Quando si abita in centro al paese si vedono molte cose da una diversa prospettiva. Come i concerti di piazza, che mentre tutti li guardano seduti di fronte al palco, io posso vederli dalla finestra del salotto. Le prospettive più interessanti sono però quella che riguardano la chiesa cattolica, e per una volta non mi riferisco tanto all’enorme gerarchia di prelati con cui siamo rassegnati a convivere, quanto proprio all’edificio stesso.
Se infatti mi metto a guardare dalla stessa finestra che dà sul campanile che fa (o faceva, ancora non ho capito) tutto quel rumore nelle feste comandate, posso vedere il tetto della chiesa da una prospettiva del tutto particolare.. E non solo la chiesa di cui sto parlando, ma anche un’altra più vecchia e più piccola che neanche a dirlo ha un muro in comune con il mio gabinetto. Potremmo definire questo modo di guardare le chiese come la prospettiva gatto.
La chiesa attaccata al mio gabinetto è in assoluto la mia preferita, perché ha una caratteristica che la rende meravigliosa: è sconsacrata. Questa parola magica porta con sé vari significati, ma i più importanti sono che:
ha un campanile muto: non l’ho mai sentito suonare una volta in vita mia. Se dovesse farlo, credo che mi volerebbero giù i libri dagli scaffali, quindi non voglio nemmeno pensarci. Dovrei fare causa al prete per spargimento di letteratura.
il comune ce l’ha in comodato per credo una trentina d’anni, e per tutto questo periodo non ospiterà bizzarre celebrazioni, quanto più interessanti eventi mondani: mostre di quadri, incontri, proiezioni di film, concerti, cose così. A volte ci scappa il concertino di musica sacra, ma è il comune a decidere il programma, quindi capita anche di vederci il film The Wall o di sentirci parlare Umberto Guidoni, astrofisico non certo famoso per la frequentazione di chiese. Trent’anni non sono tanti, ma sono fiducioso che per allora tante cose saranno cambiate, e che tutti gli italiani avranno capito che il cristianesimo è solo un’invenzione e che possono tranquillamente fare a meno della religione, o sceglierne una migliore che non punti tutti sul sacrificio e sulla cieca obbedienza. Non l’islam, quindi.
Torniamo quindi all’altra chiesa, quella dal campanile rumoroso. Come si vede dalla foto, su tetto della chiesa sono visibili due delle tre statue poste in cima alla facciata. La cosa particolare è che non le si vede dal davanti, ma dalle terga. Che poi, quanti possono vedere queste statue, poste in cima al tetto di un edificio altissimo, dalle terga? Credo solo chi abita nel mio appartamento, che è abbastanza alto, ed alcuni gatti. Penso che se lo scultore avesse messo una coda di maiale alle statue non se ne sarebbe accorto nessuno.
Ed ecco che dopo anni passati ad aprire i battenti della finestra la mattina e a chiuderli la sera, finalmente vedo davvero quello che non ho mai visto: le due statue, che da davanti fanno bella mostra di sé e che le fonti ufficiali che riconoscono come le virtù teologali, da dietro offrono un’interpretazione moderna della chiesa di oggi di una precisione straordinaria.
Ed ecco quindi a voi il cristo del selfie, intento a catturare un ricordo di sé con il suo telefonino all’ultima moda:
ed un moderno santo patrono dei pedofili, che indossato un pesante mantello invita un fanciullo ad entrarvi, spingendolo per la testa.
Sono due statue scolpite nel 1800, ma per me sono il riassunto meglio concepito della chiesa cattolica di oggi. Probabilmente anche di allora, quando il papa aveva ancora un suo esercito.
Da un lato il selfie, a rappresentare l’uso massiccio dei mezzi di comunicazione più frivoli e moderni, spesso in modo autoreferenziale, per cavalcare con successo un’enorme massa di giornalisti, politici e fedeli senza coscienza o capacità critica. E’ lo sfruttamento dell’immagine di un papa così simpatico e bonaccione che dice continuamente cose con il suo divertente accento sudamericano. O le immagini di un prete che gira nelle baraccopoli invece che nei corridoi del vaticano a dare un’immagine idilliaca del sistema perverso dell’otto per mille. E’ il cristo del selfie, l’aspetto pubblico e che ci piace tanto di questa chiesa cattolica fatta di vecchi che si sforzano di piacere a noi giovani.
Dall’altro la protezione dei pedofili, a simboleggiare i continui successi della chiesa cattolica nella difesa dei soprusi dei poteri forti ai danni dei più deboli e nel mantenimento dei propri assurdi privilegi, il lato oscuro di una chiesa fatta di parole e di apparenza che mostra tutta la sua potenza quando gli viene timidamente chiesto di giustificare il vergognoso operato dei propri dipendenti, o di mettere in atto lei stessa qualcuno di quei princìpi di carità cristiana che continua a chiedere agli altri stati. La pedofilia è solo il più triste e lampante esempio di questo costante atteggiamento di prepotenza ed arroganza che vede la chiesa muoversi impunita e riverita tra le pieghe di uno stato italiano molle e ossequioso. Ecco, questo è il patrono dei pedofili.
Da casa mia non vedo il didietro della terza statua, e non posso sapere chi rappresenti. Sarà la madonna dell’otto per mille.
Uno dei miei piatti estivi preferiti è la bruschetta. Offre talmente tanti vantaggi che ho dovuto elencarli in seguito, dopo la ricetta.
La preparazione stessa poi è talmente semplice che definirla ricetta fa pure un po’ ridere: forse è più una preparazione meccanica. Ne affronterò lo stesso i passaggi chiave, nel caso voi non siate già dei bruschettatori seriali come lo sono io.
Ingredienti ovvi
Il pane da bruschetta
Un po’ di pomodorini
Olio
Aglio, non essenziale
Origano
Sale, per chi ha le papille gustative rovinate
Preparazione
Le cose da fare in contemporanea sono due: da una parte tostare il pane, dall’altra tagliare e condire i pomodorini.
Se avete un tostapane a tempo, allora potete tostare il pane in tutta tranquillità, mentre tagliate i pomodorini. Altrimenti sappiate che l’arte di tagliare i pomodorini è talmente affascinante che rischiate di rimanere assorbiti, e di dover mangiare i vostri pomodorini tagliati alla perfezione su delle fette di pane bruciato. Insomma, attenzione. Una tostatura ideale prevede un pane croccante a sufficienza da potervi grattare sopra l’aglio ma comunque flessibile, quindi non biscottato. Se è diventato come le fette biscottate che si comprano e che si rompono anche solo a pensare di volerle tirare fuori dal sacchetto, sappiate che ad ogni morso ci sarà un contraccolpo della fetta che darà lo slancio ai pomodorini per cercare di tuffarsi nel colletto della camicia dei maschietti o nella scollatura dei vestiti delle pulzelle.
Parliamo quindi dei pomodorini. Ci sono varie tecniche di taglio.
La più intuitiva è il taglio tipo salame: si afferra il pomodorino tenendolo con tutte e cinque le dita di una mano da un lato del pomodorino, cercando di non farlo scivolare nel senso opposto (cosa non facile, date le dimensioni dell’oggetto) e sforzandosi di tagliare solo il pomodorino con il coltello impugnato nell’altra mano. Dato l’elevato rischio di amputazioni, possiamo anche definire questo procedimento come la tecnica di Capitan Uncino.
Una affascinante tecnica americana è quella del doppio piatto, descritta qui: si mettono tutti i pomodorini in un piatto piano, gli si mette sopra un piatto uguale capovolto e si passa una katana giapponese tra i due. Un po’ come quel gioco di prestigio in cui il Mago Silvan tagliava a metà la sua bionda assistente rinchiusa in una specie di feretro. Con un solo taglio otterrete tanti mezzi pomodorini. Sempre che i vostri siano pomodorini OGM della Monsanto, tutti di identico diametro studiato per essere uguale al doppio della profondità del piatto. Se invece sono pomodorini italiani otterrete alcuni pomodorini tagliati a metà, altri appena sbucciati su in lato o affettati più o meno a caso, altri ancora interi. Se poi il vostro coltello non taglia come la spada di Goemon il samurai, facilmente otterrete un grossolano frullato di pomodoro dal lato di uscita della lama. Ah, ricordatevi che non basta tagliarli a metà: dovrete comunque riprenderli uno a uno per ripassarli in quarti o ottavi usando una tecnica più tradizionale.
La tecnica che preferisco io è quella del taglio rotante. Funziona così: come prima cosa si taglia a metà il pomodorino sul diametro, tenendolo con le dita da ogni lato.
Poi si prende una delle due metà e la si appoggia con la parte tagliata sul tagliere. Si afferra quindi il mezzo pomodorino di nuovo con le dita da ogni lato e di nuovo si farà passare la lama per tagliarlo ancora in due parti. Quindi si ruotano di novanta gradi i due quarti di pomodoro, li si afferra con due dita per lato, e si dà il terzo taglio, perpendicolare ai primi due.
Essendo che il mezzo pomodoro è sempre stretto dalle dita da ambi i lati, non servono prese scivolose e di forza per trattenerlo, e diminuisce quindi il rischio di servire ai vostri ospiti alcune parti di voi. Inoltre alla conclusione dei tre tagli state già afferrando le parti tagliate, e potete gettarle al volo nella ciotola di servizio. Ultima cosa: durante il secondo ed il terzo taglio potete far scorrere leggermente tra loro le parti lungo il taglio appena eseguito, di modo da assicurarvi che questo sia stato completo, e che non siano ancora attaccate tra loro da un pezzetto di pelle. Insomma, senza troppo sforzo si riesce a garantire un servizio eccellente in pochi secondi a pomodorino.
Una volta che avete riempito una ciotola come quella della foto, potete metterci l’olio, l’origano e se proprio volete il sale. Con una ciotola come quella della foto accanto si possono riempire circa due bruschette come quelle delle foto sopra, o quattro mezze bruschette come quella della foto sotto. Questo per evitare la spiacevole situazione di avere del pane scondito o troppi pomodorini di avanzo, e quindi degli ospiti contrariati.
Il servizio poi viene fatto proponendo all’ospite di occuparsi delle fasi finali di preparazione, che poi sono la grattatura dell’aglio sulla fetta e lo spargimento dei pomodorini. I motivi sono vari, ma principalmente che a non tutti piace l’aglio nella stessa misura, e che se lasciate troppo i pomodorini sulla fetta questi sbrodolano sul pane e vi ritrovate a servire ai vostri ospiti una specie di zuppa fredda su pane molle.
I vari motivi che rendono interessante questo piatto
E’ divertente da preparare e consumare. In particolare la seconda cosa è importante, perché un cibo con cui il consumatore deve interagire con perizia ha il suo perché. Magari rievoca un po’ i nostri istinti di cacciatori/raccoglitori, chissà. Certo, funziona meno con gli anziani più tradizionalisti, specie se hanno il Parkinson, ma se si tratta di un aperitivo in piedi o cose del genere, allora fa la sua figura. L’abilità del consumatore non sta solo nello strofinare la giusta quantità di aglio e nello spargere dei pomodorini sopra una fetta di pane, ma anche nel dominare questi elementi mentre li si azzanna: se non si è sufficientemente attenti e capaci è facile che i pomodorini, che conservano parte della forma sferica originale, finiscano per rotolare un po’ ovunque, con grande ilarità degli altri commensali.
E’ vegano. Già: se non ci aggiungete ingredienti impropri tipo mozzarella, tonno o altri derivati animali, rimane un piatto vegano, del tipo però che piace anche ai carnivori. Un piatto vegano con la straordinaria caratteristica di non avere ingredienti tristi o surrogati come la soia, il veg-formaggio, il non-uovo o così via. Potremmo definirlo un piatto vegano per sbaglio, o in incognito. Anche la birra, ricordiamo, è vegana, come la quasi totalità degli alcolici. Voglio sperare che questo punto non sia fonte di rifiuto o disagio agli integralisti della macellazione.
E’ crudo (I). Quindi ad esclusione del tostapane, non dovete scaldare casa vostra accendendo forni o fuochi. D’estate è un aspetto da non trascurare.
E’ crudo (II). Altro aspetto interessante delle cose crude: non tutti sanno che molte vitamine sono delicate, e se ne vanno con la cottura. Si evita che le cose più buone rimangano attaccate alla padella o si distruggano nell’ambiente: se si mangia un ortaggio crudo lo si assimila al 100% delle sue potenzialità, Magari è il caso di lavarlo più che bene, per evitare di assimilare anche degli ospiti indesiderati. Se sono ospiti del tipo visibile il vostro piatto sarà anche più nutriente, ma non rispetta più il punto 2. Se invece sono del tipo invisibile, allora auguratevi che la loro popolazione non sia sufficiente per uccidere i vostri ospiti, o per fargli venire il mal di pancia. Vi fareste una brutta fama, e la loro sopravvivenza all’esperienza non sarà sufficiente a dargli desiderio di tornare ad essere vostri ospiti.
E’ molto buono, direi buonissimo. E’ croccante per il pane, e sguscioso per i pomodorini. E’ caldo sotto e fresco sopra. E’ un piatto perfetto.
E’ sano: segue alla perfezione le linee guida dell’INRAN. Non contiene grassi saturi (sempre che non abbiate comprato le bruschette in una friggitoria bavarese), non fa alzare il colesterolo. Magari non lo consiglio come piatto unico se siete in pausa pranzo e di lavoro fate il muratore, ma credo che non ci sia bisogno di dirlo.
Gli ultimi due punti in particolare hanno tutta l’aria di violare il primo postulato di Pardo, secondo cui le cose buone della vita sono illegali, immorali o fanno ingrassare. Per questo ho dovuto aggiungere il paragrafo seguente.
Un unico motivo che rende immorale questo piatto
Mangiare bruschette in Italia è legale, e ho già detto che non fa ingrassare. Ma ci sono buone possibilità che delle persone siano morte per raccogliere i pomodorini, quindi questo piatto è immorale.
Non sempre, certo: potreste aver coltivato i pomodorini in autarchia nell’orto o sul terrazzo, imponendovi dei ritmi di raccolta non massacranti. Io li ho avuti da un’amica che è tornata dalle sue vacanze in costiera amalfitana, dove i suoi generosi parenti le hanno dato grandi quantità di ortaggi e che lei ha poi distribuito in parte agli amici polentoni; per una volta posso dire di avere la coscienza a posto: la mia bruschetta è pulita. Ma tutte quelle volte che sono andato semplicemente al supermercato a fare la spesa per comprare una bella vaschetta di pomodorini, allora non ho fatto altro che incoraggiare un mercato orribile che si appoggia sul benestare di tutti, me compreso, in una situazione del tutto simile allo schiavismo.
Il problema è noto, perché fa parte di quei problemi stagionali che i nostri politici risolvono all’italiana, ovvero facendo un gran polverone di promesse fino alla fine della stagione, sperando che la situazione o si risolva da sola entro l’anno seguente, o al massimo ci sia stato un cambio di governo in tempo per poter incolpare qualcun altro dell’ennesima disgrazia.
Non voglio nemmeno stare qui a raccontare queste cose già dette e scritte da tutte le parti da gente pagata per farlo, se non per dire che trovo terribile come la vita e la dignità di un essere umano pesi di meno di un prezzo finale pagato al supermercato. Come se io che compro questi pomodorini non possa essere felice di pagarli un prezzo equo, a condizione che chi li raccoglie possa farlo nel rispetto dei suoi diritti e della sua dignità di essere umano.
E non è solo una questione di pomodorini: è anche il mobile della celebre multinazionale dell’arredamento, o il pacco consegnato dal gigante americano dell’e-commerce, o il succoso panino multistrato della nota catena alimentare, e così via. Ovunque si guardi c’è un grande sistema che fa di tutto per accontentare il consumatore a spese del dipendente. Magari non è così per chi raccoglie i pomodorini, che difficilmente arrederà la sua rovente baracca di lamiera con mobili svedesi o oggetti ordinati in Internet, ma normalmente i dipendenti di un’azienda sono i consumatori dei beni o dei servizi di un’altra; mi chiedo quindi che senso abbia fare questa gara assurda sulla pelle dei propri dipendenti, e se è normale che continuiamo a premiare questo sistema che ci piace tanto quando consumiamo, ma che ci massacra quando ne facciamo parte.