Ogni volta che prendo l’autobus, rimango affascinato dalle targhette come questa:
La loro presenza mi scatena sempre grandi riflessioni filosofiche e sociali. Nella loro estrema semplicità, il loro significato non potrebbe essere più chiaro:
Questo posto è riservato alle persone che hanno difficoltà a stare in piedi in un autobus in movimento
Quindi se dovessi trovare libero questo posto potrei anche forse sedermi, ma nel momento in cui dovesse salire una persona con ridotta capacità motoria, sarei tenuto ad alzarmi subito e cedere il posto. Non fosse anche per motivi egoistici: nel traffico metropolitano il moto dell’autobus tra curve e frenate ha molto in comune con le più moderne attrazioni di un parco di divertimenti: se dovessi costringere un vecchio pirata con una gamba sola ed un uncino al posto della mano a stare in piedi accanto a me, facilmente perderei l’uso di un occhio alla prima curva un po’ stretta. E questo ancora non mi darebbe diritto al posto riservato.
Quella che mi sorprende ogni volta è l’idea di rispetto sociale che ci arriva da questo cartello. Ovvero: se un posto è riservato ai meno abili, significa che su tutti gli altri vige la regola assoluta del primo che arriva. Quindi se un giorno il vecchio Pew, non vedente, sale sull’autobus, ma trova il posto riservato ai disabili già occupato da Long John Silver, mancante di una gamba, tutte le altre persone sedute possono anche strafregarsene del fatto che il vecchio Pew è cieco, e che quindi potrebbe aver bisogno di stare seduto più di loro. Perché il loro posto non reca nessuna targhetta, e quindi non è riservato a nessuno. E lo stesso discorso se salgono altri tipi di persone, come una donna incinta o con un bimbo in braccio, il nostro anziano presidente della repubblica con sua moglie, o anche il non più giovane capo di una chiesa alternativa alla nostra residente dalle parti di Roma. Ho sentito tralaltro che proprio quest’ultimo prende l’autobus più spesso di qualsiasi suo predecessore. Nel senso che l’ha preso una volta. E anche in quel caso non era riservato un posto, ma tutto l’autobus. Sicuramente un buon esempio, visto che gli occupanti erano tutti molto anziani.
Mi viene da pensare che se l’intenzione di chi ha creato questa targhetta sia di riservare un posto sull’autobus ai bisognosi, l’effetto collaterale è quello di riservare tutti gli altri posti alla maleducazione e alla comune cafoneria da autobus. Forse questo cartellino è una derivazione dei famigerati parcheggi riservati che compaiono uin po’ ovunque nelle nostre città. In quel caso c’è un senso: il parcheggio riservato è più largo perché chi lo usa deve avere maggiore spazio per scendere e salire dalla macchina, ed è più vicino perché chi lo usa in genere fa fatica a macinare chilometri. Non lo si può mai occupare se disabili non lo si è, perché se poi arriva il disabile non sempre siamo in vista della nostra vettura per spostarla rapidamente.
Gli esempi migliori però li diamo quando siamo sicuri che non prenderemo nessuna multa, per esempio nei parcheggi privati come quello dell’Ikea. Qui non ci sono in gioco disabilità, ma grossi pacchi da caricare in macchina. Quindi i posti vicino all’ingresso sono liberi e senza linee, ed un cartello spiega come questo spazio serva solo a caricare gli acquisti ingombranti, e che quindi ci si può sostare al massimo 15 minuti.
Il ragionamento svedese è semplice: tutti, nel rispetto della collettività, parcheggiano nei posti normali un po’ più lontano, e solo quando escono lasciano moglie/concubina/amante/pulzella/cane/pappagallo a guardia dei pacchi mentre si recupera la macchina. Quindi la si sposta nei posti riservati al carico della merce, si riempie rapidamente la macchina senza rischiare di dare sportellate alle automobili vicine. Quindi si ripone il carrello e si va a casa a montare il salmone affumicato e gli altri pezzi di mobilio. Questo in Svezia.
In Italia noi siamo più furbi: passiamo vicino al parcheggio dei 15 minuti. Se è pieno, imprechiamo e gesticoliamo contro l’inciviltà dei proprietari delle auto presenti, che non essendo a loro volta presenti insieme ai loro veicoli ci fa pensare che non stiano facendo il carico degli prodotti, come indicato dal ben visibile cartello. Facciamo anche qualche garbata congettura sulle grosse cilindrate dei loro veicoli perché maggiori di quella del nostro, e che se hanno parcheggiato lì è perché useranno il loro grosso veicolo anche per andare al gabinetto, e che questa pratica avrà fatto lievitare le dimensioni delle loro natiche al punto da rendere il veicolo indispensabile anche per il minimo spostamento. Terminata l’invettiva ci sentiamo migliori di questi incivili, e andiamo a cercare il parcheggio più vicino con la coscienza a posto. Se invece troviamo un posto libero tra quelli dei 15 minuti, ci parcheggiamo subito, perché tanto sarebbe arrivato subito dopo di noi uno degli incivili di cui sopra, e quindi piuttosto che lasciarlo a loro lo prendiamo noi, perché a noi servirà davvero all’uscita e se non facciamo così poi lo troviamo occupato, e che anche gli altri imparino a fare un po’ di strada, poffarbacco.
Allo stesso modo in cui ci lamentiamo dei parcheggi Ikea pieni, ci indignamo quando sentiamo dei numerosi e mirabili esempi di civiltà forniti dai nostri illuminati rappresentanti politici, su tutti quello del Gran Maestro Antonio Piazza. Forse si capisce perché in Italia ci sia bisogno di un cartellino per riservare un posto in autobus a chi ne ha più bisogno.
In un paese civile credo che esattamente come non occorre una guardia armata per invogliare i cittadini a non usare i parcheggi in modo improprio, così allo stesso modo ogni posto dell’autobus deve essere naturalmente riservato a disabili, donne incinte o con bambini molto piccoli, anziani, pirati con gambe di legno o ciechi o anche a persone molto stanche. Se dovesse salire sull’autobus un keniano che ha appena vinto la maratona di Brescia e sta facendo i quarantadue chilometri del ritorno in autobus, non vedo perché negargli il posto a sedere, nonostante sia un filo più atletico di me. Perché una persona civile si alza sempre per fare posto a chi ne ha più bisogno, anche senza che ci sia la targhettina vicina che la costringe a comportarsi così. E se da noi ci si aspetta questo comportamento solo in presenza del cartellino, forse non siamo quella società nobile e civile che ci vantiamo di essere, ma solamente un paese di ciechi egoisti. E questo tipo di disabilità sicuramente non ci dà diritto a sederci in nessun posto riservato.