ogni cartoncino si tratta di dover scegliere ogni volta tra ritagliare male e far fatica per un uso improprio delle forbici. Quindi cosa si fa? Si va su Amazon, dove c’è questo capolavoro della discriminazione destrimane:

cioè: vendono un paio di forbici per mancini, ma che comunque esiste nella versione per destri. Solo che quella per descrimani costa 5,53 euro, mentre quella per mancini costa 7,88 . Ho fatto i calcoli: è 42,5% in più. Che poi dico: se anche facevano a meno di farla, la versione per destri, sono certo che i destrimani bisognosi di ritagliare potevano accontentarsi senza troppi problemi delle migliaia di altri modelli di forbici presenti fatti apposta per loro. Invece no: devono avere anche le mie forbici per mancini, ma in versione destra e ad un prezzo di molto inferiore.

Ecco, tutto qui: non ho altro da aggiungere. Anzi no, un’ultima cosa: sul sito di Mondo Mancino c’è un elenco di personaggi mancini famosi. Roba grossa, tipo Leonardo da Vinci o Einstein, più tutti i musicisti e gli sportivi più meravigliosamente sublimi della storia. Purtroppo i destrimani non sono così organizzati e non hanno ancora registrato il dominio mondodestro.com . Il giorno che lo faranno potranno compilare una lista anche loro e metterci nomi del calibro di Adolf Hitler, Torquemada, Federico Moccia, Carlo Giovanardi e Pol Pot. Alla faccia della mano del diavolo.

Bestseller da albergo

Quando prendo possesso di una camera d’albergo, non posso fare a meno di tirare tutti i cassetti, alla ricerca dell’Oggetto. E spesso lo trovo. E non sto parlando di qualcosa di generico, dimenticato dall’occupante precedente. E neppure di qualcosa di vagamente utile, come un caricabatterie da cellulare o un apribottiglie. Sto parlando di questo:

ovvero del Nuovo Testamento, il libro delle avventure e degli insegnamenti di Gesù e dei suoi amici. In questo caso manca il prequel biblico, ma se non altro abbiamo la fortuna di poter leggere la parola di dio in ben quattro lingue diverse. Posso solo immaginare la frustrazione del credente spagnolo.

Quello che mi chiedo sempre è come mai sia necessario mettere questo libro in un cassetto di ogni stanza d’albergo. Serve a propiziarsi la benevolenza del caritatevole dio cristiano, nel caso sia in vena di scatenare una calamità naturale nei paraggi? O è più per la figura oscura di colui che la sera si mette a spulciare qualche passo del vangelo prima di andare a dormire? E se non trova questo libro cosa fa, dorme male o va a lamentarsi in reception per l’avergli impedito l’osservazione dei suoi principi base di buon cristiano? Non fa prima a portarsi da casa il suo vangelo, nella lingua che preferisce, di modo che io abbia più di spazio per la mia biancheria?

Tante domande ancora senza risposta. La prossima volta che prenoto una stanza magari chiederò espressamente su che tipo di letteratura posso trovare nascosta nei cassetti della mia camera, magari per sapere se per una volta posso avere qualcosa di più vicino ai miei gusti.

Dei e supereroi

Quando io e la mia amata abbiamo deciso di riprodurci, l’abbiamo fatto con quell’incoscienza tipica di chi figli non ne ha ma ci vede una nuova esistenza fatta di tante piccole e trascurabili rinunce, a fronte di quell’enorme guadagno che è l’amore parentale, altrimenti noto come l’istinto biologico di propagare il proprio patrimonio genetico.

Poi ci sono altre questioni più individuali, tipo creare un po’ di disordine in una vita altrimenti noiosa e ripetitiva, sostituendola con una vita ancora più noiosa e ripetitiva, ma che se non altro ha l’enorme vantaggio di non darti nemmeno il tempo di pensare a quanto sia noiosa e ripetitiva.

Nel mio caso pensavo soprattutto a come avrei affrontato l’educazione culturale di un figlio all’interno di una nazione dove il concetto di cultura è subordinato alle avventure di un supereroe del passato. Per chi fosse vissuto in una caverna fino a ieri e non l’avesse capito, sto parlando di Gesù, il figlio del dio cattolico, i cui incredibili poteri e soprattutto l’innato carisma permettono ad un piccolo stato medievale e ad intere organizzazioni tentacolari di mantenersi da millenni a spese di centinaia di milioni di fan sfegatati.

Ad oggi di supereroi ce ne sono tantissimi, e me ne rendo conto soprattutto perché ho a che fare con un bambino di quattro anni. Ad incominciare dalla biancheria intima, passando per giocattoli, accessori e cibo in genere molto zuccherato, il marketing del supereroe invade la sfera dei bambini in modo selvaggio. Anche in modo sessista, a dire il vero: una femminuccia dovrà conformarsi alle principesse Disney, tutte canti, balli e matrimonio alla fine del film, mentre il maschietto sarà più avventure lontano da casa con super-armi di ogni genere.

Gesù però non è ancora arrivato. Di certo io non lo introduco. So già però che aspetta al varco: dalle sue grinfie, o meglio, dalle grinfie dei suoi vescovi non si scappa. Gesù ha una serie di superpoteri abbastanza ridicoli agli occhi di un bambino, tipo camminare sull’acqua, risvegliare i morti o trasformare l’acqua in vino. Non quella su cui ha camminato, ovviamente. Niente a che vedere con superforza, supervelocità, spade laser e tutte quelle altre cose che piacciono tanto ai bambini di ogni età. Ma Gesù ha una cosa veramente terribile che gli altri non hanno e che lo rende unico nel suo genere: si è deciso che lui è realmente esistito. Questa cosa è all’apparenza trascurabile, ma lo pone su un piano di divinità che porta con sé un’enormità di poteri minori, tipo quello che lui può parlarti in ogni momento, che ti vede in ogni momento, anche quando sei in bagno, che ti vuole bene ma che se ti comporti male è triste, piange e poi ti manda all’infermo per l’eternità. nessuno degli altri supereroi ha questi poteri, per il semplice fatto che sappiamo che non esistono, e finiscono con il film o con il fumetto. Se Darth Vader o Hulk fossero reali sono certo che troverebbero dei buoni argomenti per farsi rispettare e venerare. Ma così non è, e quindi anche un dio che non va a fondo quando cammina sull’acqua ha vita facile.

Una volta il confine tra il divino ed il supereroe era più sottile, perché gli dei ed i supereroi frequentavano il pianeta al pari degli esseri umani, e ne condividevano difetti e virtù. A seconda del gruppo divino a cui appartenevano abitavano in un posto preciso sulla terra e non erano esseri inconsistenti abitanti una sfera celeste non ben specificata. Capitava spesso, per esempio, che un dio libidinoso come lo Zeus degli antichi greci approfittasse di una distrazione della moglie per fecondare una ragazza greca, che poi spesso si trovava a gestire un bambino particolarmente impegnativo insieme alle ire della moglie tradita. Proprio per questi figli da coppie miste del passato è nato il concetto del semidio: un essere un po’ divino e un po’ no, con dei superpoteri ben precisi, che in ogni caso vive sulla terra in mezzo agli esseri umani e si rende utile in una serie di imprese memorabili. Il semidio è a tutti gli effetti un supereroe.

Da questo punto di vista anche Gesù è un semidio con forti attitudini da supereroe, dato che è nato dalla fecondazione eterologa di Maria, umana, con il seme divino di dio. L’onnipotenza di dio poteva scegliere una strada più diretta, tipo atterrare in un deserto vicino a Gerusalemme e iniziare con le prediche ed i miracoli, invece ha preferito una strada più classica che prevedeva la fecondazione di una giovane vergine. La collocazione di Gesù tra i ranghi dei supereroi buoni è per certi versi un po’ discutibile, dato che si rifiuta sistematicamente di compiere dei miracoli utili richiesti a gran voce dal suo popolo, e il più delle volte si limita a giocare con i suoi superpoteri più per quieto vivere (assecondare la Madre che vuole altro vino per gli ospiti alle nozze di Cana) o per proprio tornaconto (resuscitare un cugino, non bagnarsi i calzari). Ma d’altra parte, sebbene abbia una vocazione innata alle prediche, non tenta mai di dominare il mondo, quindi certamente non è un supereroe malvagio. Alla fine di tutto abbiamo comunque un semidio che gira per il pianeta cercando consensi e dando sfoggio occasionale dei suoi superpoteri: di fatto il solito supereroe.

Che poi, non è tanto lui, tanto tutto quello che ne viene dietro. Ci lamentiamo quando le case cinematografiche fanno troppi film di supereroi, ma questi sono solo dilettanti: non c’è nessuna nazione intitolata a Batman che percepisce regolarmente generose elargizioni dagli altri stati per il solo fatto di detenere il copyright su un personaggio morto. Qui c’è una gerarchia complessa estesa su gran parte del territorio mondiale, con lo scopo di gestire e promuovere il brand di Gesù. Altro che campagne virali, teaser e trailer: queste sono solo sciocchezze. Quanto tempo passa dall’uscita di un film con un supereroe in mutande e l’altro? Ecco, comunque troppo: la chiesa cattolica lavora a cicli settimanali. E qui non si parla nemmeno di materiale fresco: abbiamo la bibbia, best-seller dell’antichità, da cui è nato un sequel specifico su Gesù, con una serie di ulteriori spin-off dedicati agli eventi successivi o a personaggi minori. Tutte queste produzioni letterarie vengono lette settimanalmente negli edifici di culto sparsi su tutto il territorio da personale dipendente e poi commentate dagli stessi, per darne una visione più moderna e adatta alle circostanze del momento. Niente brani nuovi, ma il grande vantaggio della frequenza obbligatoria, pena l’inferno. Molti brani del vangelo sono ancora straordinariamente attuali, ma purtroppo altri estratti, soprattutto dalla bibbia, risentono un po’ dell’età e del contesto sociale e morale in cui sono stati scritti, quindi l’incaricato sceglie o di evitarli o di proporne una interpretazione più contemporanea. Altrimenti si rischia che tornino in voga alcune pratiche come quella di Lot che prima propone ai suoi concittadini di abusare in massa delle figlie a condizione che non tocchino i loro ospiti, e poi sono le figlie a prendere l’iniziativa e a fare ubriacare il padre per farsi mettere incinte, con lo scopo nobile di dargli dei figli/nipotini. E’ da quasi duemila anni che non viene scritto niente di nuovo nell’universo cristiano cattolico e molte parti risentono un po’ dell’età, e nonostante questo il suo marchio è più in voga di quello di ogni altro supereroe moderno. E questo solo perché si è deciso che Gesù esiste, e l’Uomo Ragno no.

La cosa veramente strana è che se davvero Gesù fosse un supereroe divino ed esistente, non avrebbe bisogno di tutto questo complesso apparato clericale con lo scopo è quello di tenerci aggiornati su del materiale scritto alla meglio duemila anni fa. Gesù potrebbe manifestarsi di persona ai suoi fedeli ed evitare pure tutti quei fraintendimenti che caratterizzano i nostri giorni, per esempio:

  • la fecondazione eterologa è giusta o no?
  • gli omosessuali hanno diritto ad amarsi e ad essere felici come gli altri, o devono limitarsi a far finta di esserlo per non urtare la sensibilità dei vescovi cattolici?
  • ma se scopro che un prete ha sodomizzato mio figlio in oratorio per anni, devo comunicarlo al vescovo, sapendo che è tenuto al segreto d’ufficio per ordine di papa Francesco e che quindi con ogni probabilità non farà altro che insabbiare il caso, o forse è meglio che mi comporti da cattivo cristiano denunciando il prete ai carabinieri?

Mi sa che Gesù non interviene per uno dei seguenti motivi:

  1. non è così divino come vogliono farci credere
  2. non gli interessiamo più perché siamo una causa persa
  3. è morto davvero, magari sconfitto da un dio più onnipotente di lui e più votato al libero arbitrio
  4. non è mai esistito
  5. non ci sono più ragazze cattoliche vergini

Il risultato non cambia: che Gesù sia un semidio reale o il frutto di una fantasia letteraria del passato, per come stanno le cose adesso non è diverso da Alessandro Magno, Flash Gordon o Mandrake: tutti supereroi del passato di cui si è smesso di scrivere da tempo perché non c’era più niente da dire.

So già che nessun vescovo cattolico leggerà queste parole. Ma se anche per caso lo facesse non deciderebbe certo di trovarsi un lavoro onesto solo per farmi un piacere, anche solamente per il fatto che il suo mestiere non è poi così male, e cercarne uno nuovo alla sua età che garantisca gli stessi benefit, la stessa immunità e pure la possibilità di vestirsi da pagliaccio è una impresa certamente impossibile. Credo quindi che Gesù resterà il supereroe più apprezzato al mondo ancora per un bel po’ di tempo: nessuno rinuncia ad un marchio così di successo solo perché è giusto che sia così.

D’altra parte volevo far capire quanto sia sbagliata la strategia di tutte queste case cinematografiche che si ostinano a massacrarci con tutti questi film di supereroi. Se vogliono davvero la fedeltà incondizionata dei loro fan, invece di buttarla sempre su fantasy, fantascienza e fantastico dovrebbero cambiare il registro sullo storico.

Non più

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana

ma

Su questo stesso pianeta, circa seimila anni fa

Non più storie strampalate nei fumetti o al cinema su Gotham City e Metropolis, ma un bel servizio al telegiornale che ti parla di come Batman e Superman hanno appena salvato il mondo mentre tu facevi la spesa. Cose tipo lo Strano ma vero e il Forse non tutti sanno che della Settimana Enigmistica, ma più in grande stile. Sì, la cosa ha poco senso, ma questi sono dettagli trascurabili per le persone religiose. Col tempo sono proprio queste assurdità a migliorare la fedeltà del seguace, rendendolo più impermeabile alla realtà quotidiana.

Fama, fumo e fame nel mondo del lavoro

Non ci si pensa, ma alcuni lavori sono più inclini di altri a procurare fama a chi li esercita. Basti pensare ai nomi delle strade, dove politici e condottieri fanno la parte del leone, mentre chi magari proprio in Via Mazzini o in Largo Garibaldi ha timbrato il cartellino per una vita, difficilmente avrà intitolato qualcosa in più di una lapide in un cimitero pagata dai familiari. Per di più da tutt’altra parte, a meno che non facesse proprio il becchino.

Immagino siano i politici che decidono a chi dedicare le strade, visto che molti di loro hanno fior di monumenti, viali e piazze anche solo per il fatto di essere morti senza prima essere stati arrestati. Già questo rende un politico una persona straordinaria, degna di avere il proprio nome inciso nel marmo in uno spazio pubblico. Se a decidere a chi dedicare un corso fossero non i politici ma, che so, i pasticceri o i lattonieri, facilmente vedremo altri nomi, tipo l’inventore della torta sbrisolona, o colui che ha posato le grondaie sullo Skyway del Monte Bianco.

Il fatto oggettivo è che i politici tendono a premiare i morti della propria categoria, probabilmente nella speranza che la tradizione continui quando arriva il loro turno. Per una persona comune, l’unica speranza di essere ricordata in un monumento è di cadere vittima di una strage o una sciagura di grandi dimensioni: Piazza Fontana, Piazza Loggia, Seveso, una guerra mondiale, cose così. Oltre più in forma anonima: Viale dei caduti sul lavoro. Sicuramente non vale la pena.

Non a tutti i lavoratori famosi però verrà automaticamente dedicata una via. Molte categorie portano facilmente alla fama se fatte bene, ma non alla dedica del monumento. I calciatori, ad esempio, possono incantare il proprio pubblico ogni domenica per vent’anni, ma al massimo quello che ottengono è il posto di commentatore inutile durante le partite di coppa. A volte alcuni esponenti straordinari di altre categorie riescono a emergere dalla melassa e ad ottenere qualcosa, come gli attori, gli scrittori e i giornalisti. I più fortunati di questi avranno il loro vialetto dedicato. Certo, in una zona industriale o il un quartieraccio di periferia, perché le vie del centro sono tutte prese da tempo.

Il criterio della fama dipende un po’ dalla categoria. Se io sono per esempio un condottiero, chiaramente la mia fama arriva dal numero di battaglie vinte, o dalla quantità di sangue nemico versato. Da qui si fa in fretta a capire su quanti cavalli di bronzo verrà appoggiata una copia del mio deretano.

Se sono invece uno scrittore, allora un buon indice è quello del premio Nobel alla letteratura. Siccome però lo vincono in pochi al mondo e spesso non sono neppure scrittori in senso stretto, non deve essere un parametro troppo vincolante. D’altra parte guardare solo il numero di copie vendute è molto rischioso, perché poi ci si ritrova ad avere più piazze dedicate a Moccia e a Susanna Tamaro che a Giuseppe Verdi.

Nel caso dei musicisti e dei cantanti il principale requisito è di essere morto da almeno un secolo.

Per i politici abbiamo già visto come una fedina penale intonsa sia più che sufficiente. 

Ma il problema non è solo a quale lavoratore morto dedicare una via. E’ che ci sono alcune categorie veramente misteriose di cui proprio non mi spiego da dove ne provenga la fama. Perché se un esploratore famoso è quello che ha esplorato e scoperto qualcosa di interessante, alla pari di un ricercatore medico o di un astronauta, perché un cuoco deve diventare famoso? Perché il problema è proprio questo, che “famoso” non significa “bravo”. Significa “noto”. E l’habitat naturale del cuoco è uno di quei posti bui e puzzolenti normalmente chiamati “cucine”, da cui non esce fama, ma piuttosto cibo preparato in maniera più o meno diligente. E qui accade la cosa per me più incredibile: i cuochi che stanno in televisione sono i più famosi, dove la televisione è uno strumento che lavora su due sensi, la vista e l’udito, ma non sul gusto e sull’olfatto, che a mio parere sono più importanti per capire se quello che ho nel piatto sia commestibile o velenoso. Come è possibile capire che la fama di un cuoco è meritata a tal punto da comparire costantemente in televisione, quando quello che fa è di produrre solo suoni ed immagini e non pietanze?

Prendiamo ad esempio il mio caso: anni fa, in preda ad una crisi mistica, ho deciso di dedicare le sere di tre anni della mia vita a conseguire una qualifica di cuoco in un istituto alberghiero. Il giorno in cui ho discusso la mia tesi finale avente come argomento la cucina a base di insetti, tra le condizioni non scritte per la mia uscita di scena c’era che non avrei dovuto mai più varcare la soglia di una cucina di ristorante, pena il danneggiamento del buon nome della cucina italiana nel mondo. Ecco, credo che in televisione, una volta dotato di una giacca su misura e di un cappello da cuoco abbastanza alto, farei la mia figura, anche perché ritaglierei le pietanze direttamente dal cartoncino per poi dipingerle con colori acrilici dall’aria appetitosa. Inoltre, ogni momento dedicato a costruire cibo finto in televisione, ad essere intervistato, a fare pubblicità su temi che non mi riguardano o a scrivere libri mi ruberebbe tempo prezioso, e questo finirebbe a ridurre ulteriormente il rischio di ritrovarmi un giorno, anche per sbaglio, nella cucina di un ristorante.

Se invece fossi un cuoco capace, al contrario passerei molto tempo a lavorare nella cucina di un ristorante. Probabilmente la sala sarebbe piena di persone che apprezzano il cibo che preparo senza che mi abbiano mai visto in faccia; potrei incontrarle per strada senza riconoscerle. Per ironia della sorte, è facile invece che riconoscerebbero il cameriere, i cui meriti principali sono di non sbagliare a prendere la comanda e di non versare loro la zuppa del giorno nel collo della camicia. La bravura di un cuoco è quindi strettamente legata al fatto che se ne stia nascosto in una cucina a fare il suo lavoro, perché se se ne va in giro a fare altro, viene da sé che il cibo che esce dalla cucina del suo ristorante non è passato dalla sue mani. Sembra una cosa crudele a dirsi, ma non è diverso da quello che accade per la maggior parte delle categorie del lavoro, tipo gli idraulici, i ragionieri o i secondini. Se un contabile dovesse mai diventare famoso, o è perché ha gestito un giro di prostitute di un politico erotomane, o è perché ha fatto un errore madornale nei registri che ha fatto fatto arrestare il suo capo. Un idraulico per diventare famoso al giorno d’oggi deve salvare una principessa dalle grinfie di un mostro tartaruga.

Ho compreso il mistero di questa infestazione di cuochi solo dopo aver letto questo articolo. Siamo in piena era dei cuochi. Un po’ come l’era dell’Acquario degli anni sessanta, o la più interessante età dei Quattro Giaguari degli aztechi. Con l’era dei cuochi non si parla tanto di un’umanità in armonia o di animali a tal punto affamati da mangiarsi tutto il pianeta e quindi il sole come digestivo, ma di cuochi poco armonici che escono dalle viscere delle proprie cucine per divorare lo spazio di ogni strumento di comunicazione. In realtà nessuno ha predetto l’era dei cuochi, quindi ce la siamo beccata un po’ in sordina senza essere preparati, a tal punto che molti di noi credono che sia una cosa normale. C’è da dire che probabilmente non durerà: resta solo da capire quale categoria professionale seguirà. L’era dei commercialisti, che guadagneranno enorme fama cercando di mettere a posto i conti di questi cuochi che passano così tanto tempo lontani dai loro ristoranti? Certo non dall’era dei personal trainer, visto che tutto questo cibo che cuciniamo o ordiniamo al ristorante viene solo fotografato per poi essere gettato nell’immondizia. O forse la nemesi del concetto stesso di fama: l’era delle persone che sono famose per il semplice fatto di essere famose: la fama in quanto tale.

Un lavoro sorprendente

A volte mi capita una cosa stranissima. Succede che si sta parlando con altre persone di cose così, del più e del meno, e che all’improvviso uno dei presenti faccia una domanda, apparentemente innocua, che suona più o meno così:

Ma che lavoro fa Giuseppe?

La cosa strana che mi sorprende non è la domanda, quanto la risposta. Non sempre, perché molto spesso Giuseppe fa un lavoro normale, tipo il falegname, il terzino o l’eroe dei due mondi. Sarà però che vivo in un luogo ad alta concentrazione di edifici religiosi cattolici (l’Italia), ma capita spessissimo che Giuseppe faccia questo lavoro veramente stranissimo:

Giuseppe fa l’insegnante di religione.

Non riesco mai ad abituarmi all’idea di quante persone servano per insegnare una religione ad altre persone, e soprattutto che non siano sufficienti tutti quegli edifici molto vistosi sparsi un po’ su tutto il territorio italiano, come questo qui:

E pure popolati da uomini adulti con abiti appariscenti e magari un po’ ridicoli come questi qui:

Insomma, in Italia è quasi impossibile trovare un posto da cui non si possa vedere anche solo la punta di un campanile, una croce di legno attaccata ad una parete o un televisore con dentro un vescovo intento a spiegarci qualcosa. Inoltre il loro dio si è imposto a suo tempo come il migliore di tutti e che per ulteriore sicurezza ha pure inventato il concetto di monoteismo. Ma tutto questo ancora non è sufficiente a diffondere il verbo e a mantenere unito il loro popolo, e sono necessarie altre persone, questa volta vestite in un modo molto meno appariscente, per insegnare questa religione anche nelle scuole.

E Giuseppe questo fa: insegna la religione cattolica nelle scuole. Ho dato per scontato che si tratti di religione cattolica un po’ per abitudine ed un po’ per quanto detto sopra. Per quanto questa professione mi stupisca ogni volta che la sento, so che nessun insegnante di religione proviene da ambienti satanici, o che sia un vecchio monaco scintoista giapponese.

E qui sta tutto il mio stupore: ci sono chiese, cattedrali, oratori ed una serie di altri edifici religiosi bellissimi, in posizioni centrali o strategiche, molto più belli dei bar sperduti dove io vado a bere birra in onore del mio dio: tali edifici sembrano proprio predisposti ad attirare adulti ma soprattutto bambini tra le braccia amorose del loro personale religioso. A chi non vorrebbe naturale spendere un po’ del proprio tempo in questi ambienti così grandiosi, edificati a prova terrena di un dio tanto poderoso? Niente da fare: ancora non è sufficiente. Serve proprio il nostro Giuseppe l’insegnante di religione, a ripetere ancora le stesse cose, ma questa volta in una brutta aula scolastica di fronte ad una platea di alunni svogliati ed indisciplinati. Questo è quello che mi stupisce ogni volta.

Dopo lo stupore, mi viene sempre lo stesso pensiero: anche a me piacerebbe essere un po’ come Giuseppe. Mi piacerebbe andare all’università, laurearmi in ateismo e quindi diventarne un docente nelle scuole elementari del mio paese. Certo, non insegnerei solo l’ateismo, esattamente come Giuseppe vi verrebbe a dire che nella sua ora di religione non fa solo catechismo cattolico, ma ci piazza anche due chiacchiere veloci sulle altre religioni. Nel mio caso, essendo che dell’ateismo, una volta compreso che dio non esiste, rimane un po’ poco da dire, avrei ben più tempo da dedicare ad argomenti corollari, tipo ad insegnare ad usare la propria testa e a non credere a tutto quello che ci viene detto e che deve essere accettato per fede, soprattutto se a dirlo è un adulto vestito come un pagliaccio del circo.

Questo mi piacerebbe, ma in Italia ancora non si può. Pazienza, un giorno ci arriveremo, forse.

Ah, chiaramente l’ora di religione di Giuseppe dovrebbe rimanere come alternativa didattica all’ora di ateismo. Solo che gli cambierei il nome. Qualcosa come: l’ora di miti e leggende.

Messaggio per i suicidi mussulmani che non si sono ancora fatti esplodere

Varoom!-Lichtenstein
Esplosione Pop di Lichtenstein, dalla Wikipedia

Ogni volta che sento parlare dell’ennesima strage ad opera di un aspirante martire mussulmano, mi viene da pensare a che povero mentecatto debba essere stato in vita, per valutare così poco la propria esistenza e rinunciarci in un modo così poco elegante: arrivare perdere la vita solo perché qualcuno più sveglio di te ti ha detto che finirai in un posto meraviglioso dove passerai un tempo infinito a deflorare un numero finito di vergini; mi sembra proprio una scemata fatta apposta per imbrogliare i gonzi.

Quindi vorrei dire questo:

Il vostro dio non esiste: è tutta una trovata per rincoglionirvi e farvi fare delle cose drammaticamente stupide, e la vostra politica del farvi saltare per aria uccidendo un po’ di persone abbastanza intelligenti da non pensarla come voi non funziona: non ci state convertendo neanche un po’

Ecco, giusto per capirci. Perché se pensate di ucciderci tutti in questo modo, non ce la farete mai, e finisce che voi siete morti e la maggior parte di noi è ancora viva, alcuni poi intenti a riconoscere i brandelli appiccicosi del vostro cadavere dal DNA. Per quanto alcuni di noi abbiano paura a prendere la metropolitana, l’aereo o a frequentare luoghi affollati, stiamo comunque continuando a fare un numero di figli maggiore delle persone che voi state uccidendo. Fanno molte più vittime il tabacco, il cancro o gli incidenti stradali. Se volete essere più efficaci dovreste cambiare politica, per esempio andando in piazza a regalare sigarette senza filtro, grandi tagli di carne rossa o automobili e motociclette di grossa cilindrata.

E pure, come ho già detto, la vostra è una religione veramente brutta. Bisogna essere proprio dei deficienti per passare dalle nostre religioni poco invasive ad una che arriva a chiederti di saltare per aria sulla base di una serie di promesse mai dimostrate. Le nostre religioni nella peggiore delle ipotesi ci chiedono di non mangiare il pesce nei venerdì di quaresima e di frequentare una chiesa per un’ora a settimana più le feste comandate. Niente digiuni, niente menù ridotti, niente preghiere obbligate, pellegrinaggi e crociate contro gli infedeli. E non cambieremo nemmeno la nostra religione solo per farvi contenti, visto che siete talmente approssimativi nelle vostre squallide dimostrazioni di forza che vi limitate ad esplodere in luoghi affollati, non in luoghi affollati esclusivamente da fedeli di altre religioni. Non è proprio uno dei sistemi più raffinati di pulizia religiosa.

Forse è solo che siete dei repressi sessuali perché non riuscite ad aver successo con le donne occidentali a causa del vostro ridicolo machismo fatto di bigotteria religiosa, musica inascoltabile, maschilismo da medioevo, violenza domestica e passione per le armi. Probabilmente è per questo che una promessa di un gran numero di vergini fa così presa su di voi. Se volete avere successo con le donne occidentali e placare un po’ i vostri bollenti spiriti, iniziate a comportarvi bene, ad essere rispettosi ed amorevoli, ad abbassare il volume della radio e magari a sintonizzarvi su stazioni normali, perché da queste parti nessuno ascolta Servo per amore in automobile o in casa a tutto volume: penso che anche dio ne sarebbe un po’ imbarazzato. Vedrete che le cose inizieranno ad andare un po’ meglio. Le nostre donne non amano essere trattate come pecore, ed in genere vogliono l’esclusiva: dovreste abituarvi a questa cosa. Se dà fastidio a voi quando la vostra donna soddisfa anche i piaceri di altri tre uomini, allora mettete in conto che anche a lei può urtare il fatto che voi ve la vediate con altre tre donne. Si tratta di uguaglianza dei sessi, è una cosa giusta e dovreste abituarvi anche a questo. Per lo stesso motivo sappiate che non è giusto uccidere, molestare, picchiare la vostra donna o i vostri figli solo perché non la pensano come voi, e per di più è contro la legge di ogni stato civile. Facilmente siete voi ad essere degli ottusi bigotti, e invece di cercare di reprimere le persone che vi stanno accanto, potreste cogliere l’occasione per migliorarvi imparando da loro. Vedrete che se impiegate il tempo ad amare i vostri cari invece che ad odiare noi che abbiamo un dio diverso dal nostro vi porterà ad abbandonare i vostri propositi di sparpagliare il vostro corpo in un luogo pubblico.