Ci sono tante domande, risposte ed interpretazioni sulla questione della pedofilia nella chiesa cattolica. Libri interi, film vincitori di Oscar e tutto il resto. Mai nessuno però, che io sappia, si è occupato di risalire al motivo originario sul perché la chiesta sia un covo brulicante di pedofili. Così ho deciso di occuparmene io, ovviamente senza alcuna qualifica se non quella aver visto il flim Spotlight, aver letto il libro Lussuria di Fittipaldi oltre che una serie di gustosi articoli in Internet sullo stesso argomento, e soprattutto di avere dei meravigliosi, fortissimi pregiudizi contro la chiesa cattolica ed in generale su tutte le grandi religioni monoteiste moderne, al punto di considerarle come i peggiori cancri dell’umanità.
Andiamo con ordine. Nel film Spotlight, che si occupa della sola diocesi di Boston, si parlava di un 6% di pedofili sul totale del clero, che si traduce banalmente in una settantina di pedofili accertati. Solo a Boston e dintorni. Nel libro Lussuria invece si parla se non sbaglio di un 2%, ma su scala mondiale, quindi circa 400.000 molestatori e stupratori di bambini. Percentuale inferiore, ma numero totale con quattro zeri in più. Che sia il 2% o il 6% è comunque un numerone, e non credo che sia in media con la popolazione maschile mondiale dei pedofili. Sono certo che i ranghi della chiesa cattolica attirano gli orchi.
Nel film Spotlight un ex prete pentito (scusate la parentesi, ma l’aggettivo pentito accanto alla parola prete prende un gusto tutto suo) dice che metà dei preti fa sesso, contravvenendo al voto di castità. Non è importante: sono fatti loro. Anzi: sono pure felice per loro: come dice il Flying Spaghetti Monster, fare sesso è divertente, e se non voleva che lo si facesse non lo avrebbe reso così piacevole. Lo stesso ex prete però dice che il voto di castita provoca frustrazione, a questo punto nell’altra metà dei preti, e quindi perversione. E qui non sono d’accordo, perché di uomini che non possono fare sesso ce ne sono un bel po’ al mondo e non è che siano tutti adescatori di bambini. Se fai una roba del genere, vuol dire proprio che ti piace, non che è un ripiego da qualcos’altro di più convenzionale.
Pensare ad un uomo che approfitta in questo modo di un bambino o di una bambina mi fa venire il voltastomaco, e se penso che ai miei figli dovesse accadere una cosa del genere, mi ritrovo a pensarmi capace di atti tanto violenti da lasciarmi stupito: sarà anche un malato ma il pedofilo, prete o laico che sia, sa benissimo che sta facendo del male e che sta rovinando la vita di un innocente e dell’adulto che diventerà, se ce la farà a diventarlo. Quindi per me si tratta di sadici consapevoli di avere un problema ma che comunque preferiscono fare quello che vogliono, e nel caso dei preti sapendo perfettamente di avere le spalle coperte dai superiori. E qui per me sta il primo problema: ai pedofili laici non va così bene. Anzi: va molto peggio. Credo che nella stragrande maggioranza dei casi debbano limitarsi a consumare pedopornografia online, rischiando comunque molto di più di qualsiasi prete pedofilo praticante. Il pedofilo laico si ritrova a vivere la sua malattia da solo, deve costruirsi da sé la sua rete di contatti, e non è certo detto che sia un mago dell’informatica tale da riuscire a coprire le sue tracce: i casi di cronaca nazionale degli ultimi anni insegnano. Sicuramente se c’è consumo di pedopornografia c’è anche offerta, quindi da qualche parte ci sono anche dei mostri laici che alimentano questo mercato dell’orrore. E qui, per non andare su incubi peggiori, mi limito a pensare al classico pedofilo che porta un cagnolino al parco giochi con l’intento di adescare il figlio di un genitore distratto da un qualche social network e di caricarlo sul suo furgone. Riflessione banale: se vuoi evitare i pedofili, è comunque molto meno pericoloso un parco giochi di un oratorio. Comunque: un pedofilo al parco con il cagnolino rischia il linciaccio prima della prigione, e so per certo che la categoria dei pedofili non gode del favore degli altri carcerati, soprattutto di quelli che non vedono i loro bambini se non una volta ogni tanto in una sala comune e per pochi minuti. Che io sappia, mai un prete pedofilo è stato linciato dai suoi parrocchiani, né tantomeno è finito in carcere. Già questo mi pare un ottimo motivo per un pedofilo di farsi prete: l’immunità di categoria per uno dei reati più odiati dall’opinione pubblica, e col bonus di non doversi procacciare i bambini al parco o su pericolosi siti Internet: saranno i bambini a cercare il suo affetto, direttamente in parrocchia. Praticamente il paradiso in terra! Intendo ovviamente per il pedofilo, non per i suoi piccoli fedeli.
Da questo punto di vista lo sbocco professionale naturale del pedofilo è il sacerdozio. Ma per me c’è dell’altro. Sempre in Spotlight, la giornalista Sacha Pfeiffer scopriva l’indirizzo di un vecchio prete pedofilo. Ovviamente va a suonare il campanello e gli apre lui stesso. Candidamente l’anziano parroco risponde senza nascondersi alle domande e ammette tutte le sue colpe, almeno finché non arriva la sorella che lo tira dentro bruscamente e sbatte la porta in faccia alla giornalista. Perché tanta onestà, da parte del prete pedofilo? Lo dice lui stesso: lui non ha mai violentato nessuno, ma solo molestato, e questo nonostante di violenze da giovane ne abbia subite un bel po’. Dal suo punto di vista è comunque a credito, quindi una brava persona. Dio sarà felice di lui, e i bambini che lui ha traumatizzato non hanno niente da rimproverargli, anzi dovrebbero essergli grati di non essere stati pure sodomizzati. Siccome non è la prima volta che sento storie del genere, ovvero che bambini violentati crescendo si trasformino poi in preti violentatori (o molestatori, per carità!), mi viene da pensare che siamo di fronte ad una bella catena di Sant’Antonio della violenza subita che diventa violenza restituita. Un po’ come il nonnismo delle caserme di una volta, solo con la protezione e la benedizione dall’alto. Quindi può essere che ci sia il pedofilo che decide di farsi seminarista per avere a portata di mano tutto quello di cui ha bisogno senza rischio alcuno, ma così come il ragazzino che ci entra per autentica vocazione divina, ma che finisce per imbattersi nelle voglie del suo superiore.
Ecco qui: tutte le volte che ho letto, visto o sentito parlare di bambini molestati o violentati da preti pedofili, non c’è mai stato un caso che poi sia diventato adulto senza portare con sé un groviglio di traumi indissolubili. Credo anzi che essere violentati in un’occasione da un pedofilo qualunque renda tutto estremamente più semplice, perché rimarrebbe nell’episodio isolato, quindi più facile da dimenticare. Nel caso di una violenza parrocchiale, come può essere anche il caso di una violenza domestica, tutto si complica. Perché non c’è l’adescamento da parco giochi, ma la fiducia nell’adulto di riferimento, sia questo il proprio parente o il prete. Quindi è una persona nota, rispettata e di cui si fida. Ci si rende conto sempre troppo tardi che non è il buon pastore evangelico ma il lupo cattivo, e ci si ritrova a dover frequentare il nostro aguzzino sempre e comunque, nella quotidianità, condividendone l’orribile segreto, come fosse una colpa sua prima che del suo carnefice. Dopo le violenze si ha paura a riferire a chiunque, ci si vergogna e si tiene tutto dentro di sé, e questo non aiuta certo a vivere un’infanzia serena. Più facilmente porta a tossicodipendenze, alcolismo e suicidio. Non è difficile crederlo, e comunque non sto inventando: ci sono numerosi casi documentati nel libro di Fittipaldi. C’è anche un’altra cosa: il prete, da predatore che è, va ovviamente a scegliere il bambino più debole, per il carattere del piccolo o anche per la sua situazione familiare. Dico: non è il pedofilo al parco, che prende il primo che gli passa a tiro di cane: qui abbiamo un’intera parrocchia a disposizione e tutto il tempo che serve: voglio vedere se non c’è un bambino bisognoso di affetto, magari con una famiglia disagiata o in difficoltà economiche che vede la predilizione del curato per il loro bambino come una benedizione dal cielo. Voglio vedere se quel bambino, già insicuro di suo, troverà mai il coraggio per dire a sua madre cosa gli fa in canonica quel prete tanto buono e generoso.
Ecco, la pedofilia applicata alla parrocchia genererà solo bambini terribilmente traumatizzati, che facilmente non avranno né un buon rapporto con il proprio corpo né una gran fiducia in se stessi o nelle istituzioni. Se però spostiamo la pedofilia in un seminario, ci sarà più una relazione di pedofilia tipo maestro – studente che non predatore e preda. Il chierichetto abusato dal prete non fa carriera diventando prete a sua volta: rimarrà un adulto disperato nella vergogna e nel suo senso di impotenza. Ma il seminario serve a diventare preti, e di sicuro c’è la coscienza che subendo le violenze in silenzio e con rassegnazione, prima o poi arriverà il proprio turno. Un adulto che ha avuto la fortuna di vivere la propria sessualità in modo naturale troverà queste violenze tanto disgustose da lasciarlo senza parole. Ma se uno le ha vissute sulla sua pelle fin da ragazzo per mano dei suoi stessi insegnanti di scuola e di vita, con ogni probabilità gli sembreranno una cosa quasi normale, seppur non certo piacevole. E sicuramente a corredo della violenza in sé ci si ritrova pure tutti i disgustosi motivi che vogliono giustificare l’abominevole atto sessuale, così che quando arriverà il proprio turno non ci sarà bisogno di inventare niente di nuovo. Insomma: non certo uno dei sistemi di formazione educativa pubblicamente più moderni e apprezzati, ma che sicuramente è stato molto efficace nel tempo a generare sempre nuove generazioni di violentatori di bambini, abbastanza gagliardi e sicuri di sé da potere esercitare la propria particolare sessualità con un certo piacevole trasporto e senza fastidiosi sensi di colpa.